Secondo la leggenda il 21 aprile 753 a.C. Romolo fondò la città di Roma e, durante il rito di fondazione, uccise il fratello Remo, reo di aver compiuto un atto sacrilego. La leggenda è abbastanza nota a tutti. Si parla della Lupa, si parla del rito di fondazione, del fatto che Remo voleva essere re e del suo “salto” del confine appena tracciato della nuova città.
È un racconto molto noto in tutto il mondo. Fior fior di storici hanno scritto fiumi di parole sulla famosa fondazione di Roma. Non solo oggi, ma fin dai tempi più antichi. Già i Romani erano interessati al racconto delle origini della loro gloriosa città.
Ancora oggi nella nostra capitale si susseguono scavi di archeologi e ricercatori alla ricerca di tracce della Roma romulea e dei primi re latino-sabini. Il mito, come sempre, va al di là del conoscibile e del conosciuto, e ci racconta verità eterne che attraverso simboli e leggende. Cerchiamo ora di fare chiarezza su alcuni lati del mito poco conosciuti.
Da Troia al Lazio, il viaggio di Enea
La storia di Romolo e Remo non nasce in Italia, ma la sua origine si trova lontano, molto lontano, fino nell’attuale Turchia. La sua origine si trova infatti nel primo poema epico europeo della stora: l’Iliade. Si, perché come tutti sanno Romolo e Remo sono discendenti del grande Enea, principe troiano.
La storia di Enea è esemplificativa di tutta la storia di Roma. Egli combatté fieramente in guerra contro il nemico Acheo venuto a saccheggiare Ilio, cioè Troia. Con fare aristocratico, Enea combatté anche quando ogni speranza era svanita, essendo stato ucciso il migliore fra i Troiani, il principe Ettore.
Quando la città infine cadde, Enea riuscì a fuggire salvando il suo anziano padre Anchise e il piccolo figlio Ascanio. La storia e i significati reconditi delle vicende di Enea sono splendidamente raccontati da Virgilio nella sua Eneida, di cui invitiamo alla lettura. Un’altro testo che ci sentiamo di consigliare è Exempla, di Mario Polia, un volume meraviglioso in cui sono raccolti e spiegati gli esempi degli eroi greci e romani del passato.
Ma torniamo ad Enea. Il giovane principe si ritrova al comando di una piccola flotta di sopravvissuti che inizia a peregrinare per il Mediterraneo. Numerose sono le peripezie e le avventure dei sopravvissuti, e solo una grande guerra vinta contro Turno e i latini permette ai Troiani di insediarsi nel Lazio.
Ed è nel Lazio che la stirpe di Enea si radica e, nel corso delle generazioni, dà vita ad una dinastia di re che prosegue fino a Romolo e Remo.
La leggenda di Romolo e Remo, figli della Lupa
Numitore, discendente della stirpe di Enea, è re di Alba Longa. Il saggio re ha una figlia, la principessa Rea Silvia, ma anche un fratello avido e geloso. Costui, di nome Amulio, riesce a portare a termine un colpo di stato, cattura Rea Silvia e imprigiona Numitore. Per evitare che la principessa partorisca un possibile pretendente al trono, la obbliga a diventare vestale, sacerdotessa della dea Vesta.
Le sacerdotesse di Vesta non potevano sposarsi o fare figli, pena era la morte. Narra però la leggenda che della giovane si innamorasse Marte, dio della guerra. Presa dal dio, Rea Silvia rimase incinta dei gemelli Romolo e Remo. Dopo il parto, scoperta, venne giustiziata come ordinava la legge mentre i due piccoli vennero abbandonati in una cesta sul Tevere.
Destino volle che le acque del fiumi trascinassero la culla verso vicino la palude del Velabro, tra i colli Palatino e Campidoglio. I due piccoli, arenatisi, con i loro pianti attirarono una lupa. La famosissima Lupa romana. La lupa però, non mangiò Romolo e Remo, ma anzi li soccorse ed allattò. Sempre secondo la tradizione pure un picchio portò ai bimbi del cibo. I due piccoli vennero poi trovati da Faustolo, un pastore della zona che li prese con sé per crescerli insieme a sua moglie, Acca Larenzia.
Romolo e Remo alla riconquista del trono materno
I due gemelli crebbero dunque come pastori nel Lazio arcaico. Sotto la guida del padre divennero due ragazzi forti e vigorosi, capi della banda di giovani con cui erano soliti passare il tempo. Secondo Tito Livio infatti:
«Irrobustitisi nel corpo e nello spirito, non affrontavano solo le fiere, ma tendevano imboscate ai banditi carichi di bottino. Dividevano il bottino delle rapine con i pastori e dividevano con loro cose serie e ludiche, mentre cresceva il numero dei giovani giorno dopo giorno.»
(Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4.)
I due però crebbero ignari del loro passato, almeno fino a quando Faustolo non gli raccontò di come li aveva trovati anni addietro. Poco ci misero i due a capire quale fosse la loro vera origine.
Decisero dunque di detronizzare il malvagio Amulio e salvare loro nonno Numitore. Romolo riuscì non solo a salvare il fratello catturato dai pastori di Amulio, ma a liberare anche loro nonno.
I due giovani liberarono il nonno Numitore che tornò ad occupare il suo posto nella città di Alba. Invitati a rimanere con lui, Romolo e Remo rifiutarono e chiesero anzi la benedizione per andare a fondare una nuova città, la loro città, nei luoghi dove erano stati trovati e cresciuti. Numitore, eternamente grato ai due nipoti, gli diede la loro benedizione e li invitò a seguire il proprio destino.
Ma solo uno poteva fondare una nuova civitas e diventarne re, e sarebbero stati gli dèi a decidere quale dei due fosse degno. Vennero fatti degli àuguri che diedero responso favorevole a Romolo il quale aveva visto 12 avvoltoi dopo che Remo ne aveva già visti 6.
Sempre secondo Tito Livio:
“«Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli aruspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino.
[27] Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.[27] Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato,[27] i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti.” (Livio, I, 6-7 )

