“La mafia non ha nazionalità”. Parola dei deputati PD. Pur di lanciare emergenze razzismo, ormai è bene chiudere gli occhi, per l’ennesima volta. Dobbiamo crederci?
A dir la verità, la cultura che viene (anche) da sinistra non ha fatto altro che generalizzare l’italiano medio, oltre che quale analfabeta funzionale, come corrotto e mafioso. La declinazione locale, poi, c’è sempre stata in generale: mafia siciliana, ‘ndangheta calabrese, camorra napoletana eccetera. Per non parlare del banalissimo apostrofo sul “clan dei casalesi”, non tale per chissà quale ostilità verso gli abitanti di Casal di Principe, ma per una ovvia constatazione di fatto.
Improvvisamente, per i signori della sinistra parlamentare diventa fondamentale non etichettare, neanche le organizzazioni. Niente definizioni, per carità, qualificare una provenienza è razzista e discriminatorio. La criminalità organizzata – adesso – non ha bandiera e non ha passaporto.
Il motivo? L’impossibilità, spalle al muro, di negare l’esistenza della mafia nigeriana ormai infiltratasi nel nostro tessuto sociale anche grazie all’accoglienza indiscriminata. S’intenda, un’impossibilità al seguito di un paio d’anni prima di aperto diniego del fenomeno, poi di squallido tentativo di definirlo “subappalto” per gentile concessione della ben più cattiva Cosa Nostra italiana (qui si può usare, tranquilli, non è razzista).
Qualcuno ha giustamente affermato che a questo punto sarebbe il caso anche di proibire le proiezioni di una intera cinematografia hollywoodiana descrivente la criminalità italiana trapiantata nel Nord America, ma ci sentiamo di respingere il suggerimento: sono considerazioni che valgono solo se riguardano immigrati clandestini da accogliere ad ogni costo in questo disgraziato Paese.
(di Stelio Fergola)