Basaglia Tobino

Ripensare Basaglia, riscoprire Tobino

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Franco Basaglia e Mario Tobino, una contrapposizione decisiva. Ma andiamo con ordine. Qualche mese fa, ci fu una interessante risposta che uno psichiatra, Adriano Segatori, diede a uno psicanalista, Mario Colucci. Il secondo deplorava che un volume di lingua inglese recentemente pubblicato muovesse delle critiche a Franco Basaglia. Citando una frase di Abraham Lincoln (“potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”), Segatori notava che, contrariamente a quanto succede in Italia (ancora questa estate da Trieste – definita da l’Espresso sua “città natale”: no, era veneziano – si è chiesto di assegnare a Basaglia il Nobel postumo), la comunità scientifica internazionale non si è allineata al “mito” dello psichiatra che ha rivoluzionato – in peggio – la cura della malattia mentale.

Basaglia: un esempio dell’egemonia culturale della sinistra italiana

L’ammirazione incondizionata per Franco Basaglia è uno dei tanti vizi della cultura italiana contemporanea: devozione laica e disinformata, come quella per Sandro Pertini, Enrico Berlinguer e altri grandi sopravvalutati che, non fosse per l’egemonia culturale di sinistra (inattaccabile, finché la destra partitica resta indifferente a qualsiasi iniziativa culturale non le faccia comodo) sarebbero ricordati con l’ignominia o con l’indifferenza che spetta loro.

Basaglia Tobino

A tale egemonia mistificante si sommino le devastanti semplificazioni d’una demagogia banalizzante che, con la tragicomica ascesa politica del Movimento Cinque Stelle, prosegue il suo dominio sull’opinione pubblica.

Il recente proposito di “abolire la povertà” richiama quello basagliano di “abolire la follia”: curiosamente, di entrambe le iniziative è stato corifeo Dario Fo – convinto sostenitore grillino negli ultimi anni della sua vita; negli anni ’70, assiduro frequentatore di Basaglia e direttamente coinvolto nelle pantomime di costui.

Basaglia vs. Tobino

Il grande avversario di Basaglia fu Mario Tobino.

Basaglia Tobino

Sarebbe più corretto dire che Basaglia era l’avversario di Tobino. La differenza tra i due personaggi sta anche nella forma: se Tobino argomentava delle critiche alle riforme di Basaglia, questi rispondeva insultando il collega (e i pochi altri che osassero criticare la chiusura dei manicomi). Tacciò Tobino d’essere mosso da “carità cristiana”, come fosse una colpa: e quanto sia debole, scaduto il cattolicesimo post-Concilio Vaticano II si nota anche nella “santificazione”, persino da parte cattolica, d’un personaggio che ha contribuito alla voga sessantottina d’usare “cristiano” come insulto. Basaglia rimproverò anche, a Tobino, d’essere affetto da “edonismo letterario”: come se “Biondo era, e bello” (un libro su Dante tanto bello, che avrebbe potuto scriverlo il Vate stesso) fosse un pamphlet alla Borgna (o, molto peggio, alla Andreoli).

Fin troppo ovvio il moto d’invidia. A onta dell’esibizione (quella sì, figlia d’un “edonismo letterario”) di studi filosofici, Basaglia non è stato un grande intellettuale. Le sue riflessioni non sono mai andate più in là della dogmatica reiterazione della “analitica del potere” di Michel Foucault (pensatore rispetto a lui più complesso e dotato): imitando il filosofo e antropologo, l’antipsichiatra ripeteva continuamente che ogni relazione sociale è un rapporto di potere – il manicomio, la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro…

Dall’abolizione della follia alla neopsichiatria

L’unica riflessione nel quale Basaglia abbia mostrato una minima autonomia di pensiero ha fatto assai più danni: la negazione dell’esistenza della malattia mentale – gli slogan “la follia è una condizione umana” e “da vicino nessuno è normale” fanno parte del frasario del post-sessantottino medio (assieme a citazioni da De André e Pasolini – i quali però, fossero ancora vivi, coprirebbero di sputi i loro “esegeti” odierni).

Basaglia ha contribuito (assieme a Laing, Cooper e gli altri burattini del Tavistock Institute) allo snaturamento della “psichiatria”, privandola della “psyché”: dell’anima – non c’è più uno spirito ferito da guarire, il disturbo mentale è soltanto un accidente neurologico, e lo si “cura” riempiendo il cervello di prodotti chimici. Ha insomma spianato il percorso al trionfo della “neopsichiatria”: gli ex sessantottini si rincretiniscono con gli ansiolitici, i sottoistruiti delle generazioni X, “millenial” e Z abboccano alla bugia della serotonina (la “molecola della felicità” dalla cui ricaptazione intersinaptica dipenderebbe la guarigione dalla depressione).

Se l’attuale prassi psichiatrica è prigioniera d’un falso scientifico collocabile, per dignità intellettuale, al livello del terrapiattismo (incentivare la ricaptazione della serotonina provoca squilibri chimici nel cervello, che ne è irreparabilmente danneggiato), oltre a essere un abominio filosofico, ideologico, spirituale (negare le ferite dello spirito, riducendo il malessere più profondo a una questione chimica: guarire il depresso non aiutandolo a migliorare la propria vita, ma con delle pasticche); è grazie alla de-spiritualizzazione della psichiatria portata avanti anche da Basaglia. Il danno sociale che da decenni ne consegue è ampio a vari livelli (il dilagare dei farmaci serotoninergici sta contribuendo – per fare un solo, gravissimo esempio – all’abbassamento del quoziente intellettivo medio nel mondo occidentale); ma gli antidepressivi vendono, tantissimo; e i “neopsichiatri” hanno il lavoro semplificato: la psichiatria post-Basaglia è “soltanto chimica”.

La “rivoluzione Basaglia” e le sue vittime

Si blatera tanto di “legge Basaglia” e chiusura dei manicomi: una battaglia giusta, portata avanti con effetti devastanti. Solo a quarant’anni dalla morte del medico veneziano gli si contesta, timidamente, l’aver rovinato la vita a migliaia di “pazzi”, improvvisamente gettati per strada, e alle loro famiglie, che si trovarono dei disperati a carico.

Le rivoluzioni sono buone, quando siano buoni i rivoluzionari: questa è la differenza tra Gesù e Gandhi da una parte, e Guevara e Mandela dall’altra.
Che la pratica psichiatrica fosse inaccettabile, non lo aveva notato soltanto Basaglia (il cui frequente paragone con Copernico è risibile): lo sapeva anche Mario Tobino – il quale però era un grande medico, e sapeva che i problemi dei “matti” si risolvono non chiudendo gli istituti psichiatrici, bensì migliorandoli. Opzione troppo complessa e faticosa per Basaglia (e per i basagliani), che trovò comodo demonizzare il collega, reo d’averlo contraddetto (cosa che gli antipsichiatrici non tollerano mai), e più facile abbattere (fisicamente) le pareti dei nosocomi.

L’11 dicembre dell’anno venturo ricorre il trentesimo anniversario della morte, in Agrigento, del dottor Mario Tobino da Viareggio. Va auspicato che la ricorrenza sia ricordata degnamente; e che si legga “Le libere donne di Magliano”, invece d’andare in brodo di giuggiole per Basaglia che scaglia in giro panchine di ghisa.

(di Tommaso de Brabant)

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