Michel Houellebecq è tornato a far parlare di sé. Scoperto solamente in seguito al suo penultimo lavoro, quel “Sottomissione” campione di vendite, recensioni e dibattiti dal 2015 ad oggi, l’autore francese ha al suo attivo molti più scritti ben riusciti di quanto i non addetti ai lavori conoscano – citiamo tra i tanti “Le particelle elementari”.
L’uscita in Italia del suo ultimo lavoro dal titolo Serotonina (La Nave di Teseo, 2019, pp. 332) è riuscito a destare l’attenzione di lettori e giornali, tanto da generare un vero e proprio conto alla rovescia all’arrivo dei volumi nelle librerie. In attesa dei primi dati sulle vendite, ci sentiamo vivamente di consigliarne la lettura. Il taglio è quello che più aggrada i suoi lettori, spregiudicato e senza alcun pelo sulla lingua: politicamente scorretto, per dirla con parole quanto mai attuali.
Le prime cinquanta pagina scorrono tutte d’un fiato, mentre olandesi, britannici e giapponesi vengono stroncati dalle parole dell’intellettuale francese. Sorprende, e non poco, la descrizione della Spagna, con una lucidità d’analisi sul presente e il passato della nazione latina, pari a quella che viene fatta della Francia. Anche il giudizio su Francisco Franco sembra molto più incline ad uno studio dei trentasei anni al potere del generale che ad una banale criminalizzazione, come fatto da Dan Brown nel suo “Origin”.
Successivamente inizia il viaggio nella Francia profonda, e qui l’autore dimostra di essere un grande conoscitore di quella frattura sempre più evidente nella società transalpina tra la metropoli, la capitale Parigi, e il resto del Paese. Quella frattura così ben evidenziata dal voto per le ultime elezioni presidenziali per l’Eliseo.
È proprio nella seconda parte del libro che sorge, quasi improvviso, quell’acume che consente ad Houellebecq di anticipare la dilagante protesta dei gilet gialli: le proteste, anche violente, dei produttori agricoli e degli allevatori che tentano con ogni arma, nel vero gergo della parola, di far sentire le proprie ragioni ad amministratori politico-istituzionali sordi e venduti alle esigenze del capitale internazionale. Senza alcun pericolo di spoiler per coloro che non hanno ancora letto il libro, possiamo affermare che, se una pecca c’è, nel romanzo del saggista francese, questa ci sembra proprio la conclusione. Non del tutto convincente, non perché si cerchi il disneyano lieto fine, ma per mancanza di brio o inaspettato colpo di scena.
Detrattori e fan non mancheranno, e tra i due noi ci iscriviamo volentieri fra i secondi: a voi l’ardua sentenza.
(di Luca Lezzi)