Calciatori politicamente scorretti: George Best

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“Going on up to the spirit in the sky, it’s where I’m gonna go when I die, when I die when get layed to rest I’m gonna go on the piss with George Best!”

Il coro recentemente ideato per il quinto Beatle viene cantato a squarciagola all’Old Trafford da una gran fetta di tifosi del Manchester United che, probabilmente, non ha mai assistito dal vivo ad una partita di George Best. Un motivetto nato sulle note di “Spirit in the sky”, brano di Norman Greenbaum pubblicato nel 1969, e creato per la figura immortale del compianto fuoriclasse nordirlandese che aleggerà per sempre nel cielo di Manchester. I giovani sostenitori dei Red Devils lo ricordano come ricorderebbero un padre o un nonno e, seguendo la scanzonata e ironica tradizione canora britannica dei cori da stadio, bramerebbero per una bevuta con lui (I’m gonna go on the piss with George Best, modo di dire che significa proprio andare a bere e ubriacarsi con George Best).

“Non sono mai stato in spiaggia, per arrivarci dovevo passare davanti a un bar e mi sono sempre fermato prima di raggiungere l’acqua”

La due anime di Best, quella della rockstar maledetta e del calciatore che ha elargito gol e giocate sopraffine al mondo sportivo, si intersecano fino a quando, una volta appesi gli scarpini al chiodo, George si ritrova solo a combattere contro l’alcolismo. Il lato autolesionista e nichilista di Best ha prevalso sul suo sorriso contagioso, i suoi famigerati aforismi bukowskiani e una vita condotta sempre senza freni, forse, hanno offuscato la grandezza di George Best calciatore. Oppure, più semplicemente, la grandezza di Best è una cosa sola. Prende forma sia con la grande prova in finale di Coppa Campioni che con l’ennesima uscita spaccona sulle sue conquiste sentimentali, e diventerebbe un esercizio pleonastico cercare di immaginare un George Best atleta modello dentro e fuori dal campo.

“Se fossi nato brutto non avreste mai sentito parlare di Pelé”

George Best nasce a Belfast il 22 maggio del 1946 da famiglia protestante. I suoi primi anni li trascorre a Cregagh Estate, uno dei quartieri più poveri della città. A 15 anni, dopo un provino in cui fu scartato dal Glentoran perché ritenuto di corporatura troppo esile, viene prelevato dal Manchester United. Il tecnico Matt Busby ci mette poco a capire di avere a che fare con un piccolo fenomeno e nella stagione 1963/64 Best trascina i Red Devils alla conquista del titolo segnando 14 reti in 59 presenze.

“Sono nato con un grande dono, e con esso arriva anche una vena distruttiva”

Il nome di Best diventa ben presto familiare anche in Europa, grazie alla doppietta al Benfica nei quarti di Coppa dei Campioni all’età di 19 anni. Nel 1967 arriva un altro titolo per lo United e Best segna 10 reti in 45 presenze, ma è la stagione successiva il capitolo più importante della sua storia, quando in finale di Coppa Campioni lo United batte il Benfica 4-1 (e il nordirlandese timbra il cartellino con un gol). A fine stagione il 22enne George Best viene nominato miglior giocatore d’Europa e vince il Pallone d’Oro.

“Ho speso gran parte dei miei soldi per donne, alcol e automobili. Il resto l’ho sperperato”

Da quel momento la vita calcistica di Best sarà più avara di soddisfazioni. Il Manchester United imbocca la strada di un lento declino e inanella una serie di delusioni iniziate con la sconfitta in Coppa Intercontinentale, contro l’Estudiantes. In campo Best comincia a lasciarsi andare più volte a comportamenti reprensibili e viene sanzionato in molte occasioni, fuori dal campo cominciano le sue scappatelle con bellissime donne, come con Carolyn Moore, Miss Gran Bretagna. Nonostante le numerose e variegate parentesi con il gentil sesso, nonostante una squadra che sembra un lontano ricordo del collettivo Campione d’Europa, Best continua a segnare e in quella stagione fa centro in 23 occasioni. Sono gli ultimi sussulti con la maglia dei Red Devils, perché Best entra in conflitto con il club negli anni successivi. Nel gennaio del 1974 lo United lo licenzia per non essersi presentato ad un allenamento.

“Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcol. Sono stati i venti minuti peggiori della mia vita…”

A 28 anni, nel fior fiore della carriera, Best decide praticamente di smettere di essere un calciatore professionista. Gioca sporadicamente prima nel campionato sudafricano, poi nello Stockport County (quarta serie inglese), quindi nel Cork City, in Irlanda. Nella stagione 1976/77 indossa la maglia del Fulham, ma il Best dal dribbling micidiale e dalla sagacia calcistica rimane solo un ricordo. Tra l’ennesima bevuta e una conquista a letto, emigra negli Stati Uniti, poi rientra temporaneamente nel Regno Unito, all’Hibernian, ma le ultime pagine sportive di Best sono un trascurabile contorno di una vita al massimo.

“Maradona good, Pelè better, George… Best”
(anonimo)

A causa soprattutto della inadeguatezza tecnica della nazionale nordirlandese non riuscirà mai a partecipare ad un Mondiale di Calcio e abbastanza magro è anche il bottino personale con la maglia verde: 9 gol in 37 presenze. George Best è un nordirlandese protestante che sogna un’Irlanda pacificata, unita e finalmente libera da conflitti politici-religiosi. In un’intervista alla BBC del marzo 2005 lancia l’idea di unire le due compagini irlandesi in un’unica Nazionale.

“Tutti dicono che ho dormito con sette Miss Mondo. Peccato deluderli: sono state solo tre”

Il viaggio di Best, senza più un pallone da calciare e delle telecamere in cui specchiarsi icasticamente, prende inevitabilmente una brutta piega. Dopo alcune comparsate nella televisione inglese come commentatore tecnico, la bottiglia e il bicchiere diventano suoi inseparabili compagni di vita. Ma ad un prezzo altissimo. La dipendenza dall’alcol è, purtroppo, caratteristica comune in famiglia Best: la madre morì nel 1978, quando George era ancora in attività, a causa di una malattia cardiovascolare dovuta proprio all’alcolismo.

“Avrei potuto entrare nella Alcolisti Anonimi. Il problema è che io non posso restare anonimo”

Nel 2002, all’età di 56 anni, Best viene sottoposto ad un trapianto di fegato poiché l’alcol aveva ridotto le funzioni dell’organo vitale al 20%. Nell’ottobre del 2005 la corsa in ospedale e la successiva diagnosi non promettono nulla di buono. Il calvario dura parecchi giorni e George Best in quel periodo attraversa una sorta di fase di redenzione, sa di sentirsi in colpa con qualcuno o qualcosa, vuole fare definitivamente i conti con tutto il suo ingombrante passato. I flashback nella sua mente, durante la sofferta degenza, si moltiplicano, la morte diventa una catarsi per liberarsi dei fantasmi del passato che lo perseguitano.

“Muoveva la testa da sinistra a destra rapidamente, come se fosse in preda al panico. Era terrorizzato. Quando sono entrato nella sua stanza mi ha guardato e mi ha detto con voce disperata: ‘Mi devi aiutare. Stanno facendo una cazzo di festa qui’. Gli ho chiesto: ‘Cosa vuoi dire, papà?’. E lui: ‘Li ho sentiti l’altra notte, laggiù. Bevevano, e c’erano ragazze, e facevano una festa’. Se avessi saputo che quelle erano le ultime parole che mio padre mi avrebbe rivolto non avrei riso”

E’ la testimonianza di Colum, il figlio di George Best. I ricordi di una gioventù trascorsa tra donne e alcol diventano incubi. Best, ormai morente, chiede a Phil Hughes, suo agente e amico, di fotografare il suo volto emaciato, ingiallito, tumefatto e di mandare le foto ai giornali: “non morite come me”; è il monito ai giovani di un ex campione, di un uomo che ha ingoiato il successo come se fosse una bottiglia di birra.

(di Antonio D’Avanzo)

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