Rino Gaetano italiano

Rino Gaetano, meridionale che si scopriva orgogliosamente italiano

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Il 29 Ottobre di settantuno anni fa, a Crotone, nasceva Salvatore Antonio Gaetano, meglio conosciuto come Rino – da bambino veniva chiamato Salvatorino, mentre la sorella preferiva il diminutivo Rino -, uno dei più audaci ed enigmatici cantautori che la scena musicale italiana abbia mai prodotto. Un personaggio d’avanguardia, un funambolo della parola e rimatore ad effetto; autenticamente teatrale, si faceva interprete di una riuscita miscela tra cabaret e dramma.

Pochissimi altri hanno saputo rompere gli schemi come è riuscito a lui, una mente artistica quasi visionaria, proiettata in avanti e senza dubbio fuori dal tempo. La sua musica, prodotto di un sottile genio artistico, e il suo animo genuinamente inquieto, hanno saputo scuotere energicamente il panorama musicale e il vissuto interiore della generazione dell’epoca, oltre che, soprattutto, delle generazioni a venire – tra queste ultime, invero, ha riscosso ancor più successo rispetto alle prime.

Né di destra, né di sinistra, Rino Gaetano dava voce a chi voce non ne aveva

Un cantautore, dicevamo. Lo è stato nel modo più autentico, in un periodo storico durante il quale il cantautorato toccava vette altissime e rappresentava ancora un metodo d’espressione musicale notevolmente florido, una forma d’arte autentica e variegata, con interpreti che – a differenza dell’odierno appiattimento indistinto – si caratterizzavano per varietà di sfumature creative.

Varietà musicale, sì, ma conformismo contenutistico: mentre andavano in scena soprattutto cantautori dai testi impegnati e politicamente schierati, quasi sempre dalla stessa parte – ovvero quella giusta, perciò quasi mai osteggiati – lui percorreva una strada parallela e dissonante che spesso gli costava emarginazione e ostilità. Era la strada di chi rifiutava le etichette preconfezionate per sottrarsi a quel facile e conveniente gioco dello schierarsi dichiaratamente in favore di una precisa corrente politico-sociale.

Rino Gaetano, meridionale che si scopriva orgogliosamente italiano

Il suo ruolo, invece, consisteva nel calarsi nelle vesti di un raffinato cantore burlesco che non risparmia nessuno. Con la sua geniale vena ironica e dissacrante, la tipica voce graffiante, il sorriso beffardo e i testi apparentemente – e solo apparentemente – nonsense, additava e sbeffeggiava praticamente ogni fazione politica dell’intero arco parlamentare, così come molte delle figure mediatiche, gli uomini e le donne di potere e le personalità della cronaca e dell’intrattenimento più noti di quei tempi: come succede, ad esempio, nel testo della celebre Nuntereggae più.

Eppure, nonostante il sottinteso rifiuto, fin quando in vita, di interpretare il ruolo dell’ennesimo cantautore schierato e compiacente, oggi ancora in molti cercano di tirarlo dalla propria parte per relegarlo al ruolo di cantautore impegnato di sinistra – principalmente -, di destra – più raramente -, liberale, anti-liberale, democratico, conservatore o qualunque altra collocazione passi per la testa. La realtà tangibile è che, pur non avendo mai fatto troppo mistero di certe simpatie anarchiche – piuttosto inequivocabili in un brano come I miei sogni d’anarchia il quale, con un doppio significato, come quasi tutti i suoi testi, narra dell’amore verso una donna che sembra rappresentare una metafora della sua fascinazione anarchica -, Rino Gaetano non era dalla parte di nessuno, o per meglio dire, era semplicemente un ragazzo che veniva dal popolo e che restò sempre dalla parte del popolo. Un sognatore, un animo inquieto e rivoluzionario che cercava “in tutte le canzoni e in un passero sul ramo”, come scrive in Cerco, “uno spunto per la rivoluzione”.

