Barbero

Perché Alessandro Barbero è un nemico della cultura patriottica

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Alessandro Barbero è un nemico. Culturale, ideologico, nazionale, vedetela un po’ come vi pare. Fatto sta che non è un esponente della controcultura, come per qualche anno ha dato l’impressione di essere grazie al suo – indubbiamente mirabile – lavoro di smentita sul fantomatico “lager di Fenestrelle“, la fortezza dove, stando ai famigerati neoborbonici, sarebbero morti per sterminio chissà quanti meridionali prigionieri successivamente all’unificazione del 1860-1861: ma questa è un’altra storia.

Barbero, professore della cultura dominante

Alessandro Barbero è uno studioso di assoluto livello, e questo deve essere ben chiaro. Nessuno potrebbe mai discutere la sua preparazione, su alcuni ambiti in particolare (Medioevo, Risorgimento).

Nessuno potrebbe mai discutere la sua eccellente dialettica, accattivante come poche: non è una casualità che le sue conferenze su Youtube siano molto apprezzate, anche per il suo atteggiamento vivace e – ammettiamolo – anche simpatico, in grado di attrarre l’interesse di tutti, giovani e anziani.

Ma è proprio l’attrattività di Barbero a costituire il suo lato più pericoloso. Perché essere seducenti significa anche poter far passare qualsiasi idiozia  nell’immaginario collettivo, specialmente in quello giovanile, molto sensibile alla leggerezza e alla fruibilità. Andremmo anche oltre: proprio la sua elevata preparazione ne rende peggiore il giudizio dal punto di vista morale.

Ed ecco che quindi il professor Barbero si rivela un alleato – probabilmente a questo punto involontario – quando si tratta di smentire Fenestrelle e l’ennesima infangata senza fonti del Risorgimento, si mostra un nemico quando liscia il pelo alle inutilissime demonizzazioni antifasciste che dominano nella cultura di questa Nazione, con i risultati drammatici che viviamo oggi, soprattutto a livello psicologico.

L’ultima è forse quella più grave, e riguarda le Foibe. Pur non negando il fatto storico di per sé (bontà sua) il professore e nemico Barbero “la tira su”, nell’intervistas al Fatto Quotidiano, con il più classico e bieco cerchiobottismo:

La falsificazione della storia da parte neofascista, di cui l’istituzione della Giornata del ricordo costituisce senza dubbio una tappa, consiste nell’alimentare l’idea che nella Seconda guerra mondiale non si combattesse uno scontro fra la civiltà e la barbarie, in cui le Nazioni Unite e tutti quelli che stavano con loro (ad esempio i partigiani titini, per quanto poco ci possano piacere!) stavano dalla parte giusta e i loro avversari, per quanto in buona fede, stavano dalla parte sbagliata; ma che siccome tutti, da una parte e dall’altra, hanno commesso violenze ingiustificate, eccidi e orrori, allora i due schieramenti si equivalevano e oggi è legittimo dichiararsi sentimentalmente legati all’una o all’altra parte senza che questo debba destare scandalo.

Dunque le Foibe sono esistite, ma le Foibe sono una falsificazione storica. Anzi no, “perché”. Tutto liscio.

Secondo Barbero “scegliere una specifica atrocità per dichiarare che quella, e non altre, va ricordata e insegnata ai giovani è una scelta politica, e falsifica la realtà in quanto isola una vicenda dal suo contesto”.

Come se la narrazione della seconda guerra mondiale non avesse fatto altro, negli ultimi 80 anni, spacciando per una lotta di libertà una questione che – se proprio dobbiamo fare i democratici – non avrebbe alcun motivo per “salvare” la vittoria sovietica e “demonizzare” quella eventuale nazista.

Solo lo schieramento delle forze in campo, da qualsiasi punto di vista lo si guardi (liberaldemocratico o totalitario-anticapitalista) dimostra scientificamente che il secondo conflitto mondiale non ha visto né buoni né cattivi, ma solo opposti decisi ad annullarsi l’un l’altro. In alcuni casi, opposti che finiscono come alleati (Stati Uniti e Unione Sovietica, per l’appunto).

Ciò tralasciando la definizione di “neofascista”, riferita alle forze che avrebbero consentito la nascita della “giornata del Ricordo”, che sfiora veramente il ridicolo e fa abbassare il professor Barbero al livello di scrittori da quattro soldi quali Antonio Scurati o Gianrico Carofiglio (per citare i primi che vengono in mente, è un elenco purtroppo lunghissimo), piuttosto che ad un accademico che conosce bene le materie di suo interesse e in quanto tale non può essere che interpretato come in malafede.

Il professore e la retorica di massa

Non è la prima volta che Barbero si lascia andare a retoriche assolutamente mainstream, dopo essersi guadagnato per un solo caso specifico la fama della “mente controcorrente”.

È nota la sua critica all’equiparazione tra “fascismo e comunismo”, in un turbine di cortocircuiti che richiamano molto quelli del classico sinistro medio italiano: “sì, il comunismo era una dittatura brutta e cattiva ma si richiamava a ideali buoni, mentre il fascismo era peggio ed era il male assoluto” è la sintesi di questo pensierino degno di un sussidiario delle elementari, che un serio studioso come Barbero ricicla, ma solo in forma più elegante e -purtroppo – seducente.

È nota la sua posizione sulla presenza del fascismo in Italia (“una parte degli italiani sono ancora fascisti!”), altro momento di assoluto degrado in favore del mainstream che fa quasi pena, per la sua ricerca di visibilità e di consenso dei padroni.

Insomma, al professor Barbero vanno indirizzati i ringraziamenti per avere fatto almeno una cosa giusta nella sua vita: demolire una delle peggiori leggende neoborboniche, a tutto vantaggio di un recupero almeno minimo della storia risorgimentale. Ma una Fenestrelle non fa primavera, dunque preferiamo fermarci lì.

Non dando alcun credito a chi diffonde narrazioni storiche del tutto inclini a una sottospecie di “comunismo che non è comunismo” ma che, in compenso, si rivela nella solite manifestazioni di allineamento al peggior liberismo globalista ed europeista e al solito, insopportabile, anti-italianismo.

(di Stelio Fergola)

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