Social e media censurano Trump: così muore il free speech in Occidente

Social e media censurano Trump: così muore il free speech in Occidente

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Social e media tradizionali uniti in una sola battaglia. Il nemico? La libertà di espressione.
È quanto ci dimostrano, oggi più che mai, i numerosi attacchi di giornali e piattaforme web che hanno avuto come bersaglio Donald Trump durante queste elezioni americane.

Trump censurato: l’attacco di media e social

Facciamo un passo indietro. Da mesi, nel pieno della campagna elettorale per le elezioni negli Stati Uniti, Twitter aveva più volte censurato dei tweet del presidente USA. La colpa del tycoon? Denunciare – in anticipo – la possibilità di brogli attraverso il voto postale.

“Il voto postale è sicuro” fa sapere il social network, ergendosi a giudice supremo del vero e del falso al punto non solo di smentire, ma addirittura di bollare come acclaratamente infondata una denuncia proveniente nientemeno che dal numero uno della Casa Bianca, censurandolo.

E se Twitter censura, Facebook non può di certo mancare all’appello. Sotto i post del presidente cominciano infatti a comparire dei banner che lo smentiscono. “Il voto postale ha una lunga storia di affidabilità negli Stati Uniti”. E se lo garantiscono i debunker di Zuckerberg c’è da crederci.

Trump brogli

Nell’election day le operazioni dei nuovi portatori della verità continuano. E se a Trump viene in mente di denunciare un insolitamente lungo processo di conteggio dei voti, c’è sempre il buon Facebook a rassicurarci.

Social e media censurano Trump: così muore il free speech in Occidente

Ma non sono di certo i soli attacchi ricevuti dal vecchio Donald. L’azione di media e social in tal senso è stata infatti davvero capillare.

Come non ricordare la censura operata su un’inchiesta del New York Post su alcune e-mail di Hunter Biden, figlio di Joe, che riguardavano affari sospetti in Ucraina e Cina. Anche quella notizia, mai ufficialmente smentita, è stata bollata dai social network come fake news, senza argomentazioni e senza prove. Così, per dogma. Ironico che gli stessi soggetti abbiano pubblicato per anni le notizie relative a quella enorme bufala (ormai ufficialmente smentita) del Russiagate. Ma per alcuni la differenza sulla veridicità di una notizia la fa il bersaglio della notizia stessa.

E un dogma è anche quello che ha portato alla censura del canale YouTube “America stands for Victory”, che aveva mostrato gli anomali flussi di voti arrivati a Biden in Michigan e Wisconsin. E il caso non è isolato. Molti sono stati infatti i gruppi e le pagine vicine a Trump censurate o chiuse, come il gruppo Facebook “Stop the deal” (Ferma il furto) con il quale alcuni stavano protestando contro i presunti brogli.

Il discorso censurato

Ma l’apice di questo enorme processo di delegittimazione arriva nella notte di Venerdì 6 novembre.

È in corso un discorso di Donald Trump. Il presidente, dallo scranno della Casa Bianca, torna a denunciare sospetti brogli ai suoi danni. “Se si contano i voti legali, vinco facilmente. Se si contano i voti illegali, possono provare a rubarci l’elezione” dice.

A questo punto scatta una censura che travalica ogni senso di decenza. Abc, Cbs e Nbc chiudono il collegamento interrompendo il tycoon e negando, di fatto, la parola a quello che è, val la pena ricordarlo, il presidente degli Stati Uniti d’America.

Restano collegate solo la CNN e Fox News, ma la prima si premura di mettere in sovraimpressione “Trump, senza prove, sostiene di essere vittima di una frode“.

Media, social e libertà

Il comportamento delle piattaforme web e dei media tradizionali ha, in questi mesi, travalicato senza alcun dubbio il limite della decenza, spingendosi in una sinistra direzione di certo nemica della libertà.

La censura operata su un discorso in diretta del presidente americano rappresenta un atto gravissimo, comunque la si pensi. Trump stava dicendo castronerie? Può darsi, ma non è di certo il bavaglio il metodo con cui si contestano le bugie in una democrazia.

A chi ciancia di libertà dalla mattina alla sera andrebbero ricordate le basi di un sistema democratico, che mai prevederà una censura, a maggior ragione quando la fonte è la carica istituzionale più importante dell’Occidente.

Ovviamente smentire Trump è possibile e sacrosanto se dovesse mentire, ma lo si fa con i fatti, le argomentazioni e dimostrando punto per punto che quanto egli afferma non corrisponda al vero.

Non si può non prendere atto che ad oggi i social e la TV rappresentino oggi degli strumenti fondamentali di propaganda politica e di manifestazione del pensiero. Ed è per questo che è intollerabile una censura su questi mezzi se non operata da un organo che abbia quantomeno una legittimità giuridica e costituzionale nel farlo. Quello che si nega, sulla base di presunte linee guida decise da un CEO (spesso politicamente schierato) o da un consiglio di amministrazione, infatti, non è la partecipazione a un circoletto di intellettuali, ma un vero e proprio diritto di espressione, finendo per minare profondamente ogni principio di uguaglianza.

Il fatto che enti privati, come TV commerciali e social network, si ergano a difensori della verità, decidendo cosa può e cosa non può essere dichiarato o scritto, ci trascina verso un’inquietante spirale di negazione del free speech, principio sancito nel primo emendamento della Costituzione americana, nonché pilastro fondamentale di ogni Stato che voglia definirsi democratico.

(di Simone De Rosa)

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