Heidegger nazionalsocialismo

Heidegger e il controverso rapporto con il nazionalsocialismo

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Il discorso di rettorato del 27 maggio 1933 con il quale Martin Heidegger (1889-1976) assume la carica di rettore della Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo e inizia la sua breve e controversa collaborazione col nazionalsocialismo, si conclude con queste parole: «Tutto ciò che è grande sta nella tempesta».

Lo stesso rapporto con il partito finirà durerà solo un anno, con le dimissioni dall’incarico per insanabili diversità di vedute con il regime nazionalsocialista e soprattutto con il principale teorico della razza, il filosofo Alfred Rosenberg (1893-1946), autore del celebre Il mito del XX secolo.

Heidegger e il nazionalsocialismo: non fu razzismo

Va notato che l’adesione del grande filosofo tedesco al Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (NSDAP) non fu dovuta, secondo alcune interpretazioni, ad una concezione razzista o antisemita che costituiva il nerbo della dottrina nazionalsocialista, se si tralascia un’unica lettera del 1929 nella quale l’autore di Essere e tempo si esprime contro la giudaizzazione della vita spirituale tedesca, ma è da ascrivere al fatto che il nazionalsocialismo rappresentò per Heidegger la sola alternativa al bolscevismo che minacciava da Oriente il futuro spirituale dell’Europa.

L’impegno politico del pensatore di Meẞkirch, è testimoniato da poco più di una dozzina di articoli e allocuzioni in cui uno dei temi principali è quello del servizio del lavoro per gli studenti tedeschi, nel quale è teorizzato che il lavoro, soprattutto nella sua componente manuale, è da ritenersi comunque un fatto spirituale e gli per gli studenti universitari tale servizio è da considerarsi complementare al proprio corso di studi.

Heidegger afferma che lo Stato della rivoluzione nazionalsocialista costituisce lo Stato del Lavoro, in cui la figura dell’operaio e del contadino sarà da baluardo al diffondersi pervasivamente della tecnica che il “progresso” sta portando in tutti gli aspetti della vita dell’essere umano.

In questo concetto Heidegger si affianca a un altro grande scrittore e pensatore tedesco, Ernst Jünger (1895-1998), il quale nella sua fondamentale opera L’operaio. Dominio e forma3 metterà in luce la trasformazione della nostra epoca in una civiltà meccanicizzata, ipertecnologica e disumanizzata. Però, considerando questo punto di vista, Heidegger non può essere compreso nel movimento della Rivoluzione conservatrice di cui Jünger fece parte; lo si può ritenere invece il fondatore della corrente filosofica dell’esistenzialismo, anche se egli sempre rifiuterà questa definizione.

Il suo scritto politico principale e discorso di insediamento al rettorato dell’Università di Friburgo, L’autoaffermazione dell’Università tedesca, contenuto nel volume Scritti politici (1933-1966)4, consiste in una riflessione sul ruolo e sull’essenza dell’università nella nuova Germania del 1933 che dovrà essere guida spirituale e insieme fucina della Rivoluzione tedesca in cui il filosofo vede «la magnificenza e la grandezza».

Egli propone, oltre al “servizio al lavoro”, il “servizio alle armi” e il “servizio al sapere” e, in senso più ampio, un programma culturale e politico radicato nell’ancestrale tripartizione indoeuropea.

Come rileva Adriano Scianca nel suo corollario al libro di Giorgio Locchi Sul senso della storia, in un “Appello agli studenti” del 3 novembre 1933 Heidegger scrive: «Studenti tedeschi! La rivoluzione nazionalsocialista porta a compiuto rovesciamento della nostra esistenza di Tedeschi». Dopo la guerra dirà: «Io vidi allora nel movimento giunto al potere la possibilità di una più intima unità e di un profondo rinnovamento del popolo dell’Occidente» e nel 1947 scriverà a Herbert Marcuse di aver visto nel nazionalsocialismo «una via d’uscita del Dasein occidentale dal pericolo del comunismo».

Tuttavia, Erich Rudolf Ferdinand Jaensch (1883-1940) psicologo e filosofo, collega negli anni Venti di Heidegger ai tempi di Marburgo lo definisce un «pericoloso schizofrenico», sostenitore di un pensiero ebraico «avvocatesco e talmudico» per il fatto che i suoi corsi erano seguiti da numerosi studenti ebrei.
Nel 1934 Heidegger viene incaricato dell’attuazione di un progetto ambizioso: la direzione del costituendo Nationalsozialistischer Deutscher Dozentenbund (Lega dei docenti nazionalsocialisti). Anche in quell’occasione Jaensch lo accusa di «ciance schizofreniche» e «banalità con le sembianze di cose significative».

