La sovranità da riscoprire: per l’Italia e per la contemporaneità

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Il concetto

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»: così recita l’articolo 1 della Costituzione italiana, la carta che sta alla base della Nazione e che ne regola i principi fondamentali. L’incipit imprescindibile di un vero e proprio capolavoro, elaborato fra 1946 e 1948 da svariate personalità di grande caratura, a garanzia delle generazioni future e della dignità della vita che esse avrebbero meritato di vivere, in una combinazione di principi keynesiani, socialisti e liberali (veramente, rasentante la perfezione). Il termine che questo lungo articolo si propone di prendere in esame si situa all’inizio del secondo comma: la sovranità.

Un concetto venutosi a formare e plasmare in Età Moderna e rafforzatosi con il corroborarsi degli Stati-nazione fra il XIX ed il XX secolo. Un concetto di primaria importanza, poiché connesso a doppia mandata con l’effettiva applicazione dei principi democratici in Italia, eppure oggi fortemente bistrattato nel suo significato più intrinseco e genuino, persino da coloro che, in linea teorica, dovrebbero esserne i difensori più agguerriti:

– il Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la trasmissione serale “Che tempo che fa” del 22 aprile 2018, si è infatti spinto a dire che «Oramai c’è una sola sovranità, quella europea, a cui rispondere. Non c’è più spazio per le sovranità nazionali», in palese spregio di quella stessa Costituzione su cui ha giurato per ben due volte;

– l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’assemblea “The State of the Union” tenutasi nella fiorentina Badia Fiesolana il 10 maggio 2018, ha seguitato la linea del predecessore con l’affermazione «Bisogna sottrarsi ai particolarismi ed alle narrative sovraniste», etichettando un sacrosanto diritto costituzionale (e popolare), la sovranità, come un corpo estraneo ed eretico, quasi in odore di scomunica perché – parafrasandone e riassumendone il discorso – non in linea con le politiche europee.
Proprio queste ultime paiono essere le nuove destinatarie di cotante attenzioni, al punto tale da trovare conferma di tutto ciò in un tweet dal profilo ufficiale del Partito Democratico (al governo con Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni dal 2013 al 2018), recitante che le politiche attuate negli ultimi anni fossero indirizzate non all’Italia ma al tentativo di compiacere l’Europa (un termine peraltro inadeguato ad esprimere il soggetto di riferimento: “Europa” è la designazione storico-culturale del Vecchio Continente, mentre l’Unione Europea è l’organismo con il cui nome ci si dovrebbe propriamente esprimere).

Tuttavia, è realmente auspicabile perdere tale potere d’imperio per un organismo sovranazionale che, disquisendo del Venezuela di Nicolas Maduro, si è detto disposto ad applicare pesanti sanzioni qualora «la democrazia» fosse «compromessa dalle elezioni» (parola di Reuters del 19 aprile 2018, poi corretta, non sorprendentemente)? Esso può veramente sublimare la sovranità appartenente al popolo italiano? La nostra Costituzione, la definitività della forma repubblicana (Art. 139) ed il buon senso democratico, ci dicono di no.

Un antecedente illustre

Poc’anzi si è detto che la sovranità, come concetto giuridico e politico, nasce nel Medioevo e viene definito in Età Moderna, quando l’Europa stava vivendo un periodo di profondo rinnovamento e di aspre rivalità, in un contesto ove l’universalismo professato da Papato ed Impero aveva perduto il proprio vigore, lasciando ampio spazio ad entità politiche più piccole, ma non per questo meno ambiziose (monarchie, repubbliche, ducati, comuni e via discorrendo).

Ma che cos’è, perciò, la sovranità? È un «Potere originario ed indipendente da ogni altro potere», come da definizione generica data dall’Enciclopedia Treccani, approfondita nel Dizionario di Storia 2011 dalla dicitura «Qualità giuridica esclusivamente pertinente all’imperium dello Stato»: in concreto, essa è il potere d’imperio esercitato dalla personalità giuridica cui appartiene (il popolo, nel caso della Costituzione italiana), il quale può essere eventualmente limitato ma non sottratto, in quanto il suo depositario, privandosene, vedrebbe decadere il proprio status e la propria essenza.

Indi per cui, essa non è un dettaglio trascurabile, ma un principio fulcrale ed inattaccabile. Un antesignano illustre lo si può riscontrare nell’ambiente fiorentino del XVI secolo, laddove gli abitanti sarebbero stati disponibili alla più ondivaga delle instabilità pur di non sacrificare un grammo della propria libertà.

Una scuola di pensiero e di tradizione machiavelliani dette dello Stato una definizione adamantina, limpida e fin troppo arguta: esso esiste nel momento in cui risulti depositario della sovranità territoriale (il confine è imprescindibile nella comprensione di chi debba essere il destinatario delle politiche dei governi), della sovranità militare (il territorio non è pensabile senza un’adeguata difesa) ed infine della sovranità monetaria (per avere capacità decisionale a livello economico all’interno dei propri limiti – all’epoca l’emissione della moneta si legava alle riserve auree ed argentee, o ad altre metodologie operative, mentre oggi è FIAT, perciò teoricamente e fattualmente illimitata).

