Giuseppe Mazzini Patria

Giuseppe Mazzini: “La Patria è dell’uomo, non dello schiavo”

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Giuseppe Mazzini nel 1859 scriveva: “Finché, domestica o straniera, voi avete tirannide, come potete aver Patria? La Patria è la casa dell’uomo, non dello schiavo”.

Un pensiero contenuto tra le pagine della sua breve ma intensa opera Ai giovani d’Italia. Un accorato richiamo ai giovani del tempo, affinché trovassero, nell’intimo della loro coscienza, quella pulsione dello spirito verso la volontà di perseguire la definitiva liberazione e unificazione dell’Italia, quindi, di conseguenza, di loro stessi. Tempi ed eventi storici che oggi ci appaiono assai distanti, ma parole e concetti che risuonano ancora fragorosamente, con un valore dirimente.

Giuseppe Mazzini e quella Patria da cui siamo lontanissimi

Se è vero che oggi non viviamo più nella tirannide straniera, così come in quella domestica – non quella fatta di elmetti e trincee, perlomeno – possiamo altrettanto definirci, come Nazione, veramente sovrani, e quindi liberi? Abbiamo realmente la fondamentale libertà di affermare noi stessi, la nostra presenza, come comunità nazionale e non semplicemente come individui, nei confronti dell’esterno, al di fuori dei nostri confini geografici, o quantomeno all’interno di essi, per questioni che vadano oltre le piccole esibizioni di civiltà e gli esercizi di stile? Avere la facoltà di esercitare, in modo indipendente, alcune specifiche condotte sociali, politiche, economiche, è requisito indispensabile affinché uno Stato possa definirsi sovrano, e in quanto sovrano, libero.

Impossibilitati a difendere i confini nazionali dall’immigrazionismo, pena l’onta di Paese xenofobo; impossibilitati ad attuare una politica estera che persegua un reale interesse nazionale – pur in modo bilaterale e collaborativo -, pena l’accusa di Stato imperialista; estremamente limitati nella possibilità di perseguire una politica economica realmente libera da vincoli imposti dall’esterno, da paletti calati dall’alto, a meno di non voler essere dipinti come un popolo di scialacquatori e scansafatiche. E così via, la lista continua, ma il concetto è chiaro: la nostra Patria, oggi, è la casa dell’uomo o dello schiavo?

Come comunità, come italiani, abbiamo probabilmente smarrito nel tempo, tra gli anfratti della storia, lo stesso concetto primigenio di libertà connessa all’esistenza della Nazione. Quella libertà individuale del volersi affermare come uomini e non come schiavi, che si fa libertà collettiva e si compie all’interno della comunità nazionale. Voler sostenere la libertà di ogni singola persona nel suo affermarsi nel mondo, senza sostenere la libertà di un intero popolo, che si riconosce unito sotto una precisa identità comune, nel suo volersi affermare e proiettare verso l’esterno, risulta essere una contraddizione insolubile.

La Patria va insegnata, seguendo l’esempio di Mazzini

A questa dissoluzione della capacità di concepire la libertà come sovranità – e viceversa -, si accosta un altro punto critico, forse più astratto, ma altrettanto – se non maggiormente – esiziale: lo smarrimento totale del concetto stesso di Patria, e non soltanto in un senso puramente materiale, ma fin nel suo più intimo significato spirituale. La Patria, oggi, sembra diventata un retaggio del passato, un polveroso monumento della storia, un sentimento che smosse i grandi personaggi del tempo che fu, indirizzando le loro gesta, ma che ormai, ai nostri tempi, può declinarsi soltanto nelle piccole cose frugali, in quegli ultimi, deboli afflati di un animale agonizzante. Muore la bestia e muore con essa lo spirito patriottico: pensare arditamente, desiderare la gloria del proprio Paese in un senso geopolitico, non è più concepibile.

Esistono individui che sviluppano, in modo innato, un intrinseco amor patrio; ma essi sono una rarità, e lo sono sempre di più nella società contemporanea. Per tutti gli altri, la cultura della Patria è un elemento che va coltivato, che necessita cure e attenzioni, che si tramanda di generazione in generazione. Smettendo di educare alla cultura patriottica, abbiamo soppresso il fondamentale elemento di sopravvivenza della comunità nazionale. Ciò che oggi viene tramandato alle future generazioni, non è più la capacità di essere fieri e degni italiani, ma soltanto degni cittadini: civili, educati, rispettosi, ma completamente incapaci di lottare per la sopravvivenza del proprio Paese, in quanto ormai privi dell’amor patrio più profondo, considerato retrivo, relegato a ruolo di puro ornamento, buono soltanto per far da belletto ai logori sepolcri del passato. .

Il nostro odierno concetto di Patria, non è più quello di terra dei padri, che educa alla lotta – oltre che al rispetto -, che insegna le virtù del coraggio e del vigore, della volontà, del sacrificio, che richiede anche obbedienza e pretende la volontà di imparare ad accordare desideri e slanci personali, in armonia con quelli della collettività nazionale, in nome di un benessere sociale fortificato dalla naturale propensione, di ogni individuo, a fraternizzare primariamente con chi condivide la sua stessa identità – poi, di conseguenza, con il resto dell’umanità. Oggi, invece, desideriamo un modello di Patria esclusivamente protettivo, che non richiede sforzi, che educa sostanzialmente all’infantilismo, alla non-virtú perché tutto concede, senza nulla chiedere in cambio; un modello che premia sempre la competizione a discapito della collaborazione, che distrugge l’identità nazionale a favore di una non-identità globale, che non forgia più uomini e donne fieri della propria identità, ma monadi estraniate, che si identificano con l’altro solo per stimolo indotto, per artificio e non per intima natura. Questa identità individuale non mira più ad armonizzare il singolo alla sua comunità, quanto piuttosto ad alienarlo dalla società stessa, così da renderlo perfettamente plasmabile, completamente volubile.

