Crisi dell'europeismo e bocciatura Goulard: vie parallele

Crisi dell’europeismo e bocciatura Goulard: vie parallele

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Brexit, vittoria elettorale dei populismi nel 2018, enorme affermazione anti-europeista nel 2019, alcune nomine ottenute per un soffio, altre perse, come quella di Sylvie Goulard, bocciata ieri dal Parlamento Europeo al Mercato Interno e all’Industria della Difesa. Non pare così assurdo parlare di una crisi dell’europeismo che prosegue, e forse si rafforza negli ultimi tempi. Il tutto considerando che sono passati meno di dieci anni, storicamente un periodo nullo.

Crisi dell’europeismo: 5 anni fa era impensabile

La prima, grossa botta si ha nel giugno del 2016, quando la Gran Bretagna, un Paese membro dell’UE esprime, tramite referendum, la sua volontà di uscire dal consesso continentale. È la Brexit. Qualcuno, non a torto, sostiene che il Regno Unito già stesse per metà fuori dalla comunità: indipendenza bancaria e assenza dell’Euro due dei motivi principali. Il dato culturale di quel voto resta comunque impressionante e da consegnare ai posteri.

La seconda botta sono state le elezioni del maggio scorso: qualche voce isolata  ha affermato che il dato matematico avrebbe assegnato la vittoria agli europeisti. Chi l’ha fatto ha sostanzialmente detto una fesseria. O meglio, ha sostenuto un’ovvietà numerica che non contestualizza nulla, in particolare l’enormità dello scoglio da abbattere, ovvero un sistema difeso a spada tratta da praticamente tutta la cultura mainstream, la cui esistenza fino a pochi anni fa era considerata dogmaticamente imprescindibile, oltre che in vigore da 30 anni, succeduti a diversi decenni di preparazione politica e indottrinamento pedagogico delle masse.

Nessun euroscettico serio avrebbe mai pensato che il Parlamento successivo al maggio 2019 sarebbe già potuto essere a maggioranza euroscettica, qualsiasi anti-europeista con un minimo di sale in zucca avrebbe auspicato un’affermazione come quella che c’è stata, cioè corrispondente a quasi la metà dell’assemblea continentale. In appena tre anni, dal 2016 al 2019, l’UE si trova ad affrontare la richiesta di uscita di un Paese membro e un Parlamento che fino al 2014 era a nettissima prevalenza europeista. Non è poco.

Europeismo zoppicante: Von Der Leyen presidente della Commissione, ma per un soffio

Una delle colonne della nuova Commissione Europea, il presidente Ursula Von Der Leyen, viene eletta per soli 9 voti di vantaggio nel luglio del 2019. Tralasciando le polemiche sul ruolo decisivo dei grillini nella sua elezione, anche in questa sede il contesto è fondamentale. Si passa da uno stato di semi-unanimità, come quello che aveva portato alla carica Jean Claude Juncker 5 anni prima, ad una situazione di incertezza che fino a poco tempo fa nessun europeista poteva avvertire.

La situazione attuale: la bocciatura di Sylvie Goulard, l’esultanza di Lega e FdI

Il Parlamento Europeo, come scrivevamo nell’introduzione, rigetta dunque la candidatura della francese Sylvie Goulard. Come riporta il Giornale: “Questa mattina i gruppi del Partito Popolare Europeo, dei Verdi, Identità e Democrazia e Sinistra Unitaria europea si sono espressi contro Goulard; a suo favore c’era solo il gruppo Renew Europe. La francese è rimbalzata alla seconda audizione di fronte all’Europarlamento con una votazione che non lascia spazio ad ambiguità: 82 no contro appena 29 sì.”

Ci sono ovviamente ragioni disparate per il rifiuto: per la Goulard si parla di problemi giudiziari e conflitti di interessi, visto che sia lo Stato francese che l’Olaf (l’organismo di lotta alle frodi dell’Unione Europea) stanno indagando su di lei. Oggetto dell’indagine, fondi dell’Europarlamento usati per pagare un proprio collaboratore.

La bocciatura potrebbe mettere a rischio la nascita definitiva della Commissione Von Der Leyen, che dovrebbe partire il 10 novembre.  Nel frattempo Lega e Fratelli d’Italia esultano. Salvini parla di una “ottima notizia. La maggioranza voluta da Pd-5Stelle-Merkel-Macron è figlia della paura e della voglia di poltrone. A Bruxelles come a Roma, meritano di essere mandati a casa”. Per la Meloni la bocciatura è “un sonoro ceffone all’arroganza di Macron che ha preteso per la sua pupilla un portafoglio sterminato e ha provato a imporla nonostante enormi problemi di trasparenza”.

E proprio Macron si risente, chiedendo spiegazioni: “Io mi sono battuto per un portafoglio, avevo proposto tre nomi. Mi avevano detto che il nome era formidabile, che andava bene. Poi mi dicono che non lo vogliono più. Mi devono spiegare. Non vorrei fosse entrato in gioco del risentimento, forse della meschinità”.

La crisi dell’europeismo esiste ed è palpabile. Fenomeno nato circa un decennio fa, notevolmente approfondito negli ultimi tre anni. Per ora non si vedono inversioni di tendenza. Se non sono ingenui, a Bruxelles lo sanno bene.

(di Stelio Fergola)

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