65 anni di Robben Ford

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Miles Davis, Kiss, Muddy Waters, George Harrison sono solo alcune delle collaborazioni di cui possono vantarsi Robben Ford e la sua fedele ed immancabile Epiphone.

Il suo stile e il suo modo di concepire il Blues, il quale raramente segue i pattern tipici delle cosiddette “12-bars” adottate pressoché da chiunque, ricorda molto quello dei vari Jelly Roll Morton e Buddy Bolden – coverizzati da Hugh Laurie in “Let Them Talk” nel 2011 – i quali, negli anni ’20, cominciarono ad inserirci fraseggi ed accordi in puro stile Jazz, seppur con strumenti diametralmente diversi (pianoforte il primo, corno il secondo).

Cresciuto chitarristicamente con il Mike Bloomfield degli anni della Telecaster e della Paul Butterfield Blues Band (1965), allo studio pre-confezionato e ai tecnicismi  (conosce forse 3-4 accordi come B.B. King) ha sempre preferito il feeling e il cosiddetto “Blues Rhythm” che gli conferirà, negli anni, una dinamica, un approccio alla ritmica e una potenza di suono sempre riconoscibile, indipendentemente dallo strumento. Senza contare il senso melodico in fase di improvvisazione.

L’amore per B.B. King, viscerale tanto quanto quello di Eric Clapton nei confronti degli armonicisti, di Albert Collins nei confronti degli hammondisti e di Chuck Berry nei confronti dei pianisti, si manifesta nei toni semi-chiusi e nel suono pulito dell’Humbucker al manico della sua Epiphone, sporcata solo nell’estrema necessità come la Lucille di Blues Boy Tune. Tra i tanti live, resta famoso quello nel 1989 alla corte di Renzo Arbore dove riadatta, con tocco, delicatezza e maestria, Ain’t Got Nothing But The Blues (Talk to Your Daughter – 1988), brano di Duke Ellington, maestro assoluto dei Jazz Standard insieme a Cole Porter, al Jerome Kern di All The Things You Are e via dicendo.

65 anni di un personaggio che non ha mai finito e mai finirà di stupire.

(di Davide Pellegrino)

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