Il suo legame con le genti del popolo esondava dagli argini in quasi ogni suo racconto; in moltissime delle sue storie c’era qualcuno di quei figuranti “sfruttati, malpagati e frustrati” dei quali parla in Mio fratello è figlio unico. Era genuinamente avverso all’arroganza dei salotti radical-chic, dei politicanti burocrati e perbenisti, o peggio corrotti, ben tratteggiati nell’umorismo del pezzo Capofortuna ed espressamente beatificati, in modo ovviamente sarcastico, nel brano Le beatitudini – una sorta di flusso di coscienza durante il quale motteggia “i potenti e i re”, “i bulli di quartiere”, “i parlamentari ladri”, “gli arrivisti”, “i nobili e i padroni specie se comunisti”. Anti-elitario, contestava la prepotenza opulenta e prevaricatrice del più forte che schiaccia il più debole e agitava le iniquità patite da lavoratori, operai, contadini, dando voce alla loro estraniazione interiore in diversi brani, come L’operaio della Fiat (la 1100) e Agapito Malteni il ferroviere.

Gaetano, non solo denuncia sociale

Nonostante il suo spirito socialisteggiante, pensare a Rino Gaetano soltanto come ad una sorta di ironico, seppur iconico cantastorie anti-élite, o ancor peggio ad un raffinato qualunquista, sarebbe riduttivo nel primo caso, falso e del tutto ingeneroso nel secondo: non era questo, o era molto più di questo. Oltre a vivificare le ingiustizie sociali, l’emarginazione del più debole, l’arroganza del potere e l’affarismo politico, le sue melodie, le sue rime raccontano – perché di veri e propri racconti si tratta – storie cavalleresche e romantiche, o folcloristiche e tragiche. Sono insieme fiaba e poesia, dramma e commedia, veri atti teatrali che vanno in scena nell’immaginazione di chi ascolta.

La sua arte era simile a quella di un prestigiatore che, nel bel mezzo di una esibizione, tira fuori il colpo ad effetto che lascia gli spettatori attoniti e affascinati, a chiedersi quale possa essere il trucco che si cela dietro una simile magia. Ed è proprio la magia uno degli strumenti principali per apprezzare fino in fondo la sua arte in musica. Dentro ogni sua opera si può quasi sempre percepire una delicata magia di sottofondo, un riverbero fiabesco o sottilmente misterico; numerosi sono i brani che sembrano delle vere e proprie fiabe, due per tutti: E la vecchia salta con l’asta; Michele ‘o pazzo è pazzo davvero.

Magia e sentimento; era un poeta dell’amor cortese, romantico e a tratti decadente, riusciva anche a rappresentare l’eros in un modo piacevolmente delicato, quasi impalpabile – come in Sei ottavi, un pezzo che descrive l’autoerotismo femminile con una grazia impareggiabile. Amore ma anche abbandono; storie che finiscono e persone che se ne vanno – come in Visto che mi vuoi lasciare -, anime in fuga e quel distacco che evolve in una malinconica solitudine, sentimento spesso presente e dominante nelle sue storie: solitudine dell’emarginato, come nella già citata Mio fratello è figlio unico, e dell’invisibile che prende voce in Escluso il cane.

Un meridionale che si svela orgogliosamente italiano

Crotonese, figlio del Sud profondo, fin dall’età di dieci anni visse a Roma. Si amalgamò perfettamente con il clima romano pur mantenendo sempre un fortissimo legame con la sua terra d’origine, con quel meridione aspro e rurale, materialmente povero ma energico e colmo di quella particolare ricchezza dello spirito. Un legame che emerge spesso nei suoi testi, come in La zappa il tridente il rastrello, pezzo nel quale a versi di critica contro una classe sociale affettatamente e apaticamente imborghesita, contrappone un ritornello inequivocabile – “la zappa il tridente il rastrello la forca/l’aratro il falcetto il crivello la vanga/e la terra che spesso t’infanga” -, uno scioglilingua ripetuto allo sfinimento, con un ritmo crescente e incalzante; una celebrazione proprio di quella vita agricola e strapaesana alla quale si sentiva ancora sentimentalmente legato. Contadini nelle campagne in contrasto a “vecchi solai e ciminiere, lavatoi al decimo piano”; la terra e il fango al posto del “fumo che sale in paradiso, e gli angeli cadono giù”.

