Mafia nigeriana in Italia: interviene anche l'FBI

Mafia nigeriana in Italia: interviene anche l’FBI

In questi primissimi giorni del 2019, un fatto molto particolare, inedito e sconvolgente è giunto agli occhi ed alle orecchie dell’opinione pubblica attraverso le agenzie di stampa nazionali e locali: l’FBI sta lavorando a Castel Volturno, nell’ambito di una vastissima indagine sui numerosi traffici illeciti della mafia nigeriana.

Infatti, da luglio 2018, vige una serrata collaborazione fra l’autorità statunitense e la polizia italiana – coinvolte le sezioni di Caserta, Roma, Palermo e Torino – : una task force internazionale, che già ampiamente e dettagliatamente collabora anche con la Procura di Napoli, cui presto potrebbero aggiungersi le forze di polizia canadesi.

Per quanto il fenomeno, qui indagato, sia in realtà radicato da anni sul suolo del Bel Paese, e non soltanto su di esso, i cittadini italiani probabilmente si saranno imbattuti per la prima volta nella sua nomina soltanto un anno fa, quando fu trovato nel maceratese il corpo smembrato della giovanissima romana Pamela Mastropietro, per la quale sono attualmente indagati ed incarcerati Lucky Awelima, Innocent Oseghale e Desmond Lucky.

Ad accusare costoro di essere parte integrante di una delle tante sotto-sezioni della mafia nigeriana è stato il criminologo Alessandro Meluzzi, esperto dell’argomento, che ha individuato nella loro certosina brutalità di azione il “modus operandi” tipico del summenzionato gruppo criminale.

La sua tesi verrebbe fortemente corroborata dalle intercettazioni telefoniche fatte in carcere ai tre detenuti, le cui terribili parole fanno ventilare ed avanzare addirittura l’ipotesi di cannibalismo.

In ogni caso, ritornando all’arrivo dell’FBI nel casertano, l’inchiesta di respiro internazionale che qui si sta svolgendo ha messo in luce ed evidenza l’origine delle indagini, ovverosia dei trasferimenti di denaro sospetti ed anomali negli Stati Uniti: da qui, ingenti somme sarebbero state versate su conti correnti di banche italiane intestati ad immigrati nigeriani ivi presenti, e sfruttate per una serie di attività illegali e criminali, condotte con freddezza e spietatezza.

Mafia nigeriana in Italia: interviene anche l'FBI

I soldi, ottenuti tramite il traffico di stupefacenti sul continente europeo – come riporta l’inchiesta -, vengono adoperati per finanziare la tratta di esseri umani nel Mediterraneo, per pagare gli scafisti e per corrompere molti funzionari statali dei Paesi del continente africano, spinti a tacere.

Addirittura, è emerso che questi criminali godono di protezione da parte delle élite nelle nazioni di origine, tanto da essere impiegati per motivi politici ed economici, peraltro sottraendo benessere alla popolazione (circuita ed ingannata attraverso una propaganda falsa e martellante sul presunto paradiso che troverebbero nel Vecchio Continente) ed iniettando ricchezza nelle mani delle cosche criminali e di chi si è corrotto con esse.

La mafia nigeriana [intesa qui come insieme di clan e gruppi criminali non necessariamente legati fra loro, ma con la medesima origine ed i medesimi interessi di lucro, N.d.R.], giunta a fare concorrenza alle mafie nostrane, od addirittura a collaborare con esse per spartirsi il territorio (è il caso dell’accordo con il clan dei Casalesi), è coinvolta in prostituzione, traffico di esseri umani, traffico di droga e finanche traffico di organi (il più delle volte, espiantati da uomini e donne giunti in Italia via mare, e poi scomparsi nel nulla): una delle sue basi operative è proprio Castel Volturno, ed è il motivo per cui l’Ufficio Federale di Investigazione americano è arrivato in Italia.

Come denuncia il quotidiano Il Mattino: «La mafia nigeriana sguazza nel non-mondo dell’Africa trapiantata a forza, tollerata per forza e forzata dai pochi che hanno diritto di parola, azione e movimento. Per il resto, da Destra Volturno a Pescopagano, e lungo la Domitiana, l’esercito di immigrati che una stima approssimativa calcola in 15mila in base alla spazzatura che produce, è ostaggio dei boss neri.

Minacce ai familiari rimasti in Africa, stupri, pestaggi. Chi comanda sul Litorale, collegato ai capi a Benin City e negli USA, è regolare sul territorio italiano e ha potere di vita e di morte sugli altri connazionali, sui ghanesi e sugli ivoriani».

Il sindaco della cittadina, Dimitri Russo, conoscendo la ferocia e l’efferatezza di questo gruppo criminale, ha invocato aiuto e sostegno ulteriori da parte dello Stato italiano (adesso coadiuvato dall’FBI americano), per una situazione fattasi progressivamente sempre più insostenibile, e pericolosa.

