Miles Davis e Prince; quell’eterna, romantica ossessione

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Quando Miles Davis, nel 1981, tornò a ricalcare le scene non trascorse molto tempo prima che vedesse il suo futuro in un giovane scapigliato di Minneapolis, amante del Funk, il cui nome era Prince Rogers Nelson, scomparso esattamente un anno fa. Infatti, non è un caso che nell’autobiografia del trombettista di Alton abbia un posto d’onore; “aveva la voce come il sassofono di Sonny Rollins, le qualità di James Brown, Jimi Hendrix, Marvin Gaye e Charlie Chaplin e suonava il pianoforte e la chitarra impersonificando la ribellione, quella dei ragazzi che escono alle 10 o alle 11 di sera. Poteva essere addirittura il nuovo Duke Ellington.”

Ed infatti, ebbe ragione. L’eredità musicale di Prince raggiunge quella del periodo d’oro del jazzista di Take The A Train. La perla, oltre Purple Rain e If I Had a Harem – Slow Blues in Do – è sicuramente Rubberband, Jam Session registrata con Miles Davis il 1 marzo 1986 ai Paisley Park Studios di Chanhassen, nel Minnesota. Qui, il valzer delle candele si fonde con Penetration, brano che Prince scrisse per Miles, il quale contribuirà a creare quelle influenze “Purple” udibili nell’ultimo periodo della sua carriera e ad alimentarne quella romantica ossessione nei suoi confronti. Si vocifera, infatti, che Erin Davis, il figlio, fosse stato introdotto alla batteria grazie a 1999, uno dei primi album del polistrumentista di Minneapolis. In fase di registrazione di Decoy (1984) e Under Arrest (1985), Miles Davis si ispirò al groove funky di Prince per ottenere quelle timbriche chitarristiche prerogativa di James Brown, mentre per il concepimento di Tutu (1986) si avvalse direttamente della sua collaborazione in brani quali Full Nelson e Can I Play With You.

I critici musicali di Minneapolis, quando Prince fece capolino, sostennero che per 30 anni nessuno sarebbe stato innovativo, famoso e di massa come lui. Vedendo di chi ne era il grande amore, direi che avevano ragione.

(di Davide Pellegrino)

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