Il fallimento della politica estera Usa: non ha imparato nulla dalle sue guerre

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E’ giunta l’ora, per l’establishment politico di Washington, di considerare un’opzione all’apparenza impensabile: ovvero, che le continue operazioni e occupazioni militari all’estero non contribuiscono alla sicurezza nazionale e alla prosperità economica degli Stati Uniti. Ci sono abbastanza prove – dalla Siria, dall’Afghanistan e dallo Yemen – per sostenere che queste operazioni non facciano altro che prosciugare la nazione delle sue risorse più critiche, e deteriorino la nostra abilità di rispondere a potenziali battaglie cruciali nel futuro. E’ necessario un cambiamento urgente.

Dopo gli attacchi che hanno colpito l’America l’11 settembre, tutti i presidenti si sono convinti del fatto che l’unico modo per fare fronte ai problemi internazionali fosse quello di usare la forza militare. Questa tendenza è diventata così preponderante che l’ipotesi di usare vie non militari per risolvere le controversie è fuori discussione.

Poco dopo la sua inaugurazione, il Presidente Trump ha mandato un gran numero di truppe in Siria per fornire supporto aereo e altra assistenza alle Syrian Democratic Forces nel loro sforzo per riconquistare Raqqa, auto-proclamata capitale dello Stato Islamico. L’obiettivo è stato raggiunto nell’ottobre 2017. Le truppe, a missione compiuta, avrebbero dovuto essere riportate alla base.

Invece, le truppe sono rimaste, e molti ufficiali della Casa Bianca e del Pentagono hanno cercato altri obiettivi verso i quali muoverle. Invece di sviluppare una strategia di ritiro, Washington si oppone fermamente all’ipotesi di riportare a casa anche solo un soldato, quasi a prescindere dalla mancanza di necessità; una volta che una missione è iniziata, la missione stessa diventa l’obiettivo. L’operazione nello Yemen è un esempio calzante.

Non c’è mai stata una minaccia alla sicurezza americana, durante la guerra civile nello Yemen. Anche se si può sostenere che gli Stati Uniti abbiano interesse a vedere il suo alleato, l’Arabia Saudita, vincente, l’intenzione di Riyad di intervenire in quella guerra era esclusivamente legata alla propria sicurezza, non a quella americana. La guerra è stata un fallimento abissale da ogni punto di vista, senza alcun contendente vicino alla vittoria, e al prezzo di venti milioni di persone sofferenti di penuria alimentare, e di più di diecimila persone uccise.

Eppure, nonostante questo evidente fallimento, e l’assenza di qualsiasi interesse nazionale vitale in gioco, il Pentagono ha fatto pressioni per assicurarsi che la missione continuasse senza scadenze, e alcuni membri del Congresso hanno bloccato gli sforzi per porre fine al coinvolgimento dell’America. Una coalizione bipartisan di senatori ha cercato di mettere ai voti una mozione per porre fine al sostegno alla missione il mese scorso, ma il provvedimento è stato sconfitto 55-44. Oggi la guerra continua, senza scopo e senza soluzioni in vista.

Mentre ero in servizio attivo nell’esercito degli Stati Uniti, ho servito due volte in missioni di combattimento in Afghanistan. Nel 2011 ho osservato come la nostra guerra, che all’epoca andava avanti da dieci anni, non fosse riuscita a raggiungere i nostri obiettivi, e ho scritto che i leader degli Stati Uniti reclamavano successi dove sapevano benissimo che non ce n’erano.

I risultati degli ultimi sette anni hanno dimostrato che la mia valutazione era corretta, ma ogni sforzo per porre fine alla missione, e riportare le truppe alle proprie basi, continua a essere fortemente ostacolato. Diversi attentati suicidi -come quello di domenica, che ha ucciso cinquantasette persone- continuano ad affliggere Kabul, e come conferma l’ultimo rapporto dello Special Inspector General for Afghan Reconstruction (SIGAR), le misure di coinvolgimento americano sono state assolutamente negative.

Il rapporto del SIGAR ha rivelato che la missione in Afghanistan è fallita sotto tutti i punti di vista: sotto l’aspetto della sicurezza, sotto il profilo economico, nel contrasto alla corruzione del governo locale. Ciò perché il coinvolgimento militare dell’America nel paese non ha una serie di obiettivi precisi, e quindi non c’è nessun criterio in grado di determinare la fine della missione.

La fallimentare missione in Afghanistan costa ai contribuenti americani circa 45 miliardi di dollari all’anno. L’anno scorso, quindici americani sono stati uccisi in Afghanistan, e molti altri feriti. Nel 2019, gli Stati Uniti dovrebbero spendere 16 miliardi di dollari per la missione in Siria; solo oggi, quattro americani sono stati uccisi in Siria. Queste sole due missioni costano ai contribuenti più di 60 miliardi di dollari, e un numero imprecisato di vite.

E tempo di gettare uno sguardo duro, critico e non emotivo sulla nostra politica estera dell’era post 11 settembre, e ammettere che l’uso abituale, e quasi permanente, della potenza militare all’estero non ci ha reso più sicuri, continua a sperperare miliardi che potrebbero essere meglio utilizzato in altri modi, e sacrifica inutilmente la vita dei nostri soldati.

Per il bene della nostra sicurezza nazionale e della nostra prosperità economica, dobbiamo fermare l’uso della potenza militare all’estero nel tentativo di risolvere i problemi, e riscoprire che, a volte, altri strumenti di potere nazionale sono più adatti al fine di conseguire risultati positivi per la nazione.

(di Daniel L- Davis, The National Interest – Traduzione di Federico Bezzi)

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