Nel momento in cui anche soltanto una di queste sezioni dell’imperium fosse venuta a mancare, lo Stato avrebbe semplicemente cessato di esistere: la splendente Atene del V secolo, in effetti (e per essere ancora più risalenti nel tempo), non avrebbe mantenuto lo straordinario potere di cui fu artefice se non avesse avuto una chiara idea di sé; non avrebbe potuto contare sulla propria libertà se una legione spartana fosse stata costantemente insediata sull’Acropoli; né men che meno sarebbe stata così ricca se non avesse controllato le miniere argentifere del mondo ellenico (fatta eccezione per quelle del Peloponneso, in mano all’eterna polis rivale Lacedemone).

Insomma, il concetto di sovranità non può essere ritenuto passatista, misoneista o retrogrado semplicemente perché coniato ed estrinsecatosi per la prima volta in epoche passate: essa è custode del senso di esistere del soggetto che la esercita e difende, in questo caso specifico lo Stato modernamente inteso, e delegittimarla non è soltanto impensabile, ma anche e soprattutto indesiderabile. Infatti, anche al giorno d’oggi la sovranità viene declinata secondo paradigmi molto simili a quelli appena enunciati.

L’attualità del concetto

Ordunque, che cosa significa oggi Stato sovrano? Nella moderna definizione giuridica di Nazione, essa sussiste solo ed unicamente grazie a tre elementi: popolo, territorio e sovranità. Il popolo è l’insieme dei cittadini che formano lo Stato; il territorio è l’insieme geografico delimitato da precisi confini su cui il popolo vive; la sovranità è il potere d’imperio del popolo sul proprio territorio. Le argomentazioni squisitamente machiavelliane elaborate secoli or sono risuonano prepotentemente, e con una destrezza impeccabile. Profittando del numero evocativo degli elementi sopra citati, si consenta alla penna che scrive di relazionarli fra di loro, al fine di una comprensione più totalizzante dei concetti e dei significati che essi esprimono ed enucleano:

– un popolo che sia dotato di territorio ma privo di sovranità, non potrebbe neppure identificarsi come tale, poiché vorrebbe dire aver ceduto la capacità decisionale ad enti terzi che al bene dello stesso non badano (non necessariamente, almeno);
– un popolo che sia dotato di sovranità ma privo di territorio, non è pensabile, in quanto la radice concreta ove condurre la vita quotidiana del primo sarebbe irrimediabilmente venuta a mancare;
– un territorio che sia dotato di sovranità ma privo di popolo, banalmente non è realizzabile né è mai stato realizzato, poiché intrinsecamente contraddittorio.

Tali presupposti vengono poi a declinare quali tipi di sovranità debbano modernamente appartenere ad un popolo dotato di un territorio sul quale portare innanzi la propria esistenza: essi si collocano nelle materie politica, militare, giudiziaria e fiscale-monetaria. Tuttavia, di queste quattro, ce n’é una che spicca su tutte, che non va sottostimata o creduta sottintesa: ed è proprio l’ultima (peraltro, inscindibilmente legata alla prima – va sottolineato).

La sovranità in materia fiscale e monetaria da parte di uno Stato essenzializza in sé la sostanza contingente delle altre tre, per un principio cartalista che vale la pena spiegare (oggi, esso viene ripreso dalla Modern Money Theory, ovverosia la Teoria della Moneta Moderna, nata da Worren Mosler negli Stati Uniti e diffusasi nel corso degli anni, contante anche degli attivisti in Italia): il sovrano controlla lo Stato per il tramite della moneta, lo strumento di scambio di beni e servizi, accettato dalla comunità entro la quale gira – e questo è l’unico motivo per cui esso gira, per un accordo politico tra le parti che lo adottano -; essa identifica il tramite di pagamento delle tasse, la cui funzione è riequilibrare la presenza di moneta sul circuito economico ed in tal modo ridistribuire la ricchezza.

Se il sovrano (che può essere il re di una monarchia assoluta, il popolo di una repubblica parlamentare, le Camere di una repubblica presidenziale, e via discorrendo) accetta di rinunciare a battere moneta attraverso la zecca che lui stesso controlla e senza interessi, cedendo di fatto questo imperium ad un ente che di esso non fa parte, perde il proprio status di sovranità, cambiandolo con la dipendenza, la sublaternità. Infatti, il non-più-sovrano dovrebbe continuare ad indebitarsi per iniettare sangue nel proprio corpo, e qualora l’ente terzo cui ha rimesso fondamentalmente se stesso decidesse di ridurre la quantità di sangue da concedergli, il non-più-sovrano si indebolirebbe progressivamente, rischiando la morte e dovendo eseguire tutti gi ordini imposti, pur di continuare ad avere sangue e nutrire anche solo una flebile speranza nei confronti della propria stessa vita.
Tutto ciò, non ricorda paurosamente qualcosa?

