Sulla figuraccia della Lega e del suo appoggio al governo Draghi ho scritto più volte sul mio profilo facebook. Mi pare che i toni di questo disastro, però, si siano accentuati profondamente dopo le ultime esternazioni di Giancarlo Giorgetti nei riguardi di Matteo Salvini. Il che è anche un bene, perché scoperchia una realtà necessaria da evidenziare, che la Lega crepi domani mattina (elettoralmente o sostanzialmente a questo punto cambia poco) oppure no.
La figuraccia della Lega
Giorgetti ha affermato – più o meno testualmente – di voler “solo far ragionare Salvini”, “per non consegnare il Paese alla sinistra”. Lo scontro tra i due esplicita un conflitto che è sempre esistito nella Lega. Che sia di facciata o meno, a questo punto, conta poco stabilirlo. Se Salvini nominalmente vincerà questa sorta di duello o meno, non è allo stesso modo granché importante.
Ciò che conta è l’emersione del conflitto tra ala liberista e globalista del partito e quella più conservatrice, nazionale e sociale. Un conflitto che da almeno un anno sta vedendo la prima fazione vincente sotto ogni profilo.
E che probabilmente né evidenzierà un completo trionfo nel prossimo futuro. L’adesione al governo Draghi, con il disperato tentativo di mostrare resistenza e opposizione sui “temi caldi”, è stata un’operazione disastrosa.
Morto un papa, se ne fa un altro, e si dovrà ripartire da zero. Del resto, i segnali della fine ci sono tutti. Giorgio Mulé ieri, in un’intervista rilasciata a Repubblica, si augurava per la Lega “una svolta simile a quella che ci fu a Fiuggi per AN”.
Ovvero, la morte di ogni presupposto di sopravvivenza politica.
Anti-europeismo, anti-immigrazionismo, Patria: così ci fu quel 34%
Non esistono altre ragioni, e possiamo girarla come vogliamo, ma lo dicono i freddissimi numeri. Quel 34% ottenuto alle elezioni europee del 2019 è figlio di questi temi.
Allontanarsene in ogni modo è stata la causa principale che ha fatto precipitare il partito al 17%, con buona pace di Giorgetti e delle sue favole. E sarà ciò che lo condurrà spedito – di nuovo – sotto il 10%.
Lo avevamo già spiegato all’indomani delle elezioni amministrative e lo ribadiamo oggi. Il problema – quello certamente – è ben più profondo dei semplici temi elettorali. È ormai evidente, a meno di non volerci proprio far caso, che le agende politiche internazionali, il sistema economico e valoriale vigente, sia radicalmente ostile alle tematiche che solitamente emergono nei partiti di centrodestra italiani, ma in generale occidentali. Per cui il principale ostacolo da superare è ben più grande della figuraccia rimediata dalla Lega nell’ultimo anno.
A tutto però c’è un limite. La comprensione per l’immobilismo è scontata in chiunque rifletta sul mondo in cui viviamo, ma non è possibile giustificare ogni resa e ogni tradimento.
(di Stelio Fergola)