Il Governo ha dato il via libero al nuovo Dpcm ottobre 2020, che prevede l’obbligo nazionale dell’utilizzo delle mascherine all’aperto, se si è vicini a persone non conviventi, e la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021. Stato di emergenza che, forse ora più che mai occorre ricordarlo, non è previsto dalla nostra Costituzione.
A differenza, ad esempio, delle Costituzioni di Spagna, Francia e Germania, che prevedono diversi stadi di emergenza, la nostra Costituzione non prevede una disciplina in materia di gestione di un’emergenza epidemiologica. La Costituzione italiana prevede solamente la dichiarazione, da parte del Presidente del Consiglio, dello “stato di guerra” (art. 78) deliberato dalle Camere, attraverso cui si conferiscono al Governo i poteri necessari. Il vuoto normativo in materia emergenziale è stato probabilmente voluto dai nostri padri costituenti, onde evitare pericolose derive antidemocratiche dovute alla sospensione, protratta nel tempo, dei diritti fondamentali.
Ora, il problema è che non trovandoci effettivamente in uno stato di guerra, e non esistendo un articolo della Costituzione che disciplini emergenze di questo tipo, il Governo ha dovuto servirsi dei Dpcm (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), atti legittimati dall’articolo 17 della legge 400/1988: “Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessita’ di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione”.
L’insidia dei Dpcm
I Dpcm, tuttavia, sono atti di natura amministrativa (art. 77) e non possono in alcun modo avere efficacia di legge, in quanto trattasi di fonti normative secondarie non soggette alla funzione di controllo del Parlamento. In quanto tali, non possono nel modo più assoluto derogare alla Costituzione e alle leggi. Ed è proprio questo il paradosso italiano: a colpi di Dpcm, gli italiani si trovano costretti a rinunciare alle libertà fondamentali (libertà di spostamento, libertà di culto, il diritto e dovere all’istruzione, la libertà di riunione, ecc) che sono garantite dalla nostra Costituzione, e che possono essere temporaneamente sospese solo ed esclusivamente in presenza di una legge. E ripetiamolo, i Dpcm non sono leggi, il potere legislativo spetta al Parlamento, non al Governo, che detiene invece il potere esecutivo. Essendo i Dpcm atti amministrativi ed essendoci la riserva di legge assoluta, questi non possono avere valore legislativo. Eppure il Governo continua a comportarsi come se lo avessero, creando pericolosi fraintendimenti politici e giuridici. E lo fa in modo consapevole, creando appositamente i presupposti per un progressivo accentramento del potere nelle mani della maggioranza e, nello specifico, del Presidente del Consiglio, per mere esigenze di rapidità di intervento.
Abuso dei Dpcm ed esautorazione del Parlamento
Più che sensato, a questo proposito, il recente intervento della presidente della Camera Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ha dovuto ricordare al premier Conte che “la Costituzione dice che le Camere sono il centro dell’azione legislativa e il Parlamento l’interlocutore primo e insostituibile del Governo”. Secondo la presidente della Camera, “pesa, certamente, l’avere gestito tutte le fasi dell’emergenza con un ricorso esagerato a Dpcm, emanati senza preventiva consultazione con un voto del Parlamento. Ma su cui grava, soprattutto, il ricorso troppo frequente a dl dal contenuto ‘omnibus’, per di più blindati dal Governo con il voto di fiducia, sui quali un ramo del Parlamento finisce per non toccar palla”.
Evidentemente, il premier Conte ci ha preso fin troppo gusto a concederci, dall’alto della sua autorità e quando facciamo i bravi, le nostre libertà inviolabili.
(di Flavia Corso)