Gli Stati Uniti sono in guerra con lo Yemen. Le Special Forces sono piazzate in Arabia Saudita e danno assistenza al gigante del petrolio contro il suo povero vicino. Washington sta fornendo a Riyadh munizioni, assistenza, rifornimento aereo. Il tutto per bombardare una nazione il cui popolo non ha fatto nulla agli americani.
Nonostante il presidente Donald Trump una volta abbia criticato i reali sauditi per cercare di “controllare i politici americani con i soldi di papà”, ha continuato a supportare gli sforzi bellici dell’Arabia Saudita. Stessa cosa ha fatto il Congresso, votando al Senato 55 a 44 la decisione di intervenire nella guerra in Yemen. Almeno questa volta l’opposizione è stata più serrata, al contrario dell’anno scorso, quando il Senato si è rifiutato di bloccare la vendita di missili di precisione all’Arabia Saudita.
Il segretario della difesa Jim Mattis ha fatto pressione sui sauditi per “accelerare” il processo di pace, ma non sembra lo abbiano ascoltato. Il principe Mohammad bin Salman (MbS), che dovrebbe essere un riformatore, continua a imprigionare i suoi oppositori e sembra che l’unica pace che voglia dare agli yemeniti sia quella della tomba. Quasi tutte le sue iniziative di politica estera -in Siria, in Qatar e in Libano- sono state un disastro. Lo Yemen sarà il prossimo.
L’amministrazione Obama ha sostenuto l’avventura di MbS in Yemen nel futile tentativo di mitigare le preoccupazioni dei sauditi riguardo il nuclear deal iraniano, ora abbandonato dalla amministrazione Trump. Il comandante del CENTCOM (United States Central Command), il Generale Joseph Votel, ha sostenuto che “noi non stiamo partecipando al conflitto”, ma sicuramente i cittadini yemeniti, che muoiono sotto bombe fornite dagli americani, lanciate da aerei riforniti dagli americani e guidati verso i propri obiettivi dagli americani, non sono d’accordo. Il Generale Votel usa l’ignoranza come arma di difesa, dichiarando alla Armed Services Committee che “noi non sappiamo” cosa succede, dopo avere fornito la nostra assistenza. Robert Karem, vicesegretario della difesa per la International Security Affairs, ha ribadito che gli USA “non monitorano i propri aerei”.
In realtà, l’America è complice dell’aggressione saudita, con orribili conseguenze per il popolo yemenita. Perry Cammack, della Carnegie Endowment, ha scritto: “assistendo l’Arabia Saudita in Yemen, gli USA hanno rinforzato al-Qaeda nella penisola arabica, aumentato l’influenza iraniana nello Yemen, minato la sicurezza saudita, condotto lo Yemen a un passo dal collasso e inflitto morte e sofferenza al popolo yemenita”.
Lo Yemen è posizionato nella punta meridionale della penisola arabica, e ha una lunga storia di dominazione da parte dell’Arabia Saudita, che risale al 1934. Quando lo Yemen è diventato indipendente, negli anni ’60, si è separato in due stati indipendenti e molto divisi. Negli ultimi decenni hanno combattuto tra loro a intervalli regolari, spesso anche con l’interferenza di stati stranieri quali l’Arabia Saudita stessa. I due Yemen si sono riuniti nel 1990, ma i conflitti sono continuati, con secessionisti interni e provocatori esterni.
Per anni il presidente Ali Abdullah Saleh è rimasto in cima alla piramide del potere yemenita. Ha lavorato sia con i sauditi, sia con gli americani, per mantenere il controllo, e tra i suoi più agguerriti nemici c’erano gli Houthi: una milizia tribale, politica e religiosa. Anche conosciuti come Ansar Allah (“Sostenitori di Dio”), gli Houthi sono Zaydi, una setta che condivide alcune caratteristiche con i Sunniti. Gli Houthi hanno combattuto il governo di Saleh in almeno sei diversi conflitti. In aggiunta, come ha osservato Gregory Gause di Texas A&M: “Gli Houthi volevano affiliarsi con gli iraniani più di quanto gli iraniani volessero affiliarsi a loro”. Nel 2009, Saleh ha ottenuto il supporto saudita contro gli Houthi.
