Il subdolo ritorno dell'egemonia tedesca

Il subdolo ritorno dell’egemonia tedesca

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Perfino dopo la caduta del muro di Berlino, l’idea di una Germania riunita sembrava remota. Margaret Thatcher, memore della storia recente e dei suoi ricordi d’infanzia della Seconda Guerra Mondiale, era apertamente scettica. La sua controparte francese, François Mitterrand, era ancora meno entusiasta e aveva predetto: “Non devo fare assolutamente niente per fermare la riunificazione, lo faranno i sovietici per me. Non permetteranno mai che una Germania forte si opponga a loro”. Il cauto piano quinquennale di Helmut Kohl per la riunificazione, presentato al Bundestag della Germania occidentale nel Novembre 1989, era in parte mirato a rassicurare i suoi nervosi vicini ed alleati.

La storia, tuttavia, ha superato ogni aspettativa, e la rapida riunificazione della Germania viene oggi vista come il più grande risultato dell’era post Guerra Fredda. Le cupe previsioni di una Germania riunificata che avrebbe dominato il continente europeo, a vederle oggi, sembrano quasi isteriche, il prodotto della fissazione delle vecchie generazioni per la storia remota. I recenti articoli sulla triste condizione dell’esercito tedesco sembrano suggerire che la belligeranza della Germania sia davvero una cosa del passato. Senza contare che l’Europa ha una politica interna problematica e che il centro di gravità del mondo si è spostato verso l’estremo oriente.

Una grande potenza resta una grande potenza, anche se nessuno la nota? Le previsioni del relativo declino dell’America e della nuova era della multipolarità spesso si concentrano su potenze regionali come l’Iran o la Russia, o sulla crescita inesorabile della Cina. Poche sembrano notare che la quarta economia del mondo si è elevata a leader del continente europeo de facto.

Anche se l’economia tedesca domina l’Europa, questa, al contrario delle previsioni, non si è tramutata né in una potenza militare né in una forte presenza sulla politica estera. Quando il Regno Unito e la Francia hanno bombardato la Siria, la Germania si è limitata ad appoggiare l’attacco solo a parole. I politici tedeschi sono certamente meno innamorati delle armi da guerra rispetto alle controparti inglesi e francesi. Tuttavia, nessun potere economico può evitare di esercitare un’influenza regionale sostanziale, una realtà che ispira ancora un certo grado di disagio paneuropeo. C’era una barzelletta in Cecoslovacchia che ironizzava sugli investimenti tedeschi nei primi anni ’90: “Ho una buona e una cattiva notizia sulle prospettive della Cecoslovacchia post-comunista”. “Qual è la buona notizia?”. “Stanno arrivando i tedeschi!”. “E la cattiva notizia?”. “Stanno arrivando i tedeschi”.

La potenza economica si traduce automaticamente in asservimento in politica estera? In un certo senso, si. La Francia e la Gran Bretagna possono usare la propria potenza militare per dimostrare di avere ancora una rilevanza come grandi potenze, ma la decisione unilaterale di Angela Merkel di accogliere milioni di migranti dal Nord Africa e dal Medio Oriente ha molte più conseguenze sul futuro europeo che qualche missile sparato contro Assad. L’impatto della politica monetaria dell’Eurozona sulle periferie meridionali del Continente è un altro prodotto dell’influenza tedesca. Consci, a causa del proprio passato storico, di quali disastri possa portare l’iperinflazione, la Germania ha insistito affinché la BCE adottasse le sue politiche economiche molto restrittive, di fatto sbarrando la strada a politiche che avrebbero potuto fare molto di più per alleviare gli effetti della grande recessione in Spagna, Grecia e Italia.

Gli storici enfatizzano spesso il ruolo delle istituzioni, quando parlano dei lunghi periodi di pace nella storia europea. La lunga era di stabilità a seguito dell’esilio finale di Napoleone viene attribuita ai brillanti diplomatici del Congresso di Vienna. Alla NATO e la rete di istituzioni che formano l’alleanza occidentale viene riconosciuto il merito di avere soppresso il revanscismo tedesco dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le istituzioni hanno importanza, ma c’è una spiegazione molto più prosaica per la recente quiescenza della Germania. La memoria di una devastante guerra mondiale, e la minaccia di un nemico esterno, hanno congelato la competizione tra gli stati europei per due generazioni. Oggi l’URSS è ormai un ricordo, gli USA stanno soccombendo all’Asia, e i ricordi della Seconda Guerra Mondiale stanno sparendo. In queste circostanze, vi sorprenderebbe rivedere la Germania riprendere la propria leadership?