Conclusione e riflessioni

Occorre dunque terminare la disquisizione affermando un principio fondamentale: un popolo, soprattutto se pretende di mantenere per sé un libero processo democratico, non può rinunciare a nessuna delle proprie sovranità, di modo tale che nulla possa andare al di là di sé, nel controllo che vuole esercitare della propria esistenza.
L’Articolo 1 della Costituzione italiana – giova ribadirlo – contiene in sé tutti i presupposti imprescindibili della Nazione moderna: «L’Italia [territorio] è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità [potere d’imperio] appartiene al popolo [i cittadini], che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Tuttavia, oggi l’Italia è pienamente sovrana? Occorre analizzare i quattro punti già tirati in ballo:

– in materia politica, i vincoli contabili (rapporto del 3% fra deficit e PIL; l’illegittimo inserimento nel 2012 del pareggio di bilancio all’Articolo 81, contrastante coi principi keynesiani dei Padri Costituenti) sono un cappio al collo con la parvenza edulcorata di una cravatta;
– in materia militare, la presenza di truppe straniere sul territorio, e peggio ancora di testate nucleari (altrettanto) straniere con potenza di kilotoni dieci volte superiori a quelli di Hiroshima (nonostante la firma nel 1979 di un Trattato internazionale di non-proliferazione nucleare), equivalgono alla legione spartana sull’Acropoli ateniese;
– in materia giuridica, il diritto a livello nazionale viene rispettato a statuto di legge;
– in materia fiscale e monetaria, la sovranità è stata ceduta (un atto incostituzionale, come proclamato dall’Articolo 11) all’Unione Europea, nata a Maastricht nel 1992, o meglio ancora alla Banca Centrale Europea, nata nel 1999, le cui politiche (nettamente non in sinergia con gli Stati membri, non fosse per il recentissimo Quantitative Easing di draghiana memoria ed applicazione: “Whatever it takes”) non prevedono gli aiuti di Stato e non si accompagnano né a quelle del Parlamento Europeo (meramente consultivo) né a quelle di Commissione e Consiglio Europei (organismi che non nascono da libere elezioni).
Dunque, si può affermare che oggi l’Italia sia un Paese a sovranità limitata. Il fatto che questo squisito primo principio, moralmente impeccabile, fondativo dell’Italia per come oggi la conosciamo – frutto di millenni di storia e portante un’identità ineliminabile -, venga oggi mistificato, pervertito e brutalizzato per seguire dei dettami ideologici neo-liberisti (ed i due aggettivi sono praticamente coincidenti) fa certamente adirare in maniera profonda:
– la democrazia pura è ricca di contraddizioni e fallacie, ma pur sempre (e proprio per tali motivi appena menzionati) migliorabile, altrimenti l’alternativa sarebbe la dittatura (oggi finanziaria, come sostiene l’economista Valerio Malvezzi), ed ecco perché va preservata;
– il fatto che il profitto e gli assilli contabili possano influenzare uno Stato nelle sue politiche più delle sofferenze dei suoi cittadini è aberrante;
– la sovranità deve appartenere al popolo, giacere e risiedere in esso (l’importanza terminologica è tutta qui), poiché altrimenti non esiste uno Stato, ed il fatto che dei burocrati, che con tale popolo nulla hanno a che fare, abbiano l’ardire di pretendere di imporre al popolo stesso che cosa esso debba volere o ciò di cui esso debba avere bisogno, è altrettanto aberrante;
– i rappresentanti della democrazia dovrebbero rispondere unicamente al popolo sovrano, che sono deputati a rappresentare sul loro territorio e su quello altrui (nello Statuto Albertino del Regno d’Italia, Articolo 50, addirittura i parlamentari ed i senatori non venivano stipendiati, poiché servire lo Stato doveva essere un onore).
Pretendere la sovranità è perciò non soltanto legittimo, ma anche doveroso, costituzionale, poiché essa in Italia appartiene al popolo, il cui bene, al di là di ogni ideologia, deve essere l’unico obiettivo da perseguire: per i detentori del potere d’imperio, e per coloro che sono deputati a rappresentarli.
Sarebbe un “tornare indietro” saggio, come insegna l’economista Alberto Bagnai (“Requiem per l’euro”, Casale Alba, 19-3-2017) a coloro che credono che “indietro” sia sempre imperscrutabilmente negativo: «Sono ingenuità, riflessi pavloviani, presuppongono una visione rettilinea del progresso umano, che è del tutto aberrante, figlio di uno scientismo positivista 800esco. Negli anni Trenta siamo andati “avanti” verso i lager, poi dai Quaranta in poi siamo tornati dolorosamente “indietro” verso un mondo senza lager. Agli imbecilli che “non si può tornare indietro” credo che questa lieve incongruenza metodologica andrebbe fatta notare: il calendario, lo scorrere del tempo fisico, con una manifestazione o addirittura uno strumento di progresso, porta dritti alla barbarie».

(Lorenzo Franzoni)

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