Nel 2012, Saleh è stato rovesciato sulla scia delle Primavere Arabe, ed è stato sostituito da Abdrabbuh Mansur Hadi. Tuttavia, Saleh è stato il grado di tornare al potere grazie all’aiuto ricevuto dagli Houthi. In risposta, nel marzo 2015, l’Arabia Saudita si è unita agli Emirati Arabi Uniti e altri “partners” minori in una coalizione con l’obiettivo di rimettere al potere Hadi, che era scappato a Riyadh. L’alleanza di Saleh con gli Houthi, in seguito, sarebbe divenuta problematica, terminando con il suo assassinio nel 2017. Si noti che, in tutti gli eventi che sono avvenuti, l’Iran non ha avuto quasi nessun ruolo. L’intelligence USA ha riportato che Teheran ha sconsigliato agli Houthi di cercare di conquistare la capitale dello Yemen.
Al giorno d’oggi non esistono più né una nazione, né uno stato, in Yemen. Come ha scritto April Longley Alley dell’International Crisis Group: “lo Yemen si è frammentato attorno alle sue divisioni storiche, ed esistono diversi centri di potere”. In aggiunta, un recente rapporto di Chantham House ha concluso che “lo Yemen sembra più una nazione divisa, che una coalizione di microstati coinvolti in un complesso conflitto interregionale”.
L’impatto maggiore è ricaduto sulla popolazione yemenita. All’inizio del 2018, l’ONU ha dichiarato che “gli yemeniti stanno fronteggiando diverse crisi, inclusi conflitti armati, rischio di carestia, scoppio di epidemie quali il colera, costituendo la prima crisi umanitaria del mondo”. Un anno fa, è stato stimato che almeno 10.000 civili fossero morti, e almeno 40.000 fossero feriti. A marzo 2018, un rapporto dell’UNHCR ha dichiarato che “il conflitto in Yemen ha lasciato 22.2 milioni di persone, il 75% della popolazione, in necessità di assistenza umanitaria e ha creato una crisi nella quale milioni di persone rischiano la propria sicurezza e devono combattere per sopravvivere”.
Sono stati riportati più di un milione di casi di colera, la peggiore epidemia della storia. In tutti i 23 governatorati dello Yemen -tranne uno- è scoppiata una epidemia di difterite. Almeno 18 milioni di persone non riescono a mangiare tutti i giorni, e altre 14 milioni sono a rischio carestia. Meritxell Relano, rappresentante dell’UN’s Children’s Found in Yemen, ha spiegato che “l’acqua e sistemi di sanificazione stanno mancando. Più della metà delle strutture sanitarie in Yemen sono fuori servizio, e quasi 15 milioni di yemeniti non hanno accesso ad acqua potabile e cure mediche di base”. Come se non fosse abbastanza, è stato stimato che almeno 3 milioni di persone sono emigrate.
Ovviamente, MbS nega ogni accusa. “E’ molto doloroso… e spero che questa milizia la smetta di usare la situazione umanitaria a proprio vantaggio per attirarsi la simpatia della comunità internazionale. Bloccano gli aiuti umanitari per creare carestie e crisi umanitarie”. Le sue dichiarazioni sono errate e distorte. Gli Houthi si sono comportati male, ma la condotta della coalizione è stata perfino peggiore. Gli attacchi aerei sauditi, descritti come “sproporzionati e indiscriminati” da Human Righs Watch, hanno causato almeno due terzi dei danni alle infrastrutture e tre quarti delle morti. Riporta Rabyaah Lthaibani: “Per tre anni, la coalizione saudita ha bombardato ospedali, scuole e matrimoni. Hanno colpito sistematicamente strade e fattorie, e bloccato i porti di modo che i beni di assistenza non potessero raggiungere le persone colpite dalla carestia e dall’epidemia di colera”.
Tutto ciò sarebbe considerato oltraggioso, in qualunque altra circostanza, ma gli attacchi ai civili fanno parte di una strategia ben conscia. Un rapporto dell’ONU ha di recente sostenuto che l’Arabia Saudita stia usando la carestia come un’arma. Il blocco degli aiuti, riporta Human Rights Watch, “ha impedito ai civili l’approvigionamento di cibo, benzina e medicine, in violazione della legge internazionale”.