Infatti ci sono tutti i segnali che il sentimento nazionale tedesco stia riemergendo dopo un lungo periodo di quiete. Alcuni indicatori, ad esempio l’esposizione della bandiera durante i mondiali di calcio, sono benigni e innocui. Altri, come il recente commento del leader conservatore secondo il quale l’Olocausto sarebbe “una macchietta” sulla lunga e gloria storia della Germania, sono forse più preoccupanti. E’ degno di nota evidenziare come diversi studiosi della storia europea fossero diffidenti all’idea di una Germania unita ben prima della fine della Guerra Fredda. Il celebre storico inglese A.J.P. Taylor scrisse: “Se la politica anglo-americana avesse successo e costringesse la Russia a ritirarsi dietro le sue frontiere, il risultato non sarebbe la liberazione nazionale, ma la restaurazione dell’egemonia tedesca, prima economica e poi militare”.

Nei tardi anni ’90, le preoccupazioni inglesi e tedesche sulla riunificazione apparivano già anacronistiche ed allarmiste. Forse Thatcher e Mitterrand non avevano sbagliato, erano solo in anticipo sui tempo. Ora che l’ottimismo post Guerra Fredda è scomparso, e sono riemersi i conflitti all’interno dell’alleanza occidentale, perché la Germania non dovrebbe pretendere un ruolo geopolitico commisurato al suo status economico?

Una Germania nuovamente potente non significa per forza il ritorno di una politica estera in stile nazista o guglielmino. Gli antichi stimoli all’espansionismo tedesco non esistono più. Le grandi comunità tedesche fuori dai confini nazionali (il cosiddetto Volksdeutsche) sono scomparse dopo la Seconda Guerra Mondiale, ed è difficile che la Germania avanzi pretese sulla Prussia orientale o sull’Alsazia-Lorena. D’altra parte, perché ricorrere alla politica estera aggressiva, o alla pressione militare, quando queste aree sono già accessibili ai capitali tedeschi e soggette all’influenza tedesca attraverso il meccanismo dell’Unione Europea?

Al contrario, il ritorno dell’egemonia tedesca sul continente europeo sarà sottile, graduale, e in buona parte benigno. La dominazione economica tedesca è già mascherata dall’Unione Europea, e c’è ampio spazio di manovra per espandere questa influenza attraverso le preesistenti istituzioni “multilaterali”. Per fare un’esempio, la Germania fornisce una quota sproporzionata del bilancio degli aiuti interni dell’Unione europea, un’importante fonte di reddito per i membri più poveri dell’Europa orientale. L’Ungheria e la Polonia hanno criticato apertamente la politica migratoria della Germania, ma potrebbero abbassare i toni se l’UE iniziasse a levare loro importanti fondi strutturali. A ben vedere, la posizione anti-tedesca del Gruppo Visegrad altri non è che una reminiscenza della Piccola Intesa, un’alleanza di piccoli stati est-europei nata tra le due guerre con l’obiettivo di contenere le ambizioni tedesche.

L’Unione Europea sopravviverà certamente, non fosse altro per inerzia burocratica, ma la nuova ondata populista ha esposto i limiti dell’identità paneuropea. Dovremmo aspettarci la nascita di una politica estera “europea” indipendente, modellata sulle esigenze tedesche e spesso in aperta ostilità a quelle di Washington. Come l’espansione dell’influenza economica tedesca, questo processo va avanti silenziosamente da molto tempo. I disaccordi sulla guerra all’Iraq e il disprezzo della Germania per Donald Trump sono ovvi punti di tensione, ma questi sono più fenomeni isolati che segni di una divisione insanabile. Le lamentele americane dei bassi contributi della Germania alla NATO sono nate ben prima di Trump, così come il disaccordo su diverse questioni, dal proposto oleodotto Nord Stream 2 alla risposta all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Una relazione più amichevole tra America e Germania potrebbe eventualmente risolvere questi problemi, ma non restaurerà l’unità dei tempi della Guerra Fredda.

L’ultima offerta tedesca per la leadership europea sarà quasi sicuramente meno traumatica rispetto alle epoche precedenti. Ammantata, e in qualche misura limitata, dal quadro istituzionale dell’UE, la Germania non è più pronta a rovesciare violentemente lo status quo. Invece, sarà un’importante potenza tra le tante nel mondo che non girano attorno all’Europa. Nella costellazione delle relazioni estere statunitensi, la Germania potrebbe diventare simile all’India o al Brasile: non apertamente ostile, incline alla collaborazione grazie ad alcune tradizioni politiche condivise, e disposta a cooperare in aree di mutuo interesse ma senza aderire ciecamente ai diktat di Washington. Considerando la storia della Germania, non è lo scenario peggiore possibile.

(the American Conservative – Traduzione di Federico Bezzi)

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