Trump: l'imprevisto del deep state e delle élites globaliste

Trump: l’imprevisto del deep state e delle élites globaliste

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Mentre il mondo si interroga sul potere delle élite globaliste e di tutto quel conglomerato di forze storiche, economiche, sociali e culturali ad esse collegate, nonostante la passione “esotica” di determinati ambienti politici radicali, l’imprevisto che rimescola le carte questa volta viene da Ovest, e si chiama Donald Trump. Con la sua politica volta al potenziamento dell’economia reale a sfavore di quella speculativo-finanziaria e al contrasto dei circuiti di potere sopramenzionati, Donald Trump, seppur con posizioni diverse, si conferma il “più grande presidente USA” dai tempi di Kennedy.

Antitesi tra sovranismo e globalismo

Innanzitutto bisogna avere ben chiaro il quadro storico e politico nel quale siamo immersi, soprattutto in ciò che concerne lo “spirito del tempo”. Se vogliamo intendere la storia e la politica come “rappresentazione” di principî di profilo più “alto”, possiamo giungere ad una deduzione: è in atto una lotta tra due schieramenti di forze, non sempre precisamente divisi.

Da un lato tutto un blocco ampio e differenziato, strutturato intorno ai temi della sovranità economica, politica e culturale degli Stati nazionali, e quindi dei popoli, e che rappresenta un “principio d’ordine”. Dall’altro abbiamo le forze che vanno nella direzione della “omologazione globalista”, dell’annichilimento assoluto delle identità individuali e collettive, del dominio dell’economia dannosa e speculativa. In altre parole siamo in presenza delle “forze del caos”. Solo alla luce di questa contraddizione principale è possibile “vedere” i fattori di tipo economico-sociale, culturale, politico-internazionale e geopolitico, che seppur importanti, andrebbero però subordinati a tale contraddizione.

Le conquiste di Trump

Tra le conquiste concrete e i fatti salienti della politica di Trump, vi è sicuramente l’enorme impulso che ha dato all’economia nazionale. Prima dell’emergenza Coronavirus, la sua presidenza ha portato ai minimi storici il tasso di disoccupazione – il più basso degli ultimi 51 anni – con quasi 7 milioni di posti di lavoro in più, quando l’ufficio di bilancio del Congresso ne aveva previsti meno di 2 milioni fino al 2019. Pure la disoccupazione afroamericana, ispanoamericana e asiatico-americana ha raggiunto i livelli più bassi della storia USA. Salari, stipendi e redditi erano in costante e veloce aumento.

Tutto questo nonostante il forte rialzo dei tassi d’interesse da parte della Fed, la banca centrale degli Stati Uniti. Notevoli poi le posizioni contro l’egemonia culturale e mediatica di targa “globalista”, la quale attraverso la sua gigantesca macchina e i suoi soloni dalla serata televisiva facile, lo hanno letteralmente fatto a pezzettini sin dalla sua discesa in campo. E ancora la diffidenza verso strutture apolidi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e personaggi ambigui come Bill Gates: soggetti investiti di una sorta di ascetismo filantropico e medico-scientifico, ma dagli scopi eufemisticamente “dubbi”! Giusta l’idea di dichiarare le cosiddette organizzazioni antifasciste come “organizzazioni terroristiche”. Da guardare con favore anche per l’Italia, con cognizione di causa e giusta contestualizzazione, in particolare riguardo al mondo del “globalismo radicale”.

A sua discolpa vanno i fatti di Minneapolis circa la morte di George Floyd, probabilmente dovuta ad uno dei tanti abusi che la polizia statunitense infligge nel più dei casi indipendentemente dal colore della pelle. Abusi che tutti i movimenti globalisti, moderati o radicali – dai democratici ai cosiddetti antifascisti – non esitano a prendere a pretesto al fine di rovesciarne il governo. Dov’erano questi movimenti ai tempi della presidenza Obama o Clinton? Che cosa hanno fatto Clinton e lo stesso Obama a vantaggio degli afroamericani? Gli afroamericani stanno davvero tutti dalla parte dei movimenti tipo Black Lives Matter e contro Trump? E ancora, sulle morti per Coronavirus, addebitate indirettamente alla sua presunta leggerezza nella gestione dell’emergenza: come insegna la statistica, i dati vanno letti in percentuale! E in barba a quanto il mainstream ci racconta a reti unificate, gli USA non sono uno dei paesi più colpiti dal Covid-19, ma sono al settimo posto per tasso di mortalità. Come per ogni argomento veramente importante, la verità è molto più complessa rispetto alla narrazione del circo mediatico!

Donald Trump: gli USA e lo spirito di Calvino

Discorso a parte lo meritano certe “impostazioni” dello scenario politico radicale, le quali in maniera genuina combattono con sensibilità diverse il globalismo. Queste “impostazioni” sono troppo impregnate di “antiamericanismo”.

L’antiamericanismo è per certi versi un cimelio del passato, come la lotta alla NATO, schieramento sempre più svuotato di potere effettivo. Noi siamo in presenza di forze “trasversali” che si combattono. Il discorso da fare è che laddove io riconosco un “principio d’ordine” e direzionato dalla parte dei “popoli sovrani”, non posso far altro che sostenere tale principio, con tutte le criticità e le difficoltà del caso. Il fenomeno Donald Trump rientra in questo ragionamento. Del resto noi non possiamo pretendere dagli USA di “non essere” gli USA. Anzi, c’è lo “spirito calvinista” pienamente realizzato nella sua presidenza, la rappresentazione massima della “coscienza collettiva” del popolo americano.

Con Trump è l’anima dell’America profonda che si rivolta, contro la speculazione finanziaria, l’incubo della miseria e della disoccupazione, le violenze dei gruppi radicali globalisti, l’egemonia mediatica e politico-culturale di democratici e deep State, e le “fighetterie perverse” di LGBT, femministe e divi del jet set. C’è L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber dietro le imprese di quest’uomo, il self made man al potere. Un approccio prettamente economicistico che, al di là delle giuste critiche, rappresenta la quintessenza degli Stati Uniti.

Anche le ipotesi di tipo politico-internazionale o geopolitico che vedono gli USA come “forza imperialistica antieuropea”, oppure “potenza di mare” nemica di quelle di “terra”, andrebbero subordinate alla contraddizione principale menzionata all’inizio dell’articolo. Così come le critiche che evidenziano l’acceso “sionismo” della sua politica reggono poco. E non solo riguardo la questione mediorientale, non solo per i contrasti in atto in tutto il mondo ebraico tra globalisti alla Soros e sovranisti alla Nethanyau, né per la penetrazione delle forze sioniste all’interno del suo entourage.

Come pretendere che un presidente USA si isolasse, completamente e da un giorno all’altro, da tutti gli scenari mondiali? Come pretendere che possa tenere a bada il gigantesco deep State, che molto probabilmente gli ha combinato l’assassinio di Soleimani? Come pretendere che abbandonasse Israele e si sganciasse da una certa radice, che inevitabilmente è presente negli USA e nella sua stessa “coscienza collettiva”? In fondo come diceva l’economista e sociologo Werner Sombart con l’americanismo non vive che «spirito ebraico distillato»!

(di Roberto Siconolfi)

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