Il Mito dell’Esercito prussiano

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Pochi sono gli eserciti che hanno segnato la storia. I condottieri e i soldati che con la loro forza e disciplina hanno cambiato le sorti di una guerra si possono contare sulle dita di una mano. Le falangi di Alessandro Magno, le legioni romane di Scipione l’Africano e di Cesare, i Mongoli di Genghis Khan, le Giubbe Rosse britanniche e le Panzerdivision della Wehrmacht sono solo alcuni esempi di militari che con i loro sacrifici hanno rivoluzionato l’arte della guerra e la storia.

Astro lucente del XVII secolo fu senza dubbio l’armata prussiana di Federico II, le “Roi-Connètable”. La piccola Prussia governata dagli Hohenzollern fu trascinata dal suo visionario re in lunghe guerre: tra tutte la più ardua, nonché fucina del mito dell’invincibilità prussiana, fu la “Guerra dei sette anni”.

Il 29 agosto del 1756 Federico II invase la Sassonia dando il via a quella guerra che Winston Churchill definì la “prima vera guerra mondiale della storia”. Venne infatti combattuta su 3 continenti diversi: Europa, America ed Asia, vedendo i grandi imperi (Austria, Russia, Francia, Spagna e Svezia) combattere contro l’emergente Prussia e gli alleati inglesi e portoghesi. Il re filosofo, come veniva chiamato Federico, andava in battaglia a fianco dei suoi soldati, sfidando a viso aperto il piombo nemico. Un genio militare per molti, solo fortunato per altri, Federico seppe, nonostante gloriose vittorie e rovinose sconfitte, vincere questa guerra contro i più grandi Imperi d’Europa.

La fanteria di cui disponeva era considerata la più disciplinata del tempo. Comandata senza pietà da ufficiali provenienti dalla classe nobiliare, gli Junker, la disciplina era tutto: bastava che un bottone dell’uniforme non fosse lucidato a dovere e si veniva bastonati fino allo sfinimento. Eppure questa ossessiva e fanatica disciplina era necessaria per tenere insieme un esercito eterogeneo composto non solo da sudditi prussiani, ma anche da stranieri arruolati a forza, (molto spesso rapiti), e prigionieri di guerra nemici.

Bisognava avere il sangue freddo per partecipare ad una battaglia del 1700: si avanzava in ordine, a passo cadenzato mentre le palle di cannone rimbalzavano al tuo fianco falciando gambe e teste. Si sparava una prima volta a 200 metri, poi a 150, a 50 e infine si caricava alla baionetta. Le ferite erano spesso mortali, e le operazioni chirurgiche una mattanza quanto le battaglie.

Federico ottenne le sue più grandi vittorie con almeno la metà degli uomini dei nemici: nella battaglia di Leuthen vinse con solo 30.000 uomini grazie alla famosa tattica dell’“ordine obliquo”. Riuscendo così a cogliere i 66.000 austriaci del generale Daun alla sprovvista causandone lo sbandamento e la fuga. Una manovra militare pericolosa e difficile da eseguire, che prevedeva lo spostamento in obliquo del grosso dell’esercito verso un unico fianco nemico (il sinistro generalmente), mentre una piccola forza lo teneva impegnato frontalmente. Si poteva così concentrare tutte le proprie forze contro un unico fianco avversario per mandarlo in rotta.

Questa stessa manovra, imitazione di quella inventata del generale tebano Epaminonda a Leuttra contro gli spartani, poteva portare a gloriose vittorie, ma anche a rovinose sconfitte come accadde a Kunersdorf, dove la fanteria russa ben trincerata e disciplinata riuscì a resistere all’attacco prussiano. Ovviamente il re-soldato di Prussia non fu un genio al pari di Annibale, Napoleone o Rommel, eppure seppe vincere su nemici ben più numerosi ed equipaggiati. Furono le sue solide e motivate fanterie a conquistare le vittorie con il ferro ed il sangue.

Con le sue luci e le sue ombre Federico II ed il suo esercito entrarono nella storia, tracciando un mito bellico che segnerà la storia della Prussia prima e della Germania poi fino alla sua definitiva débâcle militare nel 1945. L’ordine e la disciplina dei prussiani furono l’alone mistico che gli permisero di incutere timore a nemici ben superiori sul campo, i quali non conoscevano che proprio questa stessa disciplina era la causa di un enorme numero di disertori e fuggitivi. Neanche le clamorose sconfitte subite a Valmy nel 1792 e inflittegli dal genio di Napoleone riuscirono ad intaccare il mito dell’invincibile Prussia, che permane tuttora e ancora oggi viene imitato e studiato.

(di Fausto Andrea Marconi)

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