Uno studio sulla mafia nigeriana

Molti potrebbero essere rimasti sorpresi dall’apprendere della notizia che una mafia allogena si è radicata così a fondo, nondimeno così silenziosamente, in Italia.

In effetti, i mezzi di comunicazione di massa hanno parlato molto raramente della criminalità africana organizzata (la quale invece conta già su una struttura basica solida e su una ragnatela di legami internazionali, finanche mondiali, molto spessa e fitta): sempre secondo il professor Meluzzi – come dichiarato a La Verità -, per una sorta di “pregiudizio culturale”, di auto-razzismo politicamente corretto, incapace di guardare negli occhi l’abisso di una realtà che va ben oltre, che smonta e che brutalizza i cliché e la prospettiva ideologica che se ne può avere.

Tuttavia, esistono degli studi che permettono di capirne le scaturigini, la diffusione, i metodi operativi, gli attori e le vittime: il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” [meglio noto come Peppino, il famoso giornalista anti-mafia siculo ucciso da Cosa Nostra negli anni Settanta, N.d.R.] – già costituitosi parte civile contro i boss della mafia nigeriana operanti a Palermo – ha redatto nel 2015 un lungo documento, a firma di Umberto Santino, dal titolo “Il mercato del sesso a Palermo. Mafia e nuovi gruppi criminali“, nel quale si prende in esame – tra le altre cose – anche la mafia nigeriana.

La medesima su cui l’FBI sta indagando in questi giorni a Castel Volturno, assieme alla Polizia italiana. Il ricercatore cita una Convenzione delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani (il terzo più redditizio al mondo, dopo quelli di droga e di armi), nella quale si esplicita chiaramente come fenomeni criminali di questa portata siano il risultato di Stati sempre più deboli e di mercati sempre più sfrenati e senza regole.

Mafia nigeriana in Italia: interviene anche l'FBI

La globalizzazione ha allargato le maglie del commercio (peraltro – nella legalità, molto meno nella moralità – distruggendo i diritti sociali e del lavoro, col fine di una competizione spietata e tutt’altro che solidale), ma con esso ha anche incrementato a dismisura le attività illecite, favorite dall’aumento dello squilibrio territoriale e sociale fra le varie zone del mondo e dalla sempre più vertiginosa finanziarizzazione dell’economia.

Ovverosia: viaggiano i capitali (legali od illegali), viaggiano le persone (legali od illegali), scemano i controlli e per ciò stesso aumentano le attività criminali a scopo di lucro su scala transnazionale, con il guadagno specifico e gargantuesco di mafie ed altri gruppi di tal fatta.

Dopo aver fatto una carrellata delle inchieste più recenti sul traffico di esseri umani e di droga sul suolo nazionale (narcotici, schiavitù, prostituzione, ecc…) – in cui moltissimi nigeriani sono stati coinvolti, o di cui sono stati i principali protagonisti ed artefici -, l’autore si è soffermato sull’origine e sulla recente (ma non troppo) storia di questa vera e propria mafia sub-sahariana, proveniente da uno dei Paesi africani più ricchi, ma anche più problematici (ad esempio, non si conosce il numero preciso dei suoi milioni di abitanti).

Anche se, in realtà, trattasi di un sistema più composito, che coinvolge sia mafie nel senso più proprio del termine (definito nel 1982 dall’articolo 416bis del Codice Penale, dopo la sua precisazione a seguito della morte del generale e prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa), sia altro tipo di organizzazioni: bande criminali, sodalizi criminali, “non-corporated groups”, comunità filiate, confraternite.

Dalla Nigeria al resto del mondo

Come il succitato documento del CSD “Giuseppe Impastato” argomenta, fu proprio da una queste ultime che tale fenomeno partì in sordina, e con intenti in realtà diversi da quelli della criminalità: negli anni Cinquanta, la “Confraternita dei Pirati” si pose obiettivi culturali e politici che si rifacevano alla lotta al colonialismo, al tribalismo ed all’elitarismo.

In comune con le vecchie confraternite, aveva i riti iniziatici, il cultismo e le pratiche voodoo. Dalla sua scissione nacquero gli stessi gruppi che, oggi, operano a livello internazionale e transnazionale nel crimine organizzato, dopo aver (ri-)definito con precisione la loro essenza: “Black Axe“, “Bucaneers“, “Vikings“, “Black Beret” e così via.

Negli anni Ottanta, il susseguirsi di violente dittature militari fece degenerare la situazione nigeriana tutta, e queste confraternite iniziarono non soltanto a guerreggiarsi a vicenda, ma anche ad inserirsi nei gangli distrutti della loro malridotta società.

Una società che, inoltre, era stata economicamente strozzata dalla “cura ricostituente” del Fondo Monetario Internazionale, che impose tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni e blocchi salariali: ne derivò una popolazione stremata, irata e disoccupata, con le proprie condizioni di vita nettamente peggiorate.