Sepolta l’educazione nazionale, che lo stesso Mazzini definiva il pane dell’anima, lentamente, ma inesorabilmente, è venuto sempre meno il riconoscersi in una precisa identità nazionale che vada oltre le piccole e semplici cose della vita quotidiana. La logica conseguenza di questo processo, è l’inevitabile esaurimento della volontà, del singolo, di perseguire uno scopo nazionale; ovvero l’interesse alle sorti della propria Nazione, l’aspirazione di edificare la miglior opera possibile per la grandezza dell’Italia – nel nostro caso – nel mondo. Un’aspirazione che non è idealismo sterile – pur non avendo nulla contro l’idealismo, anzi -, ma che si concretizza nell’organicità della comunità italiana, nell’interesse di tutti verso il benessere proprio e altrui, del proprio vicino, di colui che parla la nostra stessa lingua, che espone il nostro stesso tricolore, che si riconosce nei nostri stessi usi e costumi. E se non abbiamo sincero interesse verso il prossimo, come possiamo averlo verso il distante?

Ogni individuo vive il bisogno intrinseco di determinare ed affermare la propria persona, in armonia con i gruppi sociali nei quali esso opera; è un bisogno profondamente umano. Questo bisogno non può che esplicarsi in modo progressivamente espansivo, ovvero di nucleo sociale in nucleo sociale: dal primario e più piccolo, ovvero la famiglia, fino al massimo possibile per quelle che sono le proprie possibilità di incontro e interazione. Il nucleo di passaggio indiscutibile – che per molti potrebbe essere anche quello massimo, per tutta la vita – è proprio quello della comunità nazionale. Non si potrà mai autodeterminare sé stessi in armonia con l’intera umanità, se prima non vi sarà possibilità di perseguire un reale interesse nazionale. La Patria è la casa dell’uomo: e l’uomo, per esser degno, deve prima curarsi della propria casa, per poter poi curarsi delle case altrui.

Proprio da questo dovere e bisogno di tornare ad essere Nazione, forte, libera e indipendente, riaffiora il sovranismo odierno; tema sul quale tanto è già stato detto, importanti pagine sono state vergate, molte negli ultimi tempi, da pregevolissimi autori. Un’ideologia che si ispira al passato, in quanto costretta a riaffermare l’ovvio, ma che ha bisogno di rinnovamento, di nuovi slanci e nuove menti, per poter affrontare le sfide dei tempi odierni. Sfide come l’ideologia mondialista imperante, che vorrebbe mandare al macero ogni concetto di comunità nazionale, ritenendolo reazionario e stantio, da sostituire con un più moderno e funzionale modello monadistico dell’essere umano, che non ha Patria, non ha una lingua madre, non vive dentro dei confini – pur potendoli varcare con libertà, ovviamente -, non ha essenzialmente identità perché, come un liquido, si adatta di volta in volta alla forma del contenitore; un individuo che è ovunque, e quindi, come diceva Seneca, non è da nessuna parte.

La Patria e la sovranità, due idee indissolubilmente legate; non torneremo mai ad essere sovrani, come Stato, e quindi liberi, come comunità, fin quando non torneremo a coltivare e sviluppare un autentico senso patriottico, educando le nuove generazioni a quei valori andati distrutti nel passato, ma in una prospettiva che propenda lo sguardo al futuro. Quindi educare al nuovo, sia chiaro, non un ritorno al vecchio, non prendendo i novecenteschi concetti di nazionalismo per riprodurli, tali e quali, nei tempi odierni; sarebbe una pessima arma da brandire contro il globalismo dell’indistinto. Riportare indietro le lancette della storia non è mai una buona idea: essa si compie nel divenire e i suoi processi vanno sempre avanti, non possono tornare indietro. Opporsi ad un processo come il globalismo, dunque, non deve significare tentar di riesumare fantasmi del passato, quanto piuttosto costruire e proporre idee alternative nuove, che possono ispirarsi a valori di un tempo trascorso, ma che devono essere mediate dalle contingenze del momento presente, per poter aderire al contesto storico attuale.

Tornare alla libertà, un sogno da inseguire, sempre

L’auspicio, dunque, è quello di tornare ad educare noi stessi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, alla cultura della Patria, per tornare ad essere nuovamente fieri e degni italiani, e non più soltanto bravi cittadini. Non tentare di intraprendere questo percorso, significherebbe abbandonare definitivamente la bestia agonizzante a sé stessa, lasciar perire il nostro Paese, e con esso il suo popolo – cioè noi – senza nemmeno provare a combattere.

In conclusione, così come in principio, ecco nuovamente le parole di Giuseppe Mazzini nel suo accorato richiamo ai giovani italiani, che meglio descrivono qualsiasi concetto fin qui espresso: “La Patria è il sogno, il palpito, il desiderio segreto d’ogni anima che s’informa a vita sulle vostre terre. Come il bambino che s’agita cercando tra i sonni il seno materno, come quei fiori che si volgono nella notte nera verso la zona del Cielo dove apparirà sul mattino il sole fiammante, voi, nei sonni irrequieti della servitù, nella tenebra serva e greve dell’isolamento, andate brancolando in cerca della Madre comune che ha nome Patria, e interrogate ansiosi l’orizzonte a scoprire da qual punto accenni sorgere il Sole della vostra Nazione”. “Finché, domestica o straniera, voi avete tirannide, come potete aver Patria? La Patria è la casa dell’uomo, non dello schiavo”.

(di Michele Lanna)

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