«Un signore olandese ha perso la sua battaglia per cambiare legalmente età. Ma la questione è tutt’altro che chiusa. Perché la discriminazione basata sull’età delle persone esiste e non è poi così diversa da razzismo e sessismo». Non è una fake news, ma bensì un articolo pubblicato da Vanity Fair, che racconta l’ultima follia dei radical chic: cambiare età.
L’articolo di Vf parla di Emile Ratelband, 70 anni. Lo scorso dicembre i giudici hanno rigettato la sua richiesta di cambiare legalmente l’età, «sforbiciandosi una ventina di anni».
In alcune interviste rilasciate nel corso della sua battaglia, spiega Vf, oltre a spiegare per quale motivo ritenesse la sua età anagrafica disforme da quella da lui fisicamente e psicologicamente percepita, formulò la seguente una domanda: «Se è legale cambiare nome o sesso, per quale ragione non dovrebbe esserlo cambiare età?». Joona Räsänen, docente di filosofia all’Università di Oslo, ha pubblicato un saggio sul Journal of Medical Ethics intitolato Moral case for legal age change.
Quest’ultima si è dichiarata favorevole al cambio nel caso che «una persona sia in forma fisica e mentale migliore di quanto generalmente si ritiene si possa essere a quell’età», che quella persona «non si identifichi con l’età ufficialmente riportata sui documenti e che «si trovi nella condizione di essere discriminata sulla base della propria età anagrafica».
«Perché l’età ufficialmente riconosciuta non dovrebbe equivalere alle reali condizioni di un individuo? Almeno nei casi in cui quell’individuo sia a rischio di discriminazione per via dell’età?», ha spiegato il docente.
Follia totale. Non ci può essere alcuna (seria) argomentazione a favore di una pretesa assurda di questo tipo, che fortunatamente anche i giudici olandesi hanno respinto. Accettare la propria età, l’avanzare del tempo, è una condizione determinante per stare bene e vivere serenamente con se stessi. Se non si accetta questo, ci si deve rivolgere a uno specialista. E anche uno bravo. Concedere la modifica dell’età secondo non si sa bene quale «discriminazione» – cari radical chic, piantatela! – creerebbe un precedente pericoloso e assurdo.
(di Roberto Vivaldelli)