La globalizzazione sta annientando l'agricoltura mondiale

La globalizzazione sta annientando l’agricoltura mondiale

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Osservando ciò che sta accadendo al settore agricolo a livello mondiale, si trova nuovamente una lezione amara dalla realtà dei fatti: globalizzazione, mercati interdipendenti, frontiere assenti, onnipresenza di colossi finanziari globali stanno portando sull’altare sacrificale l’agricoltura e con essa popoli e nazioni.

Eppure ci avevano raccontato abilmente, e con presumibile spirito ingannatorio, luciferino, che il Mondo globalizzato avrebbe dovuto offrire a tutti noi stabilità e la sicurezza, quasi fideistica, in un mercato illimitato quindi virtualmente sempre in movimento.

Solo la Pepsi può coltivare le patate

In India la Pepsi Corporation, produttrice dell’omonima bevanda e in possesso di un conglomerato di varie attività anche nel campo alimentare come le patatine Lay’s o i Doritos, sta facendo causa contro i contadini indiani.

Questi ultimi non sono accusati di aver derubato il colosso americano, ma di qualcosa a tratti surreale: i contadini indiani coltivano patate naturalmente e senza adoperare prodotti modificati geneticamente; coltivare le patate sarebbe, nei fatti, un diritto spettante unicamente alla  Pepsi Corporation, perchè è proprio lei a detenere i diritti rientranti sotto l’ombrello delle leggi che proteggono la “proprietà intellettuale”.

La globalizzazione sta annientando l'agricoltura mondiale

La Pepsi richiede in risarcimento danni, da ciascun contadino indiano coinvolto, 100mila sterline (9milioni di rupie indiane) ma propone in ogni caso la possibilità affinché tutto si risolva pacificamente: i responsabili del misfatto sono invitati a unirsi al programma della multinazionale nella coltivazione di patate. Che bontà, grazie maestà!

Nell’accordo si prevede l’obbligo di distruggere il raccolto già accumulato e di crescere, in futuro, altre varietà di patate. Peccato che in primis le associazioni indiane di coltivatori e contadini gridano aiuto, dicendo che tale precedente – se gli imputati si piegheranno alle richieste della Pepsi – avrà un effetto dirompente a livello nazionale e che in secundis, stando a quanto riporta la CNN, il gigante americano avrebbe ingaggiato delle spie nei campi dei contadini, presentandosi come potenziali acquirenti e registrando in segreto il tutto.

La Pepsi resta intanto in silenzio.

Una realtà martoriata anche dalla globalizzazione

La realtà agricola indiana, con la globalizzazione come primo imputato, è in uno stato sicuramente rischioso: il 58% degli indiani dipende dall’agricoltura per il proprio mantenimento, e questo settore  corrisponde al 17-18% del Pil nazionale, non uno scherzo.

Nel 2005 sono cresciuti del 55% gli indiani rimasti senza terra e la mancanza di investimenti seri o l’uso improprio dei pesticidi colpiscono come calamità l’agricoltura indiana; inoltre, a seguito di ciò che prevedono gli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), l’India è invasa da caterve di prodotti stranieri che influiscono negativamente sui livelli dei prezzi delle merci agricole e dunque dei salari.

La globalizzazione sta annientando l'agricoltura mondiale

A fornire dati e prospettive approfondite è stato il professore in pensione di economia presso l’Università di Mysore (India) M. D. Hosamane in un articolo per l’indiano Deccan Herald. “Il professor Stiglitz, vicitore del Premio Nobel, ha detto che gli accordi commerciali vietano i sovvenzionamenti, eccezion fatta per i beni agricoli…” scrive Hosamane, ricordando l’enorme gap fra ciò che in Occidente si può spendere per sostenere l’agricoltura e ciò che si fa in Paesi come l’India.

Continuando la sua analisi dice: “La globalizzazione ha portato l’economia indiana a crescere molto, ma indebolendo la sostenibilità. Nel  periodo successivo la globalizzazione ha contribuito al declino manifatturiero e agricolo. Gli investimenti sono diminuiti in entrambi i settori”.