Il culmine di questo immutato affetto mantenuto verso il Mezzogiorno viene toccato senza dubbio in quello che è uno dei suoi brani più poetici e immaginifici: Ad esempio a me piace il sud. Una lirica dedicata al Meridione; il testo è chiaro e manifesto come pochissimi altri – quasi tutti soggetti a svariate interpretazioni -, nostalgico e genuinamente appassionato, con quel tipo di tenerezza che sembra quasi da fanciullo. Versi intimi e a tratti malinconici, immagini e spaccati di vita che si susseguono e disegnano un quadro bucolico, dai tratti ruvidi, realistici, ma allo stesso tempo pervaso da una delicatezza quasi struggente. La seconda strofa di questo testo, che recita: “Ad esempio a me piace vedere/la donna nel nero del lutto di sempre/sulla sua soglia tutte le sere/che aspetta il marito che torna dai campi”, tratteggia una visione alquanto spirituale e ci restituisce una sensazione di premura verso credenze e tradizioni di quella terra, della sua terra.

Una premura che, a dirla tutta, non è limitata alle sole tradizioni locali, ma si estende attraverso una più ampia narrazione delle tradizioni, dei costumi, della storia, degli alti e dei bassi di un’intera Nazione, di un intero popolo. Rino Gaetano, invero, era sì un uomo del Sud, ma era soprattutto un italiano che rivendicava di essere tale e dichiarava il proprio amore per l’Italia in più di uno dei suoi testi. Un esempio abbastanza esplicito, seppur limitato, si può trovare nel testo di E io ci sto, dove un verso recita: “In fondo è bello però, è il mio Paese e io ci sto”; come a dire, nonostante tutti i problemi questo in fondo è sempre il mio Paese, e appunto, io ci sto.

Era capace di raccontare l’Italia, la sua storia, i suoi vizi e le sue virtù, i pregi e i difetti, gli eccessi e le mancanze di un intero popolo in un modo unico, che alternava e mescolava insieme un realismo quasi disilluso e un dichiarato amore. Proprio da questo sentimento di passione in chiaroscuro nasce uno dei suoi brani più famosi, Aida, un’ode all’Italia, una cronaca della storia nazionale dal ventennio fascista fino ai suoi giorni, narrata con il suo inconfondibile stile ironico e malinconico, attraverso delle istantanee, degli sprazzi di vita che raccontano di questa donna di nome Aida che “sfogliava i suoi ricordi” e che rappresenta, appunto, l’Italia. Un brano nel quale traspare, tra la narrazione un po’ disillusa, ma romantica, quel sentimento d’amore genuino verso questa donna, alla quale si rivolge – e quindi, metaforicamente, si rivolge all’Italia – per dirle con dolcezza: “Aida, come sei bella”. Una dedica che ci restituisce un artista dall’animo sensibile e, nonostante tutto, un italiano sinceramente innamorato.

Tutto questo e molto altro era Rino Gaetano, una voce emersa dal conformismo, un precursore dei nostri tempi e un italiano nel profondo. Con il suo cappello a cilindro, i suoi look stravaganti, il sottile umorismo teatrale e una delicata sfumatura poetica, ha saputo reinterpretare in modo originale e forse irripetibile il concetto stesso di cantautorato, ha saputo reinventare e reinventarsi, lasciandoci in eredità una visione artistica e musicale del mondo, della nostra società, della nostra Nazione, che ancora oggi è in grado di farci fermare a riflettere. È però impossibile cogliere ed esaurire con le parole tutto il contenuto della sua opera. Perciò, chiunque voglia conoscere Rino Gaetano, conoscerlo veramente, non si soffermi a questa personale e limitata interpretazione; si immerga piuttosto nel suo mondo, tenda l’orecchio per mettersi in ascolto e farsi pervadere completamente dalla sua musica: scoprirà senz’altro molto più di quanto letto fino a qui.

(di Michele Lanna)

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