Ma i crimini della coalizione non si fermano qui. Matthew Reisener del Center for the National Interest dichiara che “ci sono prove sufficienti per dire che l’Arabia Saudita stia colpendo deliberatamente le infrastrutture civili per costruire una crisi umanitaria nelle zone dello Yemen controllate dagli Houthi. Centinaia di bombardamenti aerei hanno preso di mira fattorie, mercati, magazzini di cibo, e oltre duecento navi da pesca sono state distrutte dai bombardamenti della coalizione”.
Anche gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono coinvolti in questo orrore. Lo scorso giugno, Human Rights Watch e Associated Press hanno riportato che Abu Dhabi e suoi alleati locali dirigono 18 prigioni segrete nel sud dello Yemen, dove i prigionieri vengono torturati. Secondo AP: “Centinaia di uomini travolti nella caccia ai militanti di al-Qaeda sono scomparsi in una rete segreta di prigioni nello Yemen meridionale, dove gli abusi e le torture sono di routine”. Le forze americane hanno alloggiato in alcune di queste prigioni segrete, nonostante gli ufficiali USA smentiscano qualunque coinvolgimento nella violazione dei diritti umani.
Che cosa giustifica la complicità degli USA in un’altra sanguinosa guerra di aggressione? Una tesi piuttosto debole proviene da James Carafano della Heritage Foundation, il quale sostiene che gli Stati Uniti devono essere coinvolti “per impedire che la regione collassi”, perchè “la caduta di un regime amico è una brutta notizia per noi”. La realtà è che Washington ha fatto più cose per devastare il Medio Oriente, che per salvarlo. L’invasione dell’Iraq, il bombardamento della Libia, il supporto degli jihadisti radicali in Siria ha dato nuova linfa ai movimenti islamisti nella regione e aumentato l’influenza iraniana. Oggi, la guerra saudita contro lo Yemen, e l’assistenza americana in quella guerra, non fa che peggiorare le cose.
Non importa, ormai, che Hadi fosse teoricamente amichevole verso gli Stati Uniti. Dalla sua estromissione, si è coalizzato con gli islamisti radicali, e non è più amico né della democrazia né dei diritti umani. Oltretutto, invocando i bombardamenti aerei sulla sua stessa popolazione, Hadi ha perso qualunque legittimità potesse mai avere. Uccidendo migliaia di civili per ricondurlo al potere, Washington si è assicurata l’inimicizia di buona parte della popolazione, qualunque regime salirà al potere un giorno. Un cittadino yemenita, commentando la distruzione della sua casa da parte di un bombardamento aereo, ha dichiarato a Nicolas Niarchos del New Yorker: “l’America è il principale sponsor di ciò che ci sta accadendo”.
Il Segretario Mattis ha dichiarato che porre fine al supporto bellico americano significherebbe permettere agli Houthi di usare missili ballistici per “minacciare corsie di navigazione vitali nel Mar Rosso”. La presunta prova di ciò sarebbe un attacco missilistico Houthi avvenuto contro una nave da guerra americana. Quell’attacco ha portato altri ufficiali dell’amministrazione a esprimere preoccupazione sulla libertà di navigazione, specialmente sulla rotta di Bab-el-Mandeb.
Ma gli Yemeniti hanno attaccato la nave americana perché Washington sta aiutando i loro aguzzini, i sauditi. Prima di questa guerra, gli Houthi non hanno mai preso di mira gli americani e non avevano motivo di farlo. In tempo di pace, gli Yemeniti si affidavano ai partner commerciali della tratta del Golfo, e non avrebbero mai voluto bloccarla. Eppure adesso la coalizione saudita ha impedito agli Yemeniti l’accesso sul Golfo. Internazionalizzando la guerra, Riyadh ha anche internazionalizzato le armi. Come ha notato il viceammiraglio Kevin Donegan, prima “nell’inventario degli yemeniti non c’era alcuna barca esplosiva”.
