Democrazia Kafka

Il linguaggio nascosto della democrazia e il senso di colpa in Kafka

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Il linguaggio naturale è il principale mezzo di comunicazione che unisce popoli e culture diverse, ormai da secoli. Ciò che distingue il linguaggio animale da quello umano (naturale) è principalmente la quantità di segni. Nel primo caso abbiamo un numero di segni limitato, mentre nel linguaggio naturale il numero di segni è illimitato. Ciò vuol dire che ogni giorno nascono nuove parole che favoriscono la comunicazione. Non esiste un concetto inesprimibile, ma ogni cosa può essere espressa attraverso segni, ma anche simboli. La funzione fatica del linguaggio può avvenire anche attraverso segni sociali e quindi icone, immagini, simboli che sono prettamente convenzionali e artificiali perché stabiliti a priori, in quanto qualcuno ha deciso “cosa debba stare per qualcos’altro” e quindi cosa debba assumere un certo significato.

Democrazia, prima di Kafka

Attraverso la parola si può dire qualsiasi cosa. Le parole sono stringhe di significato, piccoli frammenti di un puzzle che possiamo comporre a modo nostro. Con le lingue si può dire qualsiasi cosa anche la più astratta e inverosimile, ma se articolata nel modo giusto riesce a sorprendere. Una storia qualunque e una qualsiasi favola, è composta da un linguaggio impeccabile, che riesce a catturare l’attenzione di tutti e a farci credere persino in ciò che non esiste. La dialettica: è così che la chiamavano gli antichi greci. L’arte del sorprendere, l’abilità di persuadere l’interlocutore.

Esiste una favola molto bella e davvero ingegnosa, che da anni mi è stata raccontata tra i banchi di scuola, e anche alla TV l’ho sentita più volte, è quella sulla democrazia. Dal greco dêmos ‘popolo’ e dal tema di kratéō ‘comando’, “comando del popolo”. La narrazione prevede che il popolo abbia il potere e che sia il principale responsabile delle decisioni che riguardano il proprio Paese. Ma come può un popolo vittima di una favola, essere cosciente e responsabile del proprio ruolo di comando?

I protagonisti di questa favola vivono di abitudini, qualche volta scelgono, perché costretti a farlo; altre volte si accontentano, perché stanchi di combattere. La scelta è intesa come una forma di libertà, quest’ultima viene percepita come la possibilità di scegliere tra le infinite possibilità proposte dal sistema. Ai personaggi viene data l’illusione di poter scegliere, ed è proprio questo che dà loro la convinzione di essere liberi. Nell’ era della globalizzazione l’uomo è schiavo delle alternative proposte dalla vita, le quali paradossalmente confondono la mente, distraendolo. Si é costantemente alla ricerca di un appagamento, si è malati d’ insoddisfazione perché nulla riuscirà mai ad appagare il credo verso la materialitá. Si è convinti di volere più di quello che ci serve.

I personaggi della narrazione credono di essere i protagonisti del racconto, ma in realtà si rivelano come semplici personaggi secondari che non hanno alcun valore, anzi sono uno uguale all’altra. Si somigliano. Sono uguali nei modi di fare, nei gusti personali, negli stili di vita, nel modo di vestire, nel modo di pensare. La democrazia se ci pensate è un po’ come la favola di pinocchio. Il mondo dei Balocchi è pieno di scelte, tante cose belle che mostrano un mondo utopico in cui si può avere tutto, ma alla fine di concreto non si ha nulla.

La colpa ingiusta

Come la Bibbia narra, ad Adamo ed Eva è stato tolto il frutto nel giardino dell’eden, a causa di un senso di colpa amplificato, che da secoli continua ad essere attribuito all’intera umanità e così, in ugual modo sta avvenendo per chi ha provato a pensare con la propria testa. È stato tolto il giocattolo da mano al bambino e costui ha pianto per la sua assenza, hanno poi ripromesso di restituirglielo, a patto di accettare le condizioni poste da terzi, e così senza dare credito alla propria dignità, si è scesi a compromessi, accettando il ricatto del secolo. Un patto, per avere in cambio le libertà che di diritto spetterebbero ad un essere vivente. Ma, non è finita qui, perché le privazioni continueranno, le limitazioni aumenteranno e come per abitudine si continuerà ad accettare con indifferenza il ricatto del secolo. Dopo ogni privazione, arriva una richiesta indecente e solo dopo: la ricompensa illusoria e provvisoria. Ne scaturisce così un circolo vizioso, una sorta di trappola.

La situazione “kafkiana”

Una situazione kafkiana si direbbe! Kafka rappresentò il mondo come una trappola, come un universo burocratizzato, in cui la burocrazia invisibile domina il singolo individuo che è ridotto ad un piccolo ingranaggio della grande macchina burocratica. L’uomo deve riuscire a sfuggire alla ” trappola mondo” e alle imposizioni esterne ma non riesce a ribellarsi, anzi al contrario egli colpevolizza sé stesso e prova vergogna e senso di colpa perché non riesce ad adattarsi a questa riduzione a mera funzione sociale e a questo “essere ingranaggi” di un macchinario, di cui in fondo non si coglie il senso complessivo. Questa dinamica non provoca ribellione nell’uomo di Kafka, ma un’introduzione del fallimento attraverso la costruzione di una colpa personale. Perché l’incapacità di adattarsi è percepita e vissuta come colpa.

Ma forse questo senso di colpa non è così ingiusto.. Come affermava George Batailles in La letteratura e il male: la trasgressione non è la negazione del divieto, bensì il suo superamento e il suo completamento” con ciò vuole dirci che l’uomo si distingue dagli animali perché rispetta una serie di divieti che sono ambigui e dunque egli deve violarli. Ciò vuole dire mettere in discussione le norme delle convenzioni imposte dalla società, pur essendo consapevoli di essere colpevoli. In quanto la trasgressione di tali divieti è un atto di coraggio attraverso il quale l’uomo può manifestare la realizzazione del suo essere umano nell’universo.

Perché che forse non è tanto restare vivi, ma è restare umani quello che conta.

(di Arianna Cavallaro)

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