Il 70% dei contadini sono o piccoli o marginali produttori locali, con metodi di coltivazione costosi e poco remunerativi; sarebbe necessario sostenere l’agricoltura nelle zone rurali anziché unicamente nelle regioni maggiormente urbanizzate e creare un collegamento fra questo settore con i servizi e l’industria: creare insomma le premesse di un sistema agro-industriale, in grado di aumentare la produzione nazionale e ridurre la disoccupazione, pensando a forme cooperativistiche fra i contadini.

L’Egitto senza pane

Anche dall’Africa giungono notizie simili: in Egitto, dove lo stato per legge acquista grandi quantitativi di grano dai contadini egiziani, sta offrendo un compenso per tonnellata sin troppo basso rispetto a ciò che la produzione tritura in spese: il ministro egiziano per l’approvvigionamento offre 226 dollari per tonnellata di grano, sin troppo poco per i produttori nazionali.

La globalizzazione sta annientando l'agricoltura mondiale

Non solo: il governo egiziano richiede 3,6 tonnellate in tutto a livello locale ma questa quota copre solo 1/3 della domanda dunque non basta a sfamare gli egiziani; sarà necessario acquistare il resto da produttori stranieri. Il ministro egiziano offre un compenso più alto rispetto a quanto offrirebbero compratori stranieri, ma i prezzi dei fertilizzanti sono drogati dalle leggi del mercato e crescono continuamente; a tutto ciò si aggiungono i salari, i prezzi dei macchinari spesso in affitto, costi su costi che restano in rosso.

L’Egitto ha quindi un settore agricolo che si deprime perché non può pagare decentemente i propri produttori, mentre i mercati stranieri sono al confine con la bava alla bocca per ingurgitare sia la richiesta nazionale di grano che per acquistare a poco la produzione locale. Un circolo vizioso.

La Tunisia vittima della truffa globale

Sempre in Africa è importante il caso della Tunisia: ascesa nelle cronache economiche quando ci si accorse dell’assurda concorrenza dei suoi prodotti agricoli, dannosi per la nostra produzione, risulta lei stessa in uno stato di grave difficoltà.

Nel rispetto delle regole, sulle procedure per la sicurezza dei processi produttivi, risulta impossibile ai prodotti tunisini di accedere allo spazio europeo ma come se non bastasse il mercato tunisino viene travolto nei suoi confini da prodotti europei coi quali non riesce a competere in qualità.

In questo contesto già precario, si inseriscono le grandi multinazionali le quali piombano in Tunisia, approfittando di salari bassi e accaparrando grandi possedimenti agricoli, schiacciano la produzione dei piccoli contadini. Grandi proprietari, spesso stranieri, investimenti governativi quasi nulli, il mercato ultraliberalizzato che produce valanghe di prodotti stranieri importati, stanno soffocando l’agricoltura di tutto il Paese; nel frattempo la disoccupazione dilaga e i giovani laureati non vengono impiegati, quando sarebbero preziosissimi per rilanciare la produzione.

La globalizzazione sta annientando l'agricoltura mondiale

Il Fondo monetario internazionale, nel frattempo, non smette di fare il suo lavoro spesso sporco: gli stipendi pubblici dei tunisini devono restare congelati, non devono aumentare, e ciò implica che la domanda interna per beni nazionali si deprime. Nel 1995 la Tunisia siglò con la Ue un accordo per creare l’ennesima area di libero scambio e “integrare” l’economia tunisina: l’effetto è stato che la società civile si è opposta, preoccupata naturalmente che i prodotti europei possano essere devastanti per la produzione nazionale.

I primi sono sovvenzionati meglio e hanno maggior forza economica nonché produttiva, mentre quelli tunisini assolutamente no; servirebbero secondo alcuni più di dieci anni per mettere al passo il sistema agricolo tunisino.

Forse è pura utopia: le armi dello scontro sono chiaramente impari e il Fondo monetario internazionale sembra esser più avaro di Scrooge. Con quali fondi e quali conoscenze approfondite si potrà mai realizzare questo piano? La globalizzazione, affondando, schiaccia sotto i suoi elefantiaci e assurdi postulati tutti, senza fare differenza.

(di Pietro Vinci)

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