Queste confraternite – più liquide della ‘Ndrangheta, ad esempio, ma non meno pericolose ed organizzate – hanno una struttura rigida, utilizzano rituali voodoo come vere e proprie intimidazioni (un condizionamento psicologico che provoca paura di punizioni divine e timore di offendere gli spiriti), non lesinano l’aggressività fisica, le percosse, la violenza sessuale e brutali assassini, senza contare le minacce agli espatriati (soprattutto alle donne, sfruttate nella prostituzione) di ripercussioni nel Paese di origine.

Mafia nigeriana in Italia: interviene anche l'FBI

Inoltre, godono dell’appoggio di una sorta di “borghesia mafiosa” (con tutta la prudenza del caso, nell’uso di questa terminologia) – costituita da avvocati e professionisti legali collusi con questo sistema, marcio e coercitivo -, che gestisce per loro il funzionamento della macchina criminale, nel concreto attuato da uomini associati e da uomini ricattati.

Dalla Nigeria, esse si sono sparse (legandosi, o combattendosi, a vicenda) per il mondo nel corso degli ultimi decenni, arrivando negli Stati Uniti, in India, in Regno Unito, in Canada, in Brasile, in Italia ed in tantissimi altri Paesi (se ne stimano almeno ottanta): il metodo di diffusione maggiore è ovviamente la migrazione, vista l’assai elevata natalità in terra patria, l’abbassamento della rigidità dei controlli in moltissimi Stati e quindi la possibilità di avere – letteralmente – abbondante carne da macello per i loro affari criminali, estremamente redditizi.

In contatto con la criminalità organizzata del Paese di arrivo, tale confraternite possono vivere dei rapporti di dipendenza, di convivenza, talvolta persino di sopraffazione [dell’elemento straniero su quello autoctono, N.d.R.].

Un problema allogeno, ora radicato

Da quanto precedentemente argomentato, emerge quindi un preciso “modus operandi” della criminalità organizzata di origine nigeriana in Italia: tramite una struttura di comando verticistica e ben definita, i suoi operatori sfruttano i loro notevoli proventi per gestire il traffico di droga, di esseri umani (principalmente per la prostituzione) e di organi, stimolando questi ultimi due attraverso un sistema di lauto finanziamento agli scafisti che portano molti migranti africani nel Mediterraneo.

Ingannati, costretti od illusi, tanti giovani partono, espatriano con la connivenza delle guardie di frontiera, affrontano il lungo viaggio nel Sahara e (se sopravvivono) quello nel Mare Nostrum, salvo poi finire, una volta giunti a destinazione, nelle mani di queste confraternite, o mafie.

In un’intervista ad Alessandria Oggi del 19 febbraio 2018, il saggista e psichiatra Alessandro Meluzzi, già precedentemente citato, ne ha tracciato un quadro generale, dalla loro situazione di origine all’insediamento in Italia ed all’azione concreta sul territorio: esse hanno convissuto con i clan locali, o perfino scalzandoli, giungendo ad esempio nel casertano ad avere il monopolio della prostituzione (anche minorile) e del caporalato (agrimafia).

Mafia nigeriana in Italia: interviene anche l'FBI

Come anche un breve documentario di Presa Diretta spiega, è soprattutto il primo ambito quello con il quale la mafia nigeriana è riuscita ad esportare i propri business: in seguito, ha preso il controllo del traffico di stupefacenti (distribuzione al minuto) in determinate zone d’Italia, prima avendo avuto delega dalle mafie già presenti sullo Stivale, poi affrancandosene ed agendo in proprio.

Senza contare il traffico di esseri umani, molti spinti dalla madrepatria (e da Stati vicini) sulle coste libiche per foraggiare e rimpinguare questo immenso giro di loschi ed illeciti affari.

Il mantenimento della struttura di comando ed il funzionamento della macchina criminale – come ribadito dallo stesso Meluzzi ad “Atreju18” il 22 settembre dello scorso anno – vengono permessi non soltanto dai rituali voodoo (tribalismo ed esoterismo) praticati dalle “mamam” (prostitute anziane con un certo status) sulle più giovani, ma anche (e soprattutto) dalla violenza coercitiva dei suoi affiliati sui dissidenti e sui resistenti.

Questo complesso apparato non esiste soltanto in Italia, ma coinvolge anche moltissimi altri Paesi, fra cui gli Stati Uniti: da qui nasce la cooperazione dell’FBI con la Polizia italiana nelle recenti indagini a Castel Volturno.

C’è un filo rosso, sempre più spesso, che lega queste nazioni a Benin City ed a Lagos, ed è quello della criminalità nigeriana, che gestisce un giro di denaro di milioni di dollari fra almeno quattro continenti differenti, facendo guadagnare cifre esorbitanti a uomini senza scrupoli, che governano prostituzione, droga e persino commercio di organi.

Un fenomeno terribile ed in preoccupante crescita, maturato negli anni Ottanta ed oggi giunto al suo culmine, con picchi di potere e ricchezza dei clan che lo amministrano.

(di Lorenzo Franzoni)

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