L'autopsia del politicamente corretto nel saggio di Eugenio Capozzi

L’autopsia del politicamente corretto nel saggio di Eugenio Capozzi

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La nostra epoca contemporanea, specialmente nell’ultimo decennio, è caratterizzata dall’esacerbazione delle identità politiche, dalla diffusione di nuove concezioni riguardanti la famiglia, il genere, le nuove sensibilità che caratterizzerebbero sempre di più gli elementi della società in cui viviamo: cambiamenti moderni, ma che hanno la loro radice politica nel recente passato.

Ma, per inverso, abbiamo assistito anche alla nascita di un’ondata politica che rivendica delle battaglie che riguardano i timori dei “perdenti della globalizzazione”, quali i mutamenti dell’economia, la perdita della sovranità e la difesa dell’identità nazionale, e che si pone in maniera antitetica all’ideologia progressista.

Ha senso quindi, oggi, esaminare il concetto di “politicamente corretto” sotto una prospettiva storica, cercando di mostrarne l’inizio, l’evoluzione e quella che forse ne è oggi la fase calante? Questo è l’obiettivo del saggio del professore Eugenio Capozzi “Politicamente corretto. Storia di un’ideologia” (Marsilio, novembre 2018, pp. 208). Capozzi, ordinario di storia contemporanea all’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, chiarisce fin dalla premessa che l’obiettivo di tale ricerca è comprendere il politicamente corretto nella sua chiave storica, inserirlo nel suo contesto ed evidenziare le forze che ne hanno favorito l’ascesa.

L'autopsia del politicamente corretto nel saggio di Eugenio Capozzi

Perché cos’è il politicamente corretto? Esso è, secondo l’autore, “non una degenerazione del linguaggio, un tic del discorso pubblico o una moda delle classi colte”, ma “una retorica che pretende un monopolio inflessibile sulla dialettica civile e politica […] e che si auspica universalmente condivisa a prescindere”, in quanto identificata con l’idea del progresso. Il politicamente corretto, nato a metà degli anni settanta in senso negativo e critico, oggi è il vero stadio finale, “l’ultima forma”, del progressismo, intendendo con quest’ultimo l’idea secondo la quale la civiltà può continuamente perfezionare sé stessa grazie a un progetto politico, “estirpare le disuguaglianze e le ingiustizie del passato per condurre le società verso un avvenire glorioso”.

Capozzi divide il libro in cinque capitoli, ognuno dei quali copre più esaurientemente quelle che sono le sfere umane in cui il politicamente corretto ha imposto la propria dottrina: si inizia parlando della “ideologia dell’Altro”, in cui ad esempio si evidenzia come la nuova borghesia dei “baby boomers” abbia abbracciato il progressismo in quanto ideologia che più si confaceva al loro ruolo di professionisti nei campi dei media, dell’accademia e dell’intrattenimento di massa – al contrario dei padri, più legati a un’economia industriale.

Nei capitoli successivi si esaminano, poi: la “smania” terzomondista e come l’Occidente e la sua cultura vengono additati come causa suprema dei mali del mondo (particolarmente interessante la parentesi sul “modello Imagine”, dalla celebre canzone di John Lennon); il modo in cui, oggi, i desideri vengono elevati a diritti (la rivoluzione sessuale dell’Homo Gaudens, la politicizzazione delle droghe e la seconda ondata del femminismo); l’ambientalismo, tema che oggi è molto sentito grazie alla sovraesposizione mediatica della piccola Greta Thunberg (“L’ambientalismo apocalittico diventa una sorta di lasciapassare, una patente pubblica di rispettabilità per chiunque voglia affermarsi, dalla politica alla cultura di massa, allo spettacolo e all’informazione”); la parte conclusiva del saggio, dedicata alla “dittatura dell’autodeterminazione”, esamina infine l’emergere della società “neutralizzata”, il punto finale dell’ideologia neo-progressista, epurata da eredità biologiche, storiche e culturali, e per inverso la nascita dei movimenti populisti come contro-ideologia e contro-narrazione all’ideologia praticata dalle aristocrazie globali.

I libri critici del progressismo e dei suoi lati più estremisti non mancano, come il sempre ottimo “Il paradiso in Terra” di Christopher Lasch. Il saggio di Capozzi ha il pregio di essere una summa, di illustrare al lettore tutti gli aspetti di tale ideologia in maniera quanto più chiara ed esauriente possibile, spingendo a riflettere su quali saranno gli sviluppi nel futuro. Di certo c’è che una battaglia ideologica è iniziata.

(di Federico Bezzi)

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