MbS ha cercato di dipingere gli Yemeniti come aggressori. Ha detto a 60 Minutes che gli Houthi starebbero “conducendo manovre militari e piazzando missili vicino ai confini”. Suggerire che i ribelli yemeniti, impegnati in una guerra puramente civile, stiano pianificando di invadere l’Arabia Saudita è una fantasia senza senso. I sauditi e gli ufficiali americani citano gli attacchi missilistici contro Riyadh come una giustificazione per la guerra – ma gli yemeniti stavano rispondendo ai ripetuti bombardamenti sulla propria capitale e all’uccisione di migliaia di civili. Il leader Houthi, Abdul-malik al-Houthi ha annunciato: “finché continuerete a colpire Sanaa, noi colpiremo Riyadh e Abu Dhabi”. Dovrebbe essere chiaro a tutti che nessuno può giustificare un invasione solo perché le vittime rispondono al fuoco.
Tuttavia, l’Iran è diventato lo spauracchio con il quale giustificare ancora di più il coinvolgimento militare saudita e statunitense. Per la precisione, MbS ha detto che “l’ideologia iraniana ha penetrato alcune parti dello Yemen”, e che “l’Iran sta giocando col fuoco”. Questo detto da un regime che ha sponsorizzato lo wahabismo per anni nello Yemen. Yousel al-Otaiba, ambasciatore EAU negli Stati Uniti, ha detto invece: “All’Iran non deve essere permesso costruire una milizia simile a Hezbollah tra gli Houthi nello Yemen”. Eppure è stata proprio questa guerra, ad avere spinto i nemici di Abu Dhabi a coalizzarsi.
In ogni caso, bisogna considerare il fatto che l’Iran è militarmente debole, economicamente decrepito e politicamente diviso. MbS ha ammesso che “l’Iran non è un rivale per l’Arabia Saudita. Il suo esercito non è tra i cinque più potenti del mondo musulmano. L’economia saudita è più grande di quella iraniana. L’Iran è ben lontano dall’essere simile all’Arabia Saudita”. Se le cose stanno così, allora perché preoccuparsi dell’Iran?
Gli ufficiali di Washington tendono a esagerare la minaccia iraniana, spesso facendola passare come vasta e potenti, pur sapendo che non è così. Robert Karem ha dichiarato: “La guerra nello Yemen respinge i tentativi dell’Iran di destabilizzare l’intera regione”. Il presunto tentativo di Teheran di “dominare” la regione includerebbe la Siria e lo Yemen, entrambi devastati dalla guerra, un Libano perennemente diviso, e l’Iraq, dove la maggioranza sciita è stata scatenata dall’intervento americano del 2003.
Oltretutto, la storia suggerisce che nessuna fazione yemenita, eccetto forse quella guidata da Hadi, abbia intenzione di sacrificare l’autonomia del paese per divenire un fantoccio di Teheran. Come ha sottolineato Katherine Zimmerman dell’American Enterprise Institute: “la leadership di al-Houthi ha più volte sottolineato la propria indipendenza dall’Iran, e ha respinto più volte le offerte di Teheran”. In aggiunta, Gabriele vom Bruck della London’s School of Oriental and African Studies ha osservato che “gli Houthi vogliono uno Yemen indipendente, questa è l’idea centrale, non vogliono essere controllati né dai sauditi né dagli americani, e di certo non vogliono rimpiazzare i sauditi con gli iraniani”.
Per queste ragioni, dobbiamo mostrarci scettici ogni qual volta l’Iran viene usato come scusa per il coinvolgimento americano nella guerra allo Yemen. Infatti, il ruolo dell’Iran nello Yemen è sempre stato molto limitato. Teheran è stato un giocatore minore, rispetto a Riyadh. Secondo Thomas Juneau della University of Ottawa “questa è una guerra civile, condotta da concorrenti locali per l’ottenimento del potere, non una guerra regionale, settaria o per procura”. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che gli Houthi non hanno niente a che vedere con l’Iran. Adam Baron dell’European Council on Foreign Relations ha evidenziato come “gli Houthi non sono stati creati dall’Iran, e di certo non sono controllati dall’Iran. Questo è un gruppo radicato all’interno delle questioni dello Yemen”. Dopo tre anni di guerra, von Bruck ha concluso: “non penso che gli iraniani abbiano influenza sulle decisioni degli Houthi. Non è una relazione come quella tra l’Iran ed Hezbollah”.
