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Brexit No Deal e possibile effetto domino: perché l’UE adesso ha paura

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Brexit ormai esecutiva, ma, come sempre, si tratta per evitare il “No Deal“. I contraenti sono la Gran Bretagna nella persona di Boris Johnson da un lato, e l’Unione Europea dall’altro (in pratica nella persona di Angela Merkel). Bruxelles si trova al termine di uno spartiacque durato quasi quattro anni al termine del quale le certezze ideologiche e propagandistiche si potrebbero sciogliere come neve al sole.

Brexit, perché il “no deal” mette paura all’UE

La Brexit senza accordo, ovvero senza regolamenti di uscita, porterebbe la Gran Bretagna ad una piena e assoluta libertà sugli accordi internazionali, sulle tariffe di scambio, su eventuali dazi e quant’altro. Ovviamente, sussisterebbero i pro come i contro.

Ma la sensazione è che, per Bruxelles, il No Deal rappresenti più di un timore. Ne abbiamo parlato proprio ieri sera nella trasmissione di Vox Italia TV, insieme al conduttore Francesco Toscano, Bepi Pezzulli e George Lombardi. Se tra i contro per il Regno Unito ci sono senza dubbio le incognite “pionieristiche” di un’economia globale da affrontare di petto, tra i pro c’è sicuramente la possibilità di esprime appieno il potenziale decisionale del paese nelle sue scelte commerciali, fiscali, di investimenti di lungo termine. In parole povere, di tutto ciò che l’UE reprime per sua stessa costituzione.

Una “prova di libertà” che, se dovesse dispiegarsi al meglio e peggio ancora ottenere risultati importanti, sarebbe un termine di paragone troppo difficile da ignorare per la gabbia di Maastricht, che si troverebbe all’interno di un’allegorica “cortina del XXI secolo” in grado di patire confronti non solo con il mondo libero di paesi extracontinentali (quali Cina e USA) ma anche dei vicini di casa oltremanica.

Johnson sembra molto sicuro di sé, gli eurocrati decisamente meno. Vedremo cosa accadrà.

Brexit e possibile effetto domino

Sull eventualità di un effetto domino in tutto il resto d’Europa si è già riflettuto molto. Ma quante possibilità ha tale scenario di realizzarsi? E’ certo che, in meno di 10 anni, gli euroscettici siano ad oggi la metà – se non oltre – della popolazione continentale.

Ma ciò non basta per semplificare la questione. Abbiamo a che fare con un sistema ideologicamente granitico, che emargina ogni opposizione ridicolizzandola da decenni, e che controlla almeno il 90% dell’informazione.

La sensazione è che la Brexit sia stata un’eccezione. Non nel senso dell’indebolimento – incontestabile – della gabbia di Maastricht, ma in quello della “uscita unilaterale”. Gli altri paesi euroscettici non hanno lo stesso background degli inglesi. Farage ha dovuto lottare con tutto e tutti, ma ha avuto come interlocutore un popolo – tra i pochi in Occidente – in cui sopravvive un orgoglio nazionale minimo al quale attecchire.

L’Italia – che è un Paese profondamente euroscettico – ha una situazione drammaticamente diversa, ostaggio com’è della minoranza anti-italiana che, dal secondo dopoguerra in poi, ha praticamente messo le mani su ogni aspetto dell’etica, della filosofia e della stessa idea di Nazione.

La Spagna si trova in una situazione ancora più tragica, gli altri Paesi occidentali vivacchiano (Francia in primis) ma non sono certamente dominati da una retorica nazionalista come quella inglese o – per quel che concerne il resto del mondo – americana, russa o cinese.

I popoli europei sono, in altre parole, consapevoli del problema. Ma non hanno ancora gli strumenti collettivi e idealistici per affrontarlo. E’ per quello che, al momento, l’ipotesi più probabile rimane quella dell’implosione. Sugli stessi dogmi economici – e fallimentari – dell’UE.

Ma come si suol dire: staremo a vedere.

(di Stelio Fergola)

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