Swing states, vicepresidenza e convention sulla rotta delle elezioni USA

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La rotta verso le elezioni presidenziali del 3 novembre negli Stati Uniti è costellata da alcune sfide nelle sfide che determineranno il risultato finale tra l’inquilino uscente della Casa Bianca Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden.

Swing States: elemento chiave delle elezioni

Gli Stati in bilico indicati dalle principali case sondaggistiche sono: Florida, Nord Carolina, Wisconsin, Michigan, Arizona, Pennsylvania e il seggio Nebraska 2. Nella sfida del 2016 contro Hillary Clinton in tutti questi Swing States si affermò il magnate newyorkese per cui un capovolgimento in autunno renderebbe impossibile una sua riaffermazione.

Quattro anni fa Trump e il suo staff strapparono: Florida, Wisconsin, Pennsylvania, Michigan, Ohio e Maine 2. Solo questi ultimi due sembrerebbero essere stati blindati dal Partito repubblicano che si confermò senza grandi difficoltà in casi oggi dati come più incerti (Arizona, Nord Carolina, Nebraska 2 e per alcuni perfino il Texas). Solo poche migliaia di voti impedirono, invece, in altri quattro Stati (New Hampshire, Nevada, Minnesota e Virginia) al candidato del Grand Old Party di trasformare la prima elezione in una vittoria ancor più eclatante.

Il ruolo dei Grandi Elettori e l’effetto domino

L’elezione presidenziale negli Usa è, difatti, un’elezione indiretta dato che il candidato vincitore in ogni singolo Stato (fatta eccezione per Maine e Nebraska che li assegnano anche con collegi geograficamente divisi all’interno dei propri confini) si accaparra tutti i Grandi Elettori messi in palio a cui poi spetterà l’indicazione del nominativo per la presidenza. Proprio nell’ultima occasione si è avuto il record di Grandi Elettori che hanno “disubbidito” alle indicazioni dei cittadini votando diversamente dal previsto. Sui 538 G.E. furono ben 7 a non mantener fede alla parola data, di questi 5 fra i sostenitori della Clinton e 2 fra quelli di Trump.

Questa possibilità, seppur remota, fa sì che in particolare Donald Trump, che non nutre dell’assoluta fedeltà nel calderone repubblicano, debba superare la soglia di 270 G.E. per essere al riparo da sorprese negative. La soglia di 304 G.E. raccolta nel 2016 è a rischio prevalentemente nella Rust belt che lungamente ha sorriso ai democratici nelle tornate precedenti.

Non è un caso che il partito dell’asinello abbia fissato la propria convention a Milwaukee, in Wisconsin. Biden, che pure ha diversi problemi con l’ala di sinistra del partito, ha acceso i riflettori sul Midwest con la consapevolezza che riconquistare quei seggi gli basterebbe per sovvertire l’andamento prefiguratosi alle ultime votazioni.

Dal proprio canto Trump sembra voler assicurarsi prima quegli Stati che seppur dichiarati in bilico lo vedono in vantaggio in alcuni sondaggi e dal peso non indifferente in quanto a G.E. In quest’ottica bisogna leggere la decisione si sdoppiare la convention repubblicana tra la sede originaria in Nord Carolina e quella di Jacksonville in Florida subentrata dopo le polemiche innescate dal governatore democratico della Nord Carolina.

La composizione etnica e religiosa di alcune zone della nazione nordamericana consente di ragionare seguendo l’idea di un possibile “effetto domino”. Qualora, infatti, Trump dovesse perdere negli Stati del Midwest in cui si era affermato nel 2016 difficilmente potrebbe rendere competitiva la sfida nel Minnesota in cui pure sfiorò il colpaccio. Lo stesso si può dire del sud-ovest dove la sfida in Arizona, dove i dissidi con la famiglia McCain e l’incremento demografico della popolazione ispanica hanno riaperto la partita a favore di Biden, si giocherà in parallelo con quella del Nevada che insieme al caso isolato del New Hampshire rappresenta una possibilità di tamponamento dell’emorragia di G.E. per il presidente in carica.

Elezioni USA: la scelta dei vice e il dato anagrafico

Un’altra carta nelle mani di Biden è la scelta del proprio vicepresidente. Al momento l’unica certezza è che si tratterà di una donna, cosa che non restringe più di tanto le possibilità. Si potrebbe optare per un’afroamericana per provare a fare all in fra le minoranze o aprire all’ala socialista con la nomina di Elizabeth Warren che tramite il mancato endorsement a Bernie Sanders dopo il ritiro dalle primarie ha agevolato il successo di Biden. Qualcuno non esclude addirittura la discesa in campo di Michelle Obama con il marito pronto a tessere le fila qualora Biden, dopo aver vinto, non dovesse portare a termine l’intero mandato.

Non è da sottovalutare, infatti, il dato anagrafico che vede i due sfidanti presentarsi alla soglia della sfida con 74 anni compiuti da Trump e 78 da compiere proprio nel mese di novembre da Biden.

Più scontata la conferma alla vicepresidenza in casa repubblicana con Mike Pence confermato nel ruolo. In definitiva insieme alle ricadute sul settore economico e lavorativo della pandemia di Covid-19 che ha già messo in crisi la sanità Usa, alla scelta del sistema di voto che potrebbe allargare il numero di partecipanti tramite l’opzione postale, anche la possibilità di tornare ad effettuare una campagna elettorale alla vecchia maniera con comizi e incontri con gli elettori potrebbero generare una risalita nei consensi del populista al governo in grado di riaprire quella che tutti considerano una partita già chiusa, proprio come avvenne quattro anni fa con l’incoronazione della Clinton anticipata di settimane rispetto all’inatteso tonfo finale.

(di Luca Lezzi)

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