Dalla liberazione di Aleppo, di Madaya e al-Waer, la maggior parte dei media occidentali ha evitato di visitare le zone nonostante ora sia possibile chiedere agli abitanti come era la vita sotto i “ribelli moderati”: questo è ciò che ha fatto la giornalista Eva Bartlett.
Nei primi mesi del 2016 la città collinare di Madaya, a nordovest di Damasco, era sotto l’occhio dei media occidentali: dappertutto venivano postate foto di bambini morti e anziani emaciati. Per tutto il 2016, sono circolate un’infinità di notizie su Madaya, al-Waer, Homs e tutta la zona orientale di Aleppo. Il governo siriano fu accusato di non fornire cibo e medicinali, di uccidere il suo stesso popolo; la presenza dei terroristi nella zona fu per lo più ignorata. Su Madaya il Telegraph titolò: “I siriani muoiono di fame nella città assediata di Madaya, sono ridotti a mangiare cani e gatti”, sottotitolo “I residenti di Madaya fuori Damasco -assediata dalle forze del regime e da Hezbollah da luglio- sopravvivono mangiando foglie e animali randagi”, senza menzionare mai al-Qaeda o Ahrar al-Sham.
The Independent accusò il “regime di Assad” di aver fatto deliberatamente morire di fame 40.000 civili, senza citare minimamente la presenza di al-Qaeda nella città. Sulla stessa linea, il New York Times pubblicò un pezzo nel quale si sosteneva che fu negato l’ingresso agli aiuti umanitari.
Su Aleppo, i media hanno allargato la colpa anche alla Russia. The Independent scrisse ai primi del 2016: “La Russia e il regime di Assad sono accusati di far morire di fame gli abitanti di Aleppo”, e in un articolo di luglio dello stesso anno scrisse che le cose erano peggiorate poichè le armate siriane avevano bloccato una strada che connetteva la Turchia ai gruppi estremisti presenti ad Aleppo. A Novembre, sempre The Independent scrisse che “almeno 250.000 persone ad Aleppo moriranno di fame se non verranno forniti aiuti nelle zone assediate”, ignorando che gli aiuti umanitari sono stati inviati più volte nel corso dell’anno e che la coalizione guidata da al-Nusra, Jaysh al-Fatah, a settembre ha respinto diversi aiuti per la zona est di Aleppo.
Non è stato minimamente menzionato il fatto che i terroristi hanno saccheggiato cibo e medicine, occupato scuole e ospedali, sottoposto i civili ai tribunali della Sharia, compiuto esecuzioni e altri orrendi crimini.
Per tutto il 2016 Aleppo e Homs sono state al centro di una propaganda volta a nascondere i crimini dei cosiddetti “ribelli moderati”. Questi articoli si sono avvalsi di fonti anonime o molto dubbie, inclusi “attivisti” con legami con le organizzazioni terroristiche e i famigerati White Helmets – un gruppo che il celebre giornalista John Pilger ha etichettato come organizzazione di propaganda, finanziato dal governo americano con 23 milioni di dollari.
Alcuni dei cosiddetti “ribelli” erano membri di Ahrar al-Sham (considerata organizzazione terrorista dal Congresso USA), Nour el-Din el-Zenki (famosa per la decapitazione di un giovane palestinese a metà 2016) e, incredibilmente, al-Qaeda in Siria, Jabhat al-Nusra (ribattezzata Jabhat Fatah al-Sham, e ora Hayat Tahrir al-Sham). Il programma statunitense “Syrian Train and Equip” ha goduto di un budget di 500 milioni di dollari nel 2014 per addestrare i “ribelli siriani”. Poco dopo che 30 “ribelli” addestrati dagli USA sono entrato in Siria a metà del 2015, il loro comandante -e presumibilmente tutte le loro armi- è stato catturato da al-Nusra.
Un articolo di Newsweek del novembre 2014 cita l’ex ufficiale CIA Patrick Skinner: “Il problema principale con i piani che armano e addestrano i ‘ribelli moderati’ -i quali sono moderati solo nelle loro abilità di combattenti- è che presume di conosce perfettamente, o almeno abbastanza bene, le persone che arma. Nei fatti, non è nemmeno lontanamente così. Le informazioni su questi combattenti sono prossime allo zero, specialmente in Siria, dove non abbiamo nessuna fonte affidabile”. Nei fatti, gli USA hanno fornito molto più che semplice addestramento. Ha fornito anche missili ad alcuni gruppi di “opposizione”, e chiuso un occhio sui fornimenti sauditi ai gruppi armati sul territorio.
