Nei confronti di Bashar al-Assad, da parte di Recep Tayyip Erdogan c’è stato un progressivo disimpegno. Gli accordi di Astana, sanciti con Russia e Iran lo scorso anno, sono l’apice di un processo avuto inizio nel 2016 volto a creare vaste aree di de-conflitto in Siria e garantirne l’integrità territoriale.
A causa di queste iniziative è diventata persona non gradita a Washington poiché d’ostacolo ai suoi progetti imperialisti di un Kurdistan indipendente ed abusivo nella zona. Per far sì che gli giungesse il messaggio, gli USA adottarono due opzioni: una violenta, l’altra più soft power. La prima prese piede la sera del 18 luglio 2016. Barack Obama volse l’occhio altrove mentre alti gradi dell’aeronautica – la più tecnologica e filo-atlantista – tentavano un colpo di Stato ai suoi danni.
La seconda, invece, mesi dopo. Si trattò di finanziare partiti a lui avversi, ammucchiando curdi (HDP) e forze progressiste (BDP). Il tutto con gli attentati – la bomba esplosa davanti alla sede della polizia di Diyarbakir, per esempio – a fare da cornice in un clima di instabilità e da strategia della tensione che avrebbe dovuto costringerlo a scenderci a patti. Entrambe fallirono. All’indomani delle elezioni presidenziali del 24 giugno 2018, la Borsa di Ankara ha segnato un + 2,2% e la Lira, invece, protagonista di svalutazioni competitive nel corso del 2017, si è apprezzata sul dollaro USA dell’1,4%.
Questi dati gli hanno permesso di avere ulteriore stabilità politica utile a proiettarsi verso maggiori sinergie con gli attori politici citati poc’anzi in merito alla spartizione delle zone di influenza del territorio siriano. Dalla rottura del JCPOA, ad esempio, ha offerto “rifugio” a molte società di Teheran e partecipate al fine di aggirarne le sanzioni occidentali e favorirne il mercato con investitori stranieri.
La svalutazione odierna della Lira – meno 13% sul $ -, quindi, è la rappresaglia USA a tutto questo. Di lievi dimensioni, però. Il colpo finale avrà luogo a partire dal 4 novembre, quando si opporrà al boicottaggio delle esportazioni petrolifere iraniane previsto nel nuovo pacchetto di restrizioni. Prove tecniche di regime change.
(di Davide Pellegrino)