Il Sistema Palamara

“Il Sistema” raccontato da Palamara è il libro dell’anno

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È una storia, quella riportata nel libro intervista Il Sistema a Luca Palamara, che in qualunque altra nazione del mondo avrebbe causato un terremoto istituzionale ma qui da noi è quasi relegata a un romanzetto frutto dell’immaginazione di un magistrato buttato fuori in malo modo dal mondo che fino a pochi mesi fa dominava.

“Devo essere sincero, a un certo punto mi sono assuefatto al potere: ero richiesto dalle televisioni, dalla stampa e come arrivavo a un convegno tutti i giornalisti e i colleghi venivano da me a chiedermi qualche cosa. Ho fatto parte di una oligarchia giudiziaria, e ogni oligarchia ha i suoi riferimenti nel mondo istituzionale e politico”.

E proprio come un oligarca deposto, Palamara, il più giovane presidente di ANM, membro togato del CSM e deus ex machina della magistratura italiana, vuota il sacco e racconta ad Alessandro Sallusti la sua storia di trame intessute con pazienza e destrezza, equilibrio e sapiente uso di bastone e carota.

Palamara, destituito da “Il Sistema”

È vero, Luca Palamara è un magistrato destituito con una decisione del CSM da lui stesso contestata ed impugnata. Luca Palamara, a Perugia, è anche un indagato.

Quindi è un uomo che si difende e di questo non si può non tenere conto quando si approccia al suo racconto. Non è un pentito, però.

“Non rinnego ciò che ho fatto, dico solo che tutti quelli – colleghi, magistrati, importanti leader politici e uomini delle istituzioni molti dei qual tuttora al loro posto – che hanno partecipato con me a tessere questa tela erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo”: con queste parole si apre questo libro intervista che è un po’ memoriale, un po’ chiamata in correità, un po’ un lungo avvertimento a chi ha orecchie per intendere.

Dai patteggiamenti tra correnti sulle nomine, alle procure spartite manuale Cencelli alla mano, ai ricorsi aggiustati, Palamara e Sallusti mettono nero su bianco quello che chi vive quotidianamente nel mondo della Giustizia sa benissimo ma che sconvolge i profani, quelli nati e cresciuti col mito del magistrato onesto, integerrimo, irreprensibile.

Non che non esistano magistrati leali ed onesti: esistono eccome. Probabilmente sono la maggioranza. Ma non hanno alcun peso, non assurgeranno mai alle alte sfere, non occuperanno mai un scranno da cui poter fare la differenza.

La magistratura è una bolla impenetrabile, spiega Palamara, ed il sistema cura il magistrato sin dalla sua nascita. Forse, addirittura, da un momento ancora precedente al primo vagito: non è un caso che la nomina dei commissari per uno dei concorsi più ambiti nel Paese sia gestita dalle correnti. Ciascuna ha dei candidati da aiutare e favorire, quindi anche le commissioni vanno pilotate a dovere.

In effetti, la quantità di figli di magistrati divenuti a loro volta magistrati è sorprendente: lo stesso Palamara è figlio di un Giudice. Ma siamo certi che questo dipenda dalla abilità dei genitori nel trasmettere ai figli l’amore per la Giustizia.

Solo i malpensanti potrebbero supporre l’esistenza di raccomandazioni e favoritismi nell’accesso alla carica.

Una volta superato il concorso, il giovane ambizioso uditore entra in un vivaio da cui le correnti attingono per ingrossare le loro fila: “la linfa per alimentare il sistema”, quel sistema grazie al quale, se disposti a fare tutto il necessario, scaleranno, scranno dopo scranno, le vette della magistratura. Quel sistema grazie al quale, secondo il racconto di Palamara, se sapranno trovare il canale giusto, assurgeranno al ruolo di capo di una procura importante, da cui condizionare, in accordo con la corrente di appartenenza ed il partito di riferimento, la vita del Paese.

O potranno partecipare a camere di consiglio della sezione feriale della Cassazione in cui, accadono “cose indicibili, cose che voi umani non potete nemmeno immaginare” come Palamara riferisce di aver appreso da Ercole Aprile, consigliere del collegio che condannò Silvio Berlusconi.

Quello di Palamara è il racconto del perverso intreccio tra poteri dello Stato, sotto l’egida – i numerosissimi riferimenti a Giorgio Napolitano lo testimoniano – del garante della costituzione.

Nel suo dialogo con Sallusti, Luca Palamara sciorina nomi, date, circostanze, luoghi.
Parla di prove, documenti, messaggi. Spiega di trattative e pressioni al limite della minaccia per orientare le scelte dei suoi colleghi. Racconta di come il sistema sia armato contro chi rifiuta di adeguarsi: il cecchino, come lo battezza Sallusti, è sempre in agguato per eliminare con le cattive chi non è disposto a mettersi da parte per favorire gli accordi tra le correnti.

Il Sistema è un libro che non dice nulla di nuovo a chi frequenta i palazzi di giustizia ma, per la prima volta, mette in fila gli eventi in modo circostanziato.

Qualsiasi avvocato con qualche anno di esperienza sa che il racconto di Palamara è quantomeno verosimile.

Molti operatori del mondo della giustizia si saranno trovati ad annuire sfogliando le pagine, riconoscendo i personaggi tratteggiati e gli eventi raccontati.

Basta fare mente locale per rinvenire nella nostra storia recente le tracce del metodo che il Sistema usa per gestire un potere, quello giudiziario, che è sovraordinato ad ogni altro: la regola del tre, ad esempio.

Una procura, un partito ed un giornale. Se li controlli, controlli il Paese. E il partito, ça va sans dire, è quasi sempre il PD. Quel PD che della magistratura cura gli interessi, a cominciare dall’ostinata opposizione alla riforma sulla separazione delle carriere. Quel PD a cui le procure ricambiano i favori, eliminando con chirurgica precisione chiunque appaia all’orizzonte, rappresentando un pericolo per l’egemonia della sinistra.

“Il nemico è la non sinistra”: tutto ciò che rappresenta un pericolo per chi, di fatto, sovrintende ad ogni centro di potere del Paese, deve essere combattuto. E la magistratura sembra non avere paura di sporcarsi le mani: tradizionalmente, di quei centri di potere, è il braccio armato. E può esserlo impunemente perché, come ricorda Palamara, cane non mangia cane.

Da ottobre Palamara non è più un magistrato, ma il suo metodo si muove, con tutta evidenza, sulle gambe di altri uomini. Ieri bisognava attaccare Salvini per la vicenda Diciotti, anche se stava facendo il suo dovere.

Oggi, Fratelli d’Italia ha superato la soglia fatidica di consenso che scatena l’attenzione dei magistrati: così, dopo tre anni a prender polvere in un cassetto, da una procura esce un verbale di interrogatorio, che arriva ad un giornale che ne pubblica il contenuto.

“Giorgia Meloni compra voti dai rom.” Non importa che il pentito interrogato abbia ritrattato. Nemmeno la totale mancanza di riscontri ha alcun peso. Quel verbale è spazzatura, ma bisogna provarci.

Un partito, una procura, un giornale.

I Palamara passano, il sistema resta.

(di Dalila di Dio)

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