Dalla liberazione di Aleppo, e la fine dei conflitti a Madaya e al-Waer, la maggior parte dei media occidentali non ha più parlato di quelle zone nonostante ora sia possibile visitare e chiedere ai civili come era la vita quotidiana sotto i “ribelli moderati”. Questo è ciò che ho fatto nel giugno 2017.
ALEPPO EST ERA DAVVERO INTRAPPOLATA E RIDOTTA ALLA FAME DAL GOVERNO SIRIANO?
Ho visitato Aleppo per la prima volta a luglio 2016, sono ritornata lì in agosto e due volte a novembre. Ciò che ho visto lì era completamente assente negli articoli dei media occidentali, i quali hanno ignorato gli oltre 1.5 milioni di civili di Aleppo e le azioni militari dei terroristi contro la popolazione. A fine 2016, quasi 11.000 civili sono rimasti uccisi dai bombardamenti o gli assalti armati. Nel novembre 2016, mentre ero nel corridoio umanitario di Castello Road, due colpi di mortaio sono esplosi vicinissimi, il più vicino a neanche cento metri. I colpi sono partiti dalle zone occupate dai militanti di Jays al-Fatah. Non era la prima volta che i gruppi jihadisti attaccavano i corridoi umanitari per impedire ai civili di fuggire.
Neanche una settimana dopo, in una scuola che ospitava dei rifugiati, ho incontrato una famiglia proveniente dal distretto orientale di Hallow che era fuggita dalla zona a ottobre assieme ad altre 40 persone. Il padre ha detto che in due precedenti occasioni era stato arrestato e picchiato dai terroristi ogni volta che aveva provato a fuggire. “All’inizio mi hanno imprigionato e torturato”, ha detto parlando del suo breve periodo di prigionia. Secondo la sua testimonianza, le persone che cervavano di fuggire venivano punite. Ha testimoniato anche che i terroristi sequestravano e controllavano i rifornimenti di cibo, costringevano le donne a coprirsi dalla testa ai piedi, e spaventavano i civili che cercavano di fuggire dicendo loro che l’esercito siriano avrebbe stuprato le loro donne e ucciso gli uomini. Alcune settimane dopo, Aleppo fu messa in sicurezza e i testimoni dell’orrore vissuto sotto i “ribelli moderati” furono ascoltati; inclusi i civili che davano la colpa ai “ribelli” per le loro sofferenze. I media occidentali hanno descritto la liberazione di Aleppo come una “caduta” della città. I festeggiamenti dei siriani ad Aleppo a seguito della liberazione contraddicono questa menzogna.
L’Ospedale di Stato, nel distretto orientale di Shaar, fu militarizzato dai terroristi della Brigata Tawhid, da al-Qaeda e dall’ISIS. Nei sotterranei dell’ospedale, quando lo visitai nel giugno 2017, vidi molti resti di cibo ed equipaggiamento medico -inviato dagli Stati del Golfo, dalla Turchia, dall’America e diverse organizzazioni- sequestrato dai terroristi.
I TRIBUNALI DELLA SHARIA E LE PRIGIONI DEI TERRORISTI
Nel novembre 2016, diversi metri sottoterra nella zona di Lairamoun controllata dalla 16ma brigata dell’Esercito Siriano Libero (finanziato dalla CIA), vidi le stanze utilizzate come prigione dai terroristi. Questo giugno, nell’Ospedale di Stato, prima di scendere in un’altra prigione sotterranea, vidi un edificio indicato come il quartier generale della Brigata Tawhid e un altro edificio marchiato all’esterno con la scritta “La Corte della Sharia di Aleppo e provincia”.
La prigione aveva le stesse strette celle di isolamento che avevo visto a Lairamoun, e simili stanzoni senza finestre che servivano per gli imprigionamenti di massa degli sfortunati abitanti di Aleppo. Molte delle celle contenevano testi religioni, e al pian terreno due stanze venivano usate come scuole, divise per sesso, per insegnare il credo estremista. Le scritte sui muri fatte dai prigionieri mostrano che alcuni di essi furono tenuti in carcere per oltre un anno. Il destino di alcuni di essi fu l’esecuzione.
La giornalista freelance Vanessa Beeley visitò l’ospedale-prigione nell’aprile 2017 e intervistò un uomo imprigionato per sette settimane da Jabhat al-Shamiya (collegata ad al-Qaeda) perché si era lamentato delle condizioni di vita sotto i terroristi ad Aleppo est. Beeley mi ha riferito la testimonanzia dell’uomo: Ahmad Aldayd, un negoziante. “Sono stato testimone di un’esecuzione: un giovane, figlio unico unico della sua famiglia, fu arrestato perché i terroristi trovarono sul suo cellulare la foto di un suo amico che teneva in mano la bandiera siriana.
