Dopo il turpe editoriale di Antonio Polito di qualche giorno fa sul Corriere della Sera (La nuova epoca segnata dai muri: Nel 1989 erano 16 oggi sono 63) arriva su Instagram la copertina di questo libro.
Polito era stato capace di accomunare la Grande Muraglia Cinese e i Comuni italiani medievali quali esempi di “apertura”, decontestulizzando completamente la storia della prima (troppo peculiare l’esperienza cinese, considerato lo spazio davvero enorme) e inventando deliberatamente sui secondi, oltre a cucinare un pasticcio totale tra muri e confini, mettendo ancora in piedi la storiaccia senza senso del muro di Berlino, ovvero non un confine tra nazioni ma una costruzione del tutto relativa ad una determinatissima e quasi irripetibile circostanza storica.
“L’epoca dei muri”, messa o no nel titolo di un libro, è l’ultima invenzione della cultura progressista e globalista. Se ci sono più recinzioni (che non vuol dire confini) è solo perché da 40 anni si sta attuando una guerra senza quartiere ai concetti di regole, di nazionalità, di cittadinanza, di frontiere, riducendole ai minimi termini con i risultati drammatici ai quali stiamo assistendo nell’Europa “avanzata”. È ovvio che qualcuno reagisca a un crimine del genere.
Onestà intellettuale sarebbe chiamarla per quello che è: epoca senza frontiere e senza regole. Ma a rivoltare le frittate, da sponda sinistra, sono sempre stati dei campioni assoluti.
(di Stelio Fergola)

“L’epoca dei muri”: in ere di migrazioni di massa, l’ultima balla dei progressisti
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