Hoara Borselli la penna

Hoara Borselli e “la penna” (in mancanza di contenuti)

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Se a sinistra c’è chi pensa di poter “ricostruire un’egemonia culturale” sulla pandemia, a destra non si sta granché meglio: se da un lato, infatti, ci si affida a un virus, dall’altro si punta tutto su Hoara Borselli.

Nata a Viareggio – ma anche a Firenze (la sua pagina Wikipedia è un po’ confusa) – nel 1976, passando da Walter Zenga a Ballando con le Stelle, da Miss Estate Festivalbar a Cento Vetrine, la nuova eroina sovranista da qualche anno ha conquistato un posto di primo piano tra coloro che chiacchierano di politica in TV, ritagliandosi uno spazio anche sulla carta stampata: dal salotto di Porro al Secolo d’Italia, Borselli diffonde ormai quotidianamente il suo verbo, spaziando per l’intero scibile umano.

La penna

Politica, virologia, costume, cronaca giudiziaria: Hoara non si tira mai indietro.

Ha un’opinione su tutto e per esprimerla usa un vocabolario di 14 parole – tra cui narrazione, doppia morale, ipocrisia e io – che ripete, compulsivamente, dimenandosi sulla poltroncina d’ordinanza e brandendo feticcio che reca seco in ogni dove: la penna.

Siamo certi che ci sia un ottimo motivo per agitare una penna mentre si parla, ma abbiamo rinunciato a scoprire quale possa essere.

Tuttavia, a noi basta vedere apparire la penna per capire che sta per essere regalata al pubblico una arguta riflessione sull’elezione del Presidente della Repubblica, sulle questioni interne al CSM, o sulla “frangetta fiammante” di Maria Elena Boschi.

Per quanto i Borselliani fasti possano apparire recenti, la sua esperienza politica ha radici profonde: secondo Wikipedia “nel 2011 è scelta dall’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa come componente del suo ufficio di diretta collaborazione con le mansioni di conduttrice e co-organizzatrice degli eventi per le celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia percependo un compenso annuo di 16.120 euro; tale decisione è stata oggetto di interrogazione parlamentare a prima firma dell’ex deputato Andrea Sarubbi, alla quale La Russa ha risposto affermando che l’ingaggio della Borselli avrebbe consentito un risparmio degli oneri rispetto a quelli corrisposti alla stessa showgirl rispetto all’assunzione di altri professionisti dello spettacolo”.

Insomma, era quella che costava meno a parità di culo sodo.

Hoara Borselli e la penna: inseparabili

Dopo quella esperienza, Hoara e la penna si sono guadagnate un posto nei più autorevoli salotti televisivi e su testate di primo piano come Il Secolo d’Italia.

È lì che Hoara e la penna si profondono con cadenza regolare in dotte analisi politiche “di destra”: tra una “e’” con l’apostrofo e un “al quanto”, scopriamo che il “lite-motive” della CGIL è “una propaganda elettorale che grazie all’ipocrisia dell’ombra del regime, potrà serenamente violare il silenzio elettorale” che “la Cucchi fa un’affermazione distonica” – cioè affetta da distonia: disturbo motorio di carattere neurologico che causa contrazioni muscolari involontarie – e che Saviano vive “in un paradosso kafkiano così ben definibile in ogni sua uscita comunicativa” con il suo “panegirico di intolleranza”.

Chiamata ad esprimersi sulla elezione di una donna al Quirinale, qualche giorno fa scriveva: “Sarei la prima a complimentarmi e ad esserne orgogliosa se il prossimo Presidente della Repubblica fosse un volto femminile ma non perché donna o perché debba rappresentare una quota, semplicemente perché tra la rosa dei migliori il suo merito la spunterebbe sugli avversari.” Elogio del merito. Degli altri.

Caustica su Di Maio: “Atteggiarsi a statista ed esserlo. Ce ne passa.”

Un po’ come atteggiarsi a intellettuale, ecco. Borselli spiega anche il  “significato immediato e primario dell’iconografia dello scatto”: “come se il mondo migratorio fermasse ogni suo drammatico esistere ad un istante impresso”. Ineluttabilmente ermetica.

Sì, perché una delle caratteristiche precipue della poetica Borselliana – in uno all’uso quantomeno fantasioso di virgole e doppi punti – è l’abuso di un lessico forbito ad mentula canis. Non è tanto il significato delle parole quanto il loro suono a far breccia in quella bella testolina coperta di biondi capelli: il significante a prescindere dal significato.

In fondo Hoara è anche un bel vedere e non farebbe del male a nessuno se qualcuno, con inspiegabile pervicacia, non si ostinasse ad elevarla a maestra del pensiero.

A divertirci – e a turbarci quel tanto che basta – è l’idea che una soubrette incapace di esprimersi in italiano corrente senza incorrere in banali orrori di ortografia sia elevata a intellettuale e punto di riferimento di un’area che nutra qualche aspirazione a imporsi dal punto di vista culturale e ideologico.

Hoara Borselli pensatrice di destra è la rappresentazione plastica dell’atteggiamento di resa totale e incondizionata alla supremazia degli altri. L’idea che una persona incapace di distinguere un apostrofo da un accento sia ascesa al Pantheon di partiti e partitini di area sovranista dimostra che no, non c’è alcuna volontà di imporre alcuna egemonia culturale.

E allora, non ci rimane che sperare nella penna. La penna. Ecco, la destra riparta dalla penna.

(di Dalila di Dio)

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