Lo torturarono per quattro ore, poi lo giustiziarono. Tutti noi venivamo trattati molto male. Una donna chiese tre volte del cibo, dicendo che stava morendo di fame. Il carceriere ordinò alle guardie di torturarla per punizione. Poco prima che l’esercito siriano liberasse la zona, altri 22 prigionieri furono giustiziati. Stavano per buttare un prigioniero dal tetto dell’ospedale, ma l’esercito avanzava così velocemente che sono fuggiti senza giustiziarlo”
Per fare un esempio della propaganda occidentale su Aleppo, un articolo del Newsweek a firma di Lucy Wescott scrive che ci sono 250.000 civili intrappolati nella città e che “l’ospedale pediatrico è stato irrimediabilmente danneggiato dalle bombe lanciate dal governo siriano, secondo i residenti e i lavoratori dell’ospedale”. Ma nè l’autrice dell’articolo nè nessuno dei suoi colleghi ha verificato il numero citato dei 250.000. Secondo l’anagrafe di Jibreen c’erano 110.000 civili; un ulteriore 10% è rimasto per stare con i familiari; e secondo la Croce Rossa, 35.000 persone (“combattenti” e le loro famiglie) sono state evacuate da Aleppo. Il numero totale è di circa 150.000, forse meno. La Wescott non ha nemmeno menzionato l’occupazione dell’Ospedale di Stato, tantomeno il suo uso come prigione per i civili. Ha criticato l’utilizzo della tattica dell’assedio da parte dell’Esercito siriano, senza accennare mai ai crimini di al-Qaeda e compagni ad Aleppo.
L’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, Bashar al-Ja’afari, ha dichiarato nel gennaio 2016: “La verità sulle cosiddette zone assediate è che alcune di esse sono controllate da gruppi terroristici che usano i civili come scudi umani, mentre altre aree sono assediate dai gruppi terroristici i quali impediscono di far giungere gli aiuti umanitari”. Significa che esistono due gruppi terroristici: uno che assedia i civili dall’interno, un’altro che li assedia dall’esterno.
MSF HA “DISTRUTTO” L’OSPEDALE QUDS?
Nell’aprile 2016, i media hanno riportato che i siriani o i russi avevano distrutto l’ospedale Quds a Sukkari, nella zona est di Aleppo. La fonte di questa notizia era Medici Senza Frontiere (MSF), la quale ha dichiarato: “secondo lo staff dell’ospedale, l’edificio è stato distrutto da almeno un attacco aereo che lo ha colpito direttamente, riducendolo in polvere”. La bugia è stata ripetuta anche dal Washington Post: “Mercoledì notte degli attacchi aerei hanno distrutto un ospedale diretto da Medici Senza Frontiere e la Croce Rossa Internazionale”.
Eppure, nel giugno 2017, io ero proprio fuori dall’Ospedale Quds, intatto. Non era “ridotto in polvere” come aveva dichiarato MSF. Non è plausibile che l’edificio sia stato “distrutto” e poi ricostrito mentre la zona est di Aleppo era sotto assedio. Al piano terra dell’ospedale, vidi un poster con il logo di una associazione (WATAN) diretta dal Norwegian Air Committee (NORWAC) con gli stessi colori del logo dell’Esercito Siriano Libero. Vicino ad esso, il poster di una associazione diretta dalla NORWAC, Khayr.
NORWAC dichiara apertamente il suo supporto per le due organizzazioni, le quali operano esclusivamente in zone controllate da al-Qaeda e altri gruppi terroristici.7
WATAN si descrive come una “organizzazione apolitica” e ha la missione di “sviluppare una comunità sostenibile per ogni individuo, senza riguardo per genere, fede religiosa ed etnia”. Nei fatti, lavorano per al-Qaeda e altri gruppi islamisti i quali attaccano regolarmente persone non di fede musulmana e opprimono le donne. Nel novembre 2014, un articolo apparso sui media norvegesi svelava che l’ISIS aveva preso possesso dell’area di Tel Abyad, dove dal 2013 NORWAC gestiva un ospedale e forniva 250.000 Corone al mese allo staff. Un altro articolo evidenziava che il ministro degli esteri norvegesi aveva deciso di tagliare i fondi all’ospedale in quanto al suo interno venivano curati i membri dell’ISIS
La NORWAC lamentò il taglio dei fondi sostenendo che “potrebbe avere un impatto sui civili che usano l’ospedale”. E’ incredibile come la NORWAC intendesse sostenere un ospedale controllato dall’ISIS, ancora di più che la NORWAC non fosse al corrente che le due organizzazioni che supportava -Khayr e WATAN- lavorassero a stretto contatto con i terroristi.
