Le testimonianze di Luca Palamara valgono, a tutti gli effetti, come una sorta “Mani Pulite” della magistratura (quanto meno a livello comunicativo), e, come portata, quanto un racconto minuzioso di Tommaso Buscetta a Giovanni Falcone sul funzionamento di Cosa Nostra. Scoperchiano un vaso di Pandora di dimensioni enormi. E lo fanno con racconti precisi, circostanziati, che evidenziano corruzione, malaffare, aspetti che con la giustizia non hanno niente, ma proprio nulla a che fare. Eppure il testo, stravenduto nelle librerie sia online che fisiche, è sostanzialmente ignorato dai media di massa.
Palamara come Buscetta: e non è un’esagerazione
Del libro di Sallusti e Palamara noi abbiamo parlato una settimana fa. Lo abbiamo letto con estrema facilità (chi vuole farsene un’idea, clicchi sul link, beninteso che il nostro consiglio è di comprarlo immediatamente).
Non c’è nulla di diverso, in termini di “pesantezza strutturale”, tra una Cosa Nostra e l’articolatissimo CSM. Poi possiamo discutere, chiaramente, degli scopi e delle differenze con un’organizzazione apertamente criminale come quella siciliana. Del fatto che nel CSM esistano persone oneste sostanzialmente vittime di questo sudiciume, e che comunque perseguano la giustizia, le poche volte che consentono loro di farlo.
Ma la base resta la stessa: struttura, organizzazione di fatto verticistica (anche se fatta da “correnti” e non da “famiglie”), indottrinamento dei “magistrati da piccoli” (come cita un capitolo dedicato), tutto allo scopo di controllare aspetti fondamentali della vita politica italiana, di indirizzarla in modo assolutamente decisivo, con la complicità anche del Quirinale. Di attaccare innocenti, di rovinare carriere e di infamare la loro dignità personale.
Cose che molti di noi avevano capito già 20 anni fa. Semplicemente sapendo fare le addizioni, certamente affidandoci all’intuito e al ragionamento spesso, ma in ogni caso visibili a chiunque avesse voglia di ragionare, e non di prendere per oro colato ciò che dicono i magistrati solo perché indossano una toga.
Vent’anni in cui una toga ha rappresentato, agli occhi di molti, garanzia di assoluta incorruttibilità, una sorta di santità laica, propagandata sulla pelle di tanti magistrati onesti – ma vittime del “sistema” – e di eroi come Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, le cui immagini sono state sfruttate in modo vile, lercio da gente che con la giustizia non ha nulla a che fare.
Questi “molti”, ora tacciono. Dopo decenni di idiozie su Bettino Craxi, su Silvio Berlusconi, su Matteo Salvini e anche su chi, da sinistra, aveva rotto un po’ troppo le scatole a quegli equilibri intoccabili (penso a Matteo Renzi, ma anche a personaggi minori come Ottaviano Del Turco).
Tacciono senza capire che questo orgoglio ridicolo se lo possono tenere nel gozzo, perché sono e rimarrano solo una cosa: degli schiavi.
“Il Sistema” di Palamara è una bomba, ma i media non ne parlano
Il Sistema è clamoroso. Ormai lo si è detto in tutte le salse. A parlarne, sui media mainstream, restano solo Nicola Porro, che sovente dedica una sezione di Quarta Repubblica all’argomento, e Massimo Giletti su Non è L’Arena. Ma nel resto della società italiana è come se non fosse successo niente.
Perfino le dirette sui social a cui hanno partecipato sia Palamara che Alessandro Sallusti contano poche decine di spettatori e pochissime condivisioni.
Qualcuno potrebbe chiedersi: ma libro vende? Sì, anzi, stravende (come è naturale che sia, vista la portata clamorosa). A febbraio già oltre 160mila copie. Tutt’oggi, in testa, al primo posto (primo) su ogni classifica di Amazon (da cui è tratto lo screen sottostante, datato 25 marzo 2021)
E allora qual è il problema? Sempre il solito. Il dominio culturale assolutamente pazzesco del Feudo di sinistra – che tra le tante cose, controlla anche la magistratura – nel 90% dei media di massa, siano essi televisivi o stampati.
Ma intanto Il Sistema continua a stravendere. E qui che si vede la vera natura di un Feudo (sul quale invito ad approfondire sempre tramite il link), staccato dalla società reale. La gente ne parla e chi non è completamente servo non può non esserne incuriosito. Ma la cerchia radical chic che ci rende schiavi non è, prevedibilmente, d’accordo.
Diversamente, non ci terrebbe in catene come fa da ormai 50 anni. Buona schiavitù a chi ancora non ammette – almeno a sé stesso – di non averci capito nulla di nulla. Buona perserveranza a chi, come noi, insisterà finché avrà fiato.
(di Stelio Fergola)