Amy Barrett

Amy Barrett, un asso nella manica per Trump?

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Amy Barrett sembra avere tutto: è una moglie affezionata, attaccatissima alla sua famiglia, prolifica, tradizionalista. Ogni caratteristica possibile per irritare le coronarie dei dem.

Amy Coney Barrett: moglie, donna, giudice

Amy Barrett non ha soltanto sette figli. Amy Barrett è anche la maggiore di sette figli. Sembra una specie di tradizione irresistibile, l’attrazione per la famiglia e per la prolificità.

Ma Amy Barrett, invero, non aveva raggiunto lo stesso livello dei suoi genitori: con suo marito Jesse, di figli ne ha avuti “soltanto” cinque. Ha quindi ben pensato di “arrotondare” adottandone due, da Haiti, e di pelle nera.

Un profilo del genere è perfetto per gli scopi che si prefigge Trump, perseguiti ben da prima delle elezioni. Assicurarsi una maggioranza ancora più solida alla Corte Suprema (dove già 5 giudici su 9 sono conservatori) e stabilizzare strutturalmente un controllo sulle istituzioni che, negli ultimi 40 anni, è sempre stato nelle mani dei neocon.

Certamente, c’è il nodo della cultura, con una stampa mainstream ancora ostile, ma processi del genere non possono avvenire in un giorno.

La Barrett alla Corte Suprema è una di quelle operazioni studiate in ogni minimo dettaglio: conservatrice, moglie e donna fierissima, tradizionalista, ultraprolifica di sette figli di cui due di colore ed adottati. Non esiste quasi motivo per attaccarla, men che meno del solito e inutilissimo razzismo, se non in modo pretestuoso e ridicolo.

Bene così, Donald. Ovviamente, le elezioni del mese prossimo saranno la prova del nove.

La Barrett e l’audizione in Senato

Per la Costituzione americana, il giudice deve essere approvato dai senatori per entrare nella Corte. Ieri e l’altroieri, si sono tenute le prime due sedute dell’audizione. La Barrett si è presentata con i sette figli, ha mostrato la sua figura ed è stata incalzata dai senatori in vari modi che in certi casi si sono rivelati pretestuosi a dir poco.

La senatrice Amy Klobuchar, ad esempio, passa in rassegna i tweet del presidente Trump e chiede insistentemente alla Barrett di commentarli, quasi come se dovesse giustificarsi della provenienza circa la sua proposta. Poi emozioni più o meno esposte riguardo Ruth Bader Ginsburg, il giudice dem deceduto il mese scorso.

Tanta retorica a cui Amy Barrett risponde con lucidità e freddezza. Decisivo è un passaggio in cui tiene a sottolineare l’importanza di impostare un potere giudiziario che non interferisca con il potere politico. Elemento presente, sulla carta, in tutte le democrazie occidentali, ma che nella pratica osserviamo raramente: “I tribunali non sono fatti per risolvere ogni problema o ogni cosa sbagliata della vita pubblica. Le decisioni e le valutazioni di governo devono essere prese dai rappresentanti del potere politico, eletti dal popolo e che rispondono ad esso”.

Un messaggio diretto a chi, da anni, controlla non solo la cultura ma anche le istituzioni negli States. In modo non dissimile da ciò che avviene da noi. La differenza è che negli USA c’è una guerra di èlite in corso.

E noi non ci nascondiamo: speriamo proprio vinca l’èlite che sostiene Donald Trump.

(di Stelio Fergola)

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