La relazione tra l’Iran e gli Houthi è stato uno dei punti chiave che ha portato alla formazione della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. L’invasione della coalizione ha reso l’alleanza Iran-Houthi inevitabile, perché quale altra scelta avevano gli Houthi, dopo che il loro ricco vicino ha preso le armi? Come ha concluso Kevin L. Schwarts della Library of Congress, “solo dopo l’avvio della campagna saudita è aumentato l’armamento dei ribelli Houthi da parte dell’Iran”.
Né l’Iran ha dovuto investire molto, per ostacolare le legioni ben equipaggiate, ma inefficaci, dell’Arabia Saudita. L’assistenza iraniania si è limitata all’addestramento delle truppe e alla fornitura di armi leggere, nulla rispetto all’aiuto che Washington ha fornito all’Arabia Saudita. Peter Salisbury di Chatham House ha evidenziato come Teheran “abbia raccolto fantastici ritorni a fronte di un modesto investimento, portando l’Arabia Saudita in una guerra distruttiva che non può vincere senza un investimento sostanziale di personale o risorse”.
Eppure, ancora una volta, gli americani sono stati coinvolti in una guerra straniera che non pare avere conclusione. Il Segretario Mattis ha sostenuto che gli alleati “stanno dalla parte del governo riconosciuto dalle Nazioni Unite”. In aggiunta, l’emittente Gulf News degli EAU ha recentemente dichiarato che l’obiettivo della campagna militare è quello di “sostenere la legittimità del governo riconosciuto internazionalmente [quello di Hadi]”. Tuttavia, né agli USA né agli EAU sono interessate queste sottigliezze, quando si è trattato di intervenire in Siria. Questo argomento del “governo legittimo” non ha interessato molto Abu Dhabi, quando ha sostenuto i separatisti del sud contro lo stesso governo riconosciuto dall’ONU. Simon Henderson del Washington Institute ha osservato che “gli EAU si sono stufati di Hadi e stanno orchestrando i propri piani per il sud”.
Hadi potrebbe anche essere il legittimo presidente, ma la cosa di certo non garantisce stabilità. Chatham House riporta che Hadi è “ampiamente visto come un giocatore la cui importanza deriva da tecnicismi legali, supporto esterno e accesso alle risorse del paese, piuttosto che da una legittimità guadagnata tra i propri cittadini”. Hadi è dipendente dal supporto estero e teme di essere ucciso, se ritorna nel proprio paese. Di recente, due dei suoi ministri hanno dato le dimissioni, sostenendo che il governo saudita abbia impedito loro, e a Hadi, di ritornare in Yemen.
L’unico vero problema di sicurezza nazionale che concerne gli Stati Uniti è la rinascita di al-Qaeda nella Penisola Araba (AQAP), l’affiliato più attivo del movimento terroristico. AQAP ha di recente accelerato il reclutamento dei soldati ed espanso la propria presenza. Michael Horton della Jamestown Foundation ha osservato che “AQAP diventa sempre più pragmatica e meno ideologica -almeno per quanto riguarda le sue operazioni quotidiane- al fine di costruire alleanze, reclutare e addestrare soldati, e accedere a fonti di finanziamento”. Il gruppo, attualmente, controlla circa un terzo dello Yemen.
Carafano sostiene che se Washington smettesse di supportare l’aggressione di Riyadh, “Teheran, lo Stato Islamico e al-Qaeda si sentirebbero incoraggiati ad aumentare la propria presenza e ad espandere la guerra”. Ciò è falso, perché per gli islamisti e i terroristi la guerra è stata una manna dal cielo. Gli Houthi, per quanto antiamericani, sono anche anti-AQAP. Tuttavia, l’aggressione da parte di Arabia Saudita e degli Emirati ha dato nuovo ossigeno all’AQAP. Perfino il Dipartimento di Stato ha ammesso che AQAP e lo Stato Islamico “hanno approfittato del vuoto politico e della mancanza di sicurezza causata dal conflitto tra il governo yemenita e l’opposizione Houthi”.