Quando la giornalista Vanessa Beeley visitò la zona nel dicembre 2016, documentò che l’edificio “distrutto” era perfettamente intatto e fortificato con sacchi di sabbia attorno a porte e finestre proprio come i quartieri generali dei terroristi.
IL PICCOLO OMRAN SALVATO DAI WHITE HELMETS?
Nell’agosto 2016, il volto di Omran Dawneesh fu proiettato da tutti i media per incolpare la Russia e la Siria. Nel giugno 2017 ho incontrato il ragazzino e suo padre, il quale mi ha fato una versione dei fatti molto diversa: Omran era solo leggermente ferito, e non a causa di un attacco aereo. Il padre non ha mai autorizzato la circolazione dei foto e dei video, e ha rifiutato che suo figlio venisse strumentalizzato in altri modi. I White Helmets, ha dichiarato Mohammad Daqneesh, non hanno “soccorso” suo figlio: gli hanno fatto una foto, strumentalizzato la sua immagine il suo nome, e ripetutamente tentato di corrompere Mohammed prima di passare alle minacce fisiche.
LA BAMBINA EROINA DI TWITTER
Nel luglio 2017, il giornalista siriano Khaled Iskef fece luce sulla vera storia della famosa bambina siriana di sette anni eroina di Twitter, Bana al-Abed, la quale scriveva in perfetto inglese ma faticava a mettere insieme due parole durante le interviste. Visitando il suo quartiere e poi casa sua, Iskef scoprì che il padre di Bana, Ghassan, era un terrorista addestrato dalla Brigata Sawfa; che era uno dei giudici del Tribunale della Sharia nel già citato Ospedale di Stato; e che la sua famiglia viveva nel quartiere generale di al-Qaeda. Nonostante Iskef, che io ho incontrato ad Aleppo a giugno, abbia pubblicato diversi video delle sue ricerche, nessuno dei media occidentali lo ha supportato.
Basandomi sulle conversazioni con lui, ho scritto: “Il padre di Ghassan, Mohammed al-Abed, era un noto trafficante di armi e aveva un negozio a Sha’ar; forniva armi leggere e pesanti ai terroristi. Il negozio di al-Abed era proprio davanti a una scuola riconvertita a quartier generale di al-Nusra”
Le stesse cose che leggete sui giornali tutti i giorni, vero?
Nel suo secondo video, Iskef rivela che in uno dei video della piccola Bana al-Abed, la bambina registra a pochi metri di distanza dal quartier generale di al-Qaeda di Aleppo, vicino al quale ai civili era proibito perfino avvicinarsi.
“SONO CRIMINALI, TERRORISTI!”
Quando a giugno 2017, nel quartiere Bab al-Hadid, intervistai un piccolo commerciante, mi disse dei cosiddetti “ribelli”: “Sono criminali! Si fanno chiamare ‘ribelli’, ma sono tutti terroristi, nessuno escluso. Sono tutti terroristi, con nomi diversi: l’ISIS è come al-Nusra, al-Nusra è come il FSA, il FSA è come l’ISIS”
Quando i gruppi armati sono giunti nella sua zona, l’uomo è rimasto per un mese, poi è fuggito con la sua famiglia nella zona di Hamdaniya, controllata dal governo. “Una zona pericolosissima”, disse “i terroristi ci sparavano missili e colpi di mortaio”.
A seguito della liberazione di Aleppo, come molti altri, è tornato a casa. “Dove c’è l’esercito, c’è sicurezza” mi ha detto. “La vita è tornata, siamo di nuovo al sicuro. Sotto i terroristi temevamo per la vita dei nostri figli e dei nostri familiari”.
In fondo alla strada dove c’è il suo negozio, nel cortile fuori dalla moschea, un gruppo di giovani siriani prepara il pranzo del ramadan per i poveri del quartiere: fanno parte dell’associazione Saaed, che un anno fa ha fatto partire a Damasco la campagna “Break the hunger”. Un volontario mi ha spiegato che hanno scelto quel distretto di Aleppo perché “è un’area che ha vissuto nella paura”, per dimostrare agli abitanti che c’è ancora vita e speranza.
L’11 agosto, una dichiarazione stampa della International Organization for Migration (IOM) scriveva che circa 602.000 rifugiati siriani erano tornati a casa nel corso del 2017, “metà dei quali nella città di Aleppo sotto il controllo governativo”. Non verrà presto il giorno in cui i media che hanno mentito e fatto propaganda sulla Siria ammetteranno le proprie colpe. Probabilmente non verrà mai. Quegli stessi giornalisti stanno fabbricando sempre nuove storie, rendendosi responsabili di uno dei peggiori esempi di propaganda bellica della storia.
(di Eva Bartlett, Mintpress – Traduzione di Federico Bezzi)