Patrice Lumumba appartiene di diritto alla generazione dei leader africani che hanno condotto all’indipendenza il proprio Paese ed elaborato idee e dottrine per lo sviluppo immediato seguendo le modalità più consone a riguardo, su tutte quella del panafricanismo.
Di pari passo al ghanese Kwame Nkrumah e al guineano Sekou Tourè ha rappresentato un modello di riferimento anche per chi, come Thomas Sankara, qualche decennio dopo ha tentato di riproporre l’indipendenza tramite l’emancipazione del proprio popolo, rendendosi conto che le necessità di un popolo sono le stesse del continente o almeno di quella parte di Africa nera così simile per notevoli aspetti ben oltre i particolarismi tribali e nel rispetto delle tradizioni etniche e culturali delle popolazioni nere.
A Lumumba non venne dato, però, il tempo di attualizzare le politiche immaginate per il suo Congo, ex colonia belga e l’indipendenza della nazione cuore dell’Africa dovette affrontare anche la guerra civile con la regione scissionista del Katanga. Una guerra per procura motivata non tanto dalle spinte autonomiste della regione posta ad occidente del nuovo Stato resosi indipendente dal Vecchio continente quanto dalla volontà di mantenere ben salde le mani sulle principali ricchezze generate dal sottosuolo.
Un sottosuolo ricco di oro, stagno, rame, cobalto, manganese, zinco, uranio e altri metalli preziosi per la maggior parte presenti al confine con lo Zambia nei pressi della Regione dei Grandi Laghi. Il maggior rimpianto resta guardando il presente per nulla roseo dell’enorme Stato, chiamatosi per un ventennio Zaire prima di tornare alla denominazione di Congo, che non ha più trovato una strada verso la coesistenza delle diverse etnie ed è ancora lontano dall’allontanare le fameliche fauci del neocolonialismo, quello che ha sostituito l’imperialismo degli Stati europei con i tentacoli delle grandi multinazionali.
Ucciso ancor prima di compiere trentasei anni Lumumba fu presidente del Consiglio per brevissimo tempo, quello necessario ad impaurire i proprietari di enormi interessi economici che lavorarono per la sua uccisione nel silenzio e nell’immobilità dell’ONU e degli Stati democratici. Fra tutte le frasi del politico congolese ci piace ricordarne una in particolare che recita “non dire mai degli altri che non sanno, dì piuttosto che hanno imparato cose diverse”. Un emblema dell’assenza di qualsivoglia forma di odio verso gli altri, anche verso gli stessi colonizzatori, lontana anni luce dal feroce odio anti-bianchi presente oggi nel Sudafrica guidato dall’African National Congress del defunto Nelson Mandela.
(di Luca Lezzi)