La giornalista Laura Kasinof ha evidenziato come Hadi, senza supporto interno, “abbia collaborato con gli islamisti” prima della sua estromissione, cooperando anche con AQAP in alcune aree del paese. Inoltre, ha osservato Reisener, “al-Qaeda è stata significativamente sostenuta dal trasferimento di armi dall’Arabia Saudita a un certo numero di gruppi di milizie sunnite affiliate ad al-Qaeda nello Yemen”. Zimmerman ha scritto che “la coalizione guidata dall’Arabia Saudita tollera la presenza di AQAP sul campo di battaglia, finché il gruppo combatte contro le forze di al-Houthi”. Dunque, l’amministrazione Trump arma i sauditi, i quali chiudono un occhio su AQAP e nel frattempo aumentano i bombardamenti e il dispiegamento di truppe contro al-Qaeda. Gli USA, dunque, stanno sabotando i propri obiettivi supportando un pessimo alleato in una pessima guerra.
Eppure, i sostenitori della guerra dicono che il modo per ridurre le perdite e porre fine alla guerra è quello di supportare gli attacchi sauditi. Il Segretario Mattis ha avvertito che ridurre l’aiuto americano potrebbe “aumentare le perdite civili, minare la cooperazione con i nostri partners nell’antiterrorismo, e ridurre la nostra influenza sui sauditi – tutte cose che rischierebbero di esacerbare la situazione e la crisi umanitaria”. E’ bizzarro sostenere che per dobbiamo aiutare la coalizione ad uccidere più civili continuando ad uccidere civili. Come fanno gli USA a sapere che stanno impedendo la morte dei civili, se gli ufficiali ammettono che non fanno nemmeno finta di monitorare gli attacchi sauditi?
Carafano ha dichiarato che “invece di voltare le spalle allo Yemen, l’America dovrebbe concentrarsi sul porre fine alla guerra“. Come, continuando a spalleggiare l’aggressione saudita? Così facendo, riduce solo i costi dello sforzo bellico di Riyadh. Oltretutto, in quanto paese sempre belligerante, gli USA non hanno la credibilità per cercare una mediazione e così portare tutti a un tavolo. La migliore speranza per porre fine al bagno di sangue è obbligare i sauditi a pagare la loro truce disavventura. La verità è che gli Stati Uniti non hanno assolutamente leva sui sauditi.
In ultimo, Carafano ha evidenziato la presunta minaccia russa. “Putin interpreterebbe un ritiro degli americani come un semaforo verde per espandere l’influenza russa, come ha fatto nella guerra civile siriana”. Questa è una assoluta speculazione, in quanto Mosca non ha dimostrato alcun interesse nella guerra in Yemen. La situazione non è paragonabile alla Siria, della quale la Russia è sempre stata alleata. In generale, l’influenza di Mosca nel Medio Oriente rimane minore, comparata a quella di Washington, quindi l’intervento americano in Yemen non è assolutamente necessario.
Da candidato, Donald Trump ha criticato la politica estera del presidente Obama, ma Donald Trump presidente sta ripetendo gli errori di Obama in Medio Oriente. Non c’è alcuna ragione per sostenere un regime autoritario colpevole di avere promosso il radicalismo islamico. Gli USA stanno minando i propri interessi in favore di quelli di una dittatura islamica, e coinvolgendo sé stessi in un’altro conflitto lontano, inutile e impossibile da vincere. Un assestamento politico sarà infine necessario, ponendo gli interessi del popolo yemenita prima di quelli dei reali sauditi o dei mullah iraniani.
Sempre Carafano sostiene che “gli USA non possono restare a guardare”, ma in questo caso possono, e anzi dovrebbero. La politica estera americana ha creato caos, sparso il radicalismo, sostenuto dittature e contribuito a guerre di aggressione. Washington ha fatto tutto ciò in Yemen, dimenticando il primo dei Giuramenti di Ippocrate: non fare danno. Il primo passo verso ciò dovrebbe essere la scelta del presidente Trump di porre fine alla disastrosa avventura americana nello Yemen.
(di Doug Bandow, The National Interest – Traduzione a cura di Federico Bezzi)