La fondazione di Roma da parte di Romolo
È a questo punto che si arriva alla parte più nota della leggenda di Romolo e Remo. Ovvero quella incentrata sulla fondazione di Roma. Leggenda, ormai, lo si dice per abitudine. Essa infatti è un mito con solide basi storiche ed un ancor più solido significato simbolico. Roma nasce, infatti, solo dopo esser stato tracciato un confine, un limite.
Non sarebbe mai esistita Roma senza un pomerium ed un sulcus, ma, soprattutto, non sarebbe mai esistita Roma senza la volontà degli dèi ed il rito sacro. Perché Romolo fonda Roma solo per volontà divina attraverso un rito sacro di grandissima potenza spirituale. Un rito che, attraverso i secoli, riecheggia ancora ai nostri giorni:
“Per prima cosa, stabilitosi sul colle Palatino, traccia i limiti del pomerium, il limite sacro ed inviolabile della nuova comunità. Nasce così la “Roma Quadrata”, il centro della nuova comunità, un territorio sacro e inviolabile che cementa l’unità del nuovo disegno politico romuleo. La profonda valenza di questo atto non è tanto politica, bensì religiosa, si tratta infatti di un accordo sacro sancito con gli dèi.
Questo recinto, delimitato da pietre dette “terminali”, non era un vero solco nella terra, ma un limite continuo al cui esterno verranno costruite le mura. La prima importante azione per dare vita alla nuova città è carica di significato: il confine del pomerium sancisce una differenza fra un fuori, un luogo non inaugurato e l’interno, ovvero la città, un luogo inaugurato e per questo ordinato. L’interno del pomerium non è solo un luogo santo, ma anche di pace: è infatti proibito portare armi all’interno del primo confine di Roma.
Proprio per questa ragione il pomerium è una linea continua, ininterrotta, “perché esso era considerato il confine dell’urbs, cui era connessa una serie di norme giuridico-religiose”. Il pomerium, dunque, era l’epidermide di Roma il cui limite sanciva non solo un luogo politico, ma anche sacro: essa era il perno identitario della civiltà romana[1]”.
Remo, in disparte durante tutto il rito, compì a questo punto il sacrilego “salto” del confine tracciato dal fratello. Era una atto estremamente sacrilego ed empio, poiché Romolo stava tracciando il limite sacro che avrebbe contenuto la nuova comunità romana e che l’avrebbe resa unica e diversa da ogni altra.
Narra infatti la leggenda che Remo, in spregio al fratello, saltò il pomerium da lui appena tracciato canzonandolo e dicendo che queste “mura” non avrebbero mai difeso la comunità. Subito si mosse la spada di Romolo che abbatté il gemello lì sul colpo. Il monito era chiaro ed esplicito: “chi supera i sacri confini di Roma in armi, senza permesso, verrà punito con la morte”.
Il confine è sacro, e va rispettato.

Romolo rex et sacerdos
Ma perché Romolo e non Remo? perché il secondo nato dei due gemelli e non il primo? E’ molto semplice. Romolo era il prescelto degli dèi, il favorito da Giove, signore dell’Olimpo e dio dell’ordine e della giustizia. Mentre Remo, lungo tutta la leggenda, era paragonato a Fauno, il dio agreste dei campi e della Natura selvaggia.
Remo era dunque legato all’antico mondo pastorale, alla tradizione più selvaggia dei popoli latini. Secondo il mito infatti il suo piano era quello di fondare Roma sul colle Aventino, che era conosciuto come il luogo dove i giovani compivano il rito di passaggio all’età adulta.

Tutto l’opposto del fratello era Romolo. Il prescelto degli dèi, assimilato alla figura di Giove come abbiamo detto. Romolo non fallì il suo rito di passaggio diventando quindi uomo, marito e cives, cittadino. Romolo non appare più come un Luperco, un pastore, ma come un contadino. Un giovane che da bosco è uscito per occupare una radure, un campo, che lui ara per delimitare lo spazio sacro riservato alla nascente Urbs.
Romolo e Remo: conclusione
Dal rito tradizionale di fondazione di Romolo, re e sacerdote, sorge quindi una nuova cives, una nuova comunità: Roma. Non è un caso che sarà questa Urbs a fondare uno dei più grandi imperi della storia. Perché essa è nata da una delimitazione, da un sacro confine che ne ha definito l’essenza stessa. Questo confine, poi, era benedetto e approvato dagli stessi dèi; ma soprattutto da Giove, lo Zeus romano, signore dell’Olimpo e dio delle leggi e dell’ordine.
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[1] Fausto Andrea Marconi, Confini, storia di frontiere muri e limiti da Roma a Schengen, Passaggio al Bosco Edizioni, Firenze, 2019.
(di Fausto Andrea Marconi)