Genealogia dell’iconoclastia: dalla religione alla politica

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Il termine Iconoclastia viene utilizzato generalmente per indicare un atteggiamento antagonista, distruttivo nei confronti delle immagini, siano esse materiali o immateriali. Iconoclasta è colui che è “critico, spregiudicato e irriverente, di principi e credenze comuni; spinto o motivato da un’indiscriminata polemica distruttiva” (Treccani).

Comunemente associata al movimento religioso che prese forma nell’impero bizantino nel VIII secolo, va distinta da un altro tipo di Iconoclastia, quella politica: possono fungere da esempio atti terroristici quali la distruzione del Buddha nella valle di Bamiyan nel 2001 ad opera di talebani, o la più recente distruzione del tempio di Palmira ad opera dei militanti dell’Isis. Sono anche da prendere come esempio le ingiurie compiute negli ultimi mesi negli USA contro le statue di alcuni protagonisti della guerra di secessione o a quelle di Cristoforo Colombo.

Il fenomeno assume perlopiù un’accezione negativa in quella che è appunto la civiltà delle immagini, l’occidente. In realtà è caratterizzato da diverse interpretazioni e forme nel corso della storia e tra le differenti culture.

Iconoclastia “greca”: secondo Platone l’arte è mimesis che imitando inganna, un’accusa pari a quella che viene rivolta al sofista, il quale finge di conoscere, ma ciò che conosce davvero è l’arte del parlare. Siccome il mondo materiale è ombra di quello soprasensibile, l’eikon (icona) è imitazione di un’ombra, copia di una copia.

L’arte dell’imitazione a lungo andare diventa dannosa in quanto può ingannare l’eccessiva somiglianza tra rappresentazione e rappresentato e quindi chi ne è attratto rimane dentro la caverna. Mentono gli attori, i pittori, gli scultori, i falegnami. Al contrario i filosofi sono vicino a Dio perché fanno di loro stessi un eikon piuttosto che produrre.

Emblematico è il mito di Narciso di Ovidio, della lettura tragica dell’immagine che rimanda a sé stessa. Plotino prima e lo Pseudo-Dionigi poi parleranno dell’immagine come metafora della natura divina:  attraverso i loro scritti si svilupperà l’estetica medievale e quindi l’arte sacra. L’arte pittorica diventa via privilegiata del passaggio dal visibile all’invisibile.

Iconoclastia islamica: Nel corano si trovano si trovano due linee di fondo che si oppongono alle immagini: l’idea che solo Dio è formatore e la necessità fuggire da ogni forma di idolatria. Certo vi sono delle eccezioni, che si possono ritrovare in moschee con rappresentazioni di animali, uomini o addirittura Maometto. Si tratta appunto, di diverse maniere di intendere l’arte islamica codificata tra VIII e IX secolo, legate alla cultura persiana e indiana, Paesi dove vi era una tradizione figurativa forte. Basti pensare che uomini o animali non sono rappresentati nella Cupola della Roccia di Gerusalemme, il più antico capolavoro di architettura islamica esistente

Iconoclastia ebraica: L ’unico israelita che si è permesso di costruire oggetti per il culto del Signore e non per idolatria cadde proprio in questo peccato, e fu Salomone. In tutto l’antico testamento vi è un interdizione che non riguarda solo l’atto di adorazione dell’immagine, ma anche nel produrre figure generalmente intese

Iconografia cristiana: Stesso discorso può essere fatto riguardo al cristianesimo delle origini sebbene nel Nuovo Testamento non vi sono esplicite proibizioni né inviti alla produzione di immagini sacre. Dopo l’editto di Costantino del 313, il mondo occidentale si trasformerà: ci si rivolgerà ad un popolo abituato alla comunicazione per immagini del potere romano. L’icona, l’arte diventa parte del cristianesimo istituzionalizzato e paganizzato. Le figure diverranno per le masse convertito strumento catechistico, quindi educativo, scopo che verrà poi confermato dai Padri.

Il concilio di Nicea II è un episodio sul quale bisogna soffermarsi maggiormente, non a caso il termine stesso Iconoclastia lo si fa risalire a tale avvenimento. Si potrebbe dire che i destini dell’arte si siano decisi tra il 726 e il 787 d.C., cioè fra la distruzione delle immagini sacre ordinata dall’imperatore bizantino Leone III Isaurico e il successivo concilio che deliberò invece la liceità del loro culto.

Gli iconolatri (coloro che sostenevano le immagini) erano menti sottili: sostenevano di rappresentare Dio per la sua maggior gloria, ma in realtà dissimulavano il problema della sua esistenza, simulando le immagini. Non vi possono essere dubbi sull’influenza svolta dal concilio nella civiltà occidentale medievale, moderna, postmoderna. La dichiarazione di liceità delle immagini stilata nel 787 dai Padri Conciliari è universalmente riconosciuta come origine teorico politica della civiltà delle immagini.

Carlo Magno, assumerà  una posizione intermedia che sarà circa quella della Chiesa fino al XVI secolo. Nei “Libri Carolina” infatti si legge: “non bisogna rappresentare Cristo né i suoi santi, solo una <> che ricordi la storia del popolo di Dio e della sua alleanza”. San Bernardo, San Francesco d’Assisi e Girolamo Savonarola, manifesteranno, ciascuno a suo modo, un’ostilità verso le immagini fino ad arrivare a Lutero. I fautori della Riforma ve della Controriforma si rifaranno spesso a questa disputa teologicica, ovviamente i primi a favori degli Iconoclasti, i secondi per gli iconolatri.

Le immagini continuano ad avere un ruolo centrale dopo il declino della religione cristiana come collante sociale, in una società secolarizzata e disincantata che si è costruita nel corso della modernità. L’uomo ha sempre creato immagini per poi distruggerle, per quale motivo? Per colmare quel vuoto lasciato da un Dio che non si vede.

Dobbiamo dunque fare i conti con la rappresentazione in tutte le sue forme, contestualizzando il loro significato ideologico, morale, religioso, politico, filosofico. Ma quale criterio di giudizio va adottato? Ovviamente dipende dalla nostra visione del mondo.

(di Emilio Bangalterra)

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