semicolto pericoloso

Vale la pena di riparlare del “semicolto”, definizione dimenticata ma più che mai attuale

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Esiste una categoria social(e) che ha la particolare capacità di essere una delle più fastidiose: quella dei semicolti. L’identikit del semicolto è abbastanza noto: di buona istruzione, magari con un “importante” titolo di studio ostentato con malcelata vanagloria. Smanioso consumatore di cultura “a buon mercato” – che impegna poco ma si rivende bene – con un altezzoso atteggiamento da intellettualoide. Pende sempre dalle labbra delle “fonti ufficiali” – solitamente rappresentante da Mentana & Co. Il semicolto è esterofilo incallito, utilizza compulsivamente anglicismi sia scritti che parlati; infoiato ammiratore delle piste ciclabili olandesi, del “senso civico” scandinavo e di tutte le amenità provenienti dal mondo anglosassone. Qualsiasi espressione nazionale la approva soltanto se è puro e vacuo esercizio di stile, ancor meglio se deprime o auto-colpevolizza, o in generale risulta innocua e scevra da qualsiasi elemento di concreto orgoglio patriottico. Il semicolto è colui che critica sprezzantemente la “cultura di massa” senza rendersi conto di produrre egli stesso l’odierna cultura di massa. Ciancia di analfabetismo funzionale e abolizione del suffragio universale con la sicumera di chi si è auto-conferito sia il ruolo di giudice che di giurato.

Il semicolto è figlio di una scarsa consapevolezza

Probabilmente tutti conosciamo almeno un semicolto; e chi non lo conosce, forse farebbe bene a guardarsi allo specchio: perché siamo tutti in pericolo di finire nel cerchio infernale dei semicolti. La sindrome della semicultura è trasversale e può colpire chiunque: dallo studentello – solitamente un po’ secchione – che avendo imparato e memorizzato un buon numero di nozioni scolastiche crede di essere entrato in un circolo esclusivo riservato alle menti di “cultura superiore”; fino al professore universitario che insegna quelle nozioni e si sente in potere di accettare o rifiutare l’ingresso di nuovi membri nel suddetto circolo. Come se la cultura superiore fosse uno status immobile da raggiungere e mantenere, e non una tendenza dinamica, un’aspirazione tangibile nel viaggio ma irraggiungibile nella destinazione finale; in quanto non ha destinazione finale. È come un’asticella da spostare sempre più in alto, virtualmente all’infinito: non una meta ma una direzione. Una forma partecipativa e non competitiva. Quando qualcuno crede di essersene impossessato e conseguentemente di essersi innalzato al di sopra di molti altri, e magari di poter decidere perfino chi ne sia degno e chi no, sta semplicemente mostrando la sua ottusa natura.

Dunque la semicultura, più che una condizione è una propensione; posto che chiunque debba guardarsi dal rischio di contrarre questa sindrome, per alcuni esiste una inclinazione più forte di altri. Il germe di questo rischio più elevato è costituito da una sorta di immaturità o degenerazione della coscienza, nel senso di “essere consapevole”. Il “semicosciente” – che sia un fine intellettuale erudito, una persona di media estrazione culturale o un cittadino scarsamente scolarizzato – difetta della consapevolezza di quale sia la propria dimensione all’interno della realtà, manca dell’accortezza di scindere la percezione personale dalla realtà oggettiva. Tutti ci lasciamo più o meno guidare dai preconcetti attraverso i quali formiamo la nostra visione del mondo, dalla forte ascendenza che hanno le altrui opinioni sulla nostra e dall’emotività del momento. Se queste inclinazioni sono uno strumento del pensiero diffuso, ma non esclusivo, per il semicosciente rappresentano la sola e unica bussola. Come se egli fosse un cieco e questo strumento il suo cane guida. Il semicosciente è un individuo fortemente soggettivo, agisce sempre per emotività o pregiudizio e non cambia mai idea: vive nel suo piccolo mondo di fenomeni percepiti, e questa piccola finestrella sulla realtà rappresenta per lui la totalità delle cose esistenti e accadenti.

Il semicosciente vive una realtà intimamente degenerata

Nel semicolto domina il bisogno di percepire la verità sempre come qualcosa di rassicurante, lineare, indubitabile. L’intima necessità – del tutto umana, ma qui degenerata – di certezze e consolazioni, lo rende inconsapevole dei suoi limiti materiali. Se è vero che l’uomo progredisce anche affrontando e tentando di superare i propri limiti materiali, è altrettanto vero che egli debba averli sempre ben presenti. Nel semicosciente questo non accade: lui ignora totalmente quali siano; e senza un orizzonte oltre il quale gettare lo sguardo si finisce per perdere la capacità di guardare lontano, di vedere oltre le cose prossime per mettere a fuoco quelle più distanti e ricostruire un quadro verosimile della realtà. La realtà non è un’entità che l’uomo può costantemente osservare e percepire fedelmente nella sua complessissima interezza, della quale può sempre disporre, attraverso vie metodologiche e materiali, in tutte le molteplici sfaccettature che la compongono. Un semicosciente non è in grado di sospendere il giudizio e concepire l’eventualità di una realtà temporaneamente non conoscibile; lui ha bisogno di semplificazioni, di una realtà che si pieghi sempre secondo i suoi bisogni, che sia anche artificiale ma non contraddittoria, apparente ma mai avversa.

Questo persone costruiscono la loro visione del mondo sulla base di una concezione duale: è tutto buono o cattivo, vero o falso, bianco o nero. In merito a questioni politiche, sociali, storiche, o qualsivoglia fatto od oggetto di speculazione, prendono una decisione o assumono una posizione sempre attraverso questa forma di pensiero binario. La cornice che appongono sulla realtà sensibile limita il loro campo visivo entro uno spazio ben delineato, corrispondente esattamente alla verità che, secondo emozioni e pregiudizi, hanno stabilito anzitempo, a prescindere. Chiudono poi gli occhi e rinunciano a osservare e ragionare di fronte a qualsiasi segnale che vada contro questa loro pre-verità. Se poi si tratta di masse abbastanza ingenue, basterà stimolare a dovere le loro emozioni per renderle sempre totalmente persuase sulla validità della “verità ufficiale”: ovverosia la versione della dei fatti veicolata dalle istituzioni ufficiali – che siano esse governative, scientifiche, informative, scolastiche o culturali. Anche se si trattasse della ricostruzione più assurda e inverosimile dei fatti, fin quando essa manterrà quell’aura di autorevolezza derivata dalla sua ufficialità, il semicosciente ne sarà sempre totalmente assuefatto. Per le istituzioni tecniche e scientifiche poi, ancor meglio se sovranazionali, provano proprio una forma di ebbra adorazione ai limiti del fanatismo. Qui la fede è letteralmente incrollabile, fino alla presunzione di infallibilità. Tutto ciò che proviene da queste fonti è valido, qualsiasi alternativa è senza alcun dubbio errata, anche se fondata su basi più che concrete e proveniente da fonti altrettanto autorevoli.

In conclusione, ci si guardi dunque bene dai semicolti, ma ancor di più ci si guardi dai semicoscienti. Che almeno si crepi avendo provato a godere del beneficio del ragionamento – per quanto errato o parziale che sia -, piuttosto che di inedia del pensiero.

(di Michele Lanna)

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