Il filosofo nazionalsocialista Ernst Krieck (1882-1947), già nominato rettore della Johann Wolfgang Goethe-Universität di Francoforte, il quale ambiva alla medesima posizione nel Partito in un articolo uscito sulla prestigiosa rivista di pedagogia da lui curata, Volk im Werden, così lo attaccò:
«Il tono fondamentale della visione del mondo sottesa alla lezione di Heidegger si caratterizza con i concetti di cura e di angoscia, i quali si riferiscono entrambi al nulla. La cifra di questa filosofia è un aperto ateismo e un nichilismo metafisico, equivalente a quello sostenuto in modo particolare da vari autori ebrei: essa è perciò un motivo di disgregazione e fiaccamento del popolo tedesco. In Essere e tempo Heidegger filosofeggia esplicitamente e volutamente a proposito della “quotidianità”; ma non vi è neanche un accenno in merito al popolo e allo Stato, alla razza, e al blocco valoriale della nostra immagine nazionalsocialista del mondo.»

Il 23 aprile 1934 Martin Heidegger rassegna le dimissioni dalla carica di rettore dall’Università di Friburgo.
Con la fine del rettorato, il filosofo matura una seconda posizione nei confronti del regime: esiste un nazionalsocialismo “volgare” dominante, e uno “spirituale” che sostanzialmente egli stesso rappresenta.

Nel secondo dopoguerra questi scritti saranno rimproverati ad Heidegger e per lungo tempo il suo nome sarà visto con sospetto, come lo fu durante il Terzo Reich dopo che egli maturò il suo distacco dal nazionalsocialismo ad un anno dall’adesione; ma resta il fatto che quello fu l’unico impegno politico del pensatore:  non lo rinnegò mai, pur considerandolo un capitolo della sua attività chiuso da decenni.

Come è noto Adolf Hitler giurò come Cancelliere della Germania il 30 gennaio 1933 e Heidegger il 1° maggio 1933 prese la tessera della NSDAP con numero di matricola 312589. Resterà iscritto al Partito fino al 1945. Questo fatto rappresenta quindi un altro esempio di impegno e “militanza” che ha accomunato molti grandi spiriti del Novecento sotto il segno dell’anticonformismo intellettuale.

In una famosa intervista concessa al filosofo Rudolf Augstein della rivista Der Spiegel, avvenuta il 23 settembre 1966 e pubblicata dieci anni dopo, cioè nel 1976 anno della sua morte, con il titolo «Ormai solo un dio ci può salvare» e inserita nel libro omonimo6, Martin Heidegger affermava:
«Due giorni dopo il mio insediamento, il capo degli studenti nazionalsocialisti venne in rettorato con due compagni pretendendo nuovamente che venisse affisso il “manifesto sugli ebrei”. Rifiutai. I tre studenti se ne andarono, sottolineando che il mio divieto sarebbe stato comunicato alla direzione nazionale degli studenti nazionalsocialisti.

Qualche giorno dopo fui chiamato al telefono direttamente dal capogruppo delle SA, il dottor Baumann, dell’ufficio incaricato dell’istruzione superiore (che faceva parte della direzione centrale delle SA stesse). Baumann pretendeva che venisse affisso il suddetto manifesto come era già stato fatto in altre Università. In caso di rifiuto, avrei rischiato la deposizione se non addirittura la chiusura dell’Ateneo. Rifiutai e cercai di fare in modo che il ministro della cultura del Baden appoggiasse il mio divieto. Questi rispose che non poteva fare nulla contro le SA. Ciò nonostante, non ritirai il mio divieto» […].

Una domanda che Augstein gli rivolse fu:

[…] Dopo circa un anno, Lei rinunciò alla carica che aveva assunto. Ma in un Corso del 1935, pubblicato nel 1953, intitolato Einführung in die Metaphysik (Introduzione alla metafisica7), Lei ha detto:«Ciò che oggi – si era nel 1935 – viene spacciato per filosofia del nazionalsocialismo, ma che non ha minimamente da fare con l’intima verità e con la grandezza di questo movimento (e cioè con l’incontro della tecnica planetaria con l’uomo moderno), tutto ciò pesca nelle acque torbide dei “valori” e delle “totalità”».

Le parole tra parentesi sono state aggiunte solo nel 1953, in occasione della stampa – quasi per spiegare al lettore del 1953 in che cosa Lei vedesse, nel 1935, l «intima verità e la grandezza di questo movimento», vale a dire il nazionalsocialismo – o invece queste parentesi esplicative c’erano già nel 1935?».

Così rispose Heidegger: «Erano anche nel mio manoscritto; esse corrispondevano esattamente alla concezione della tecnica che avevo, e non alla più tarda interpretazione dell’essenza della tecnica in quanto Ge-stell. Non lessi a lezione questo passo perché ero convinto che i miei ascoltatori mi intendessero; poco mi importava che gli sciocchi, le spie e gli spioni la intendessero in un’altra maniera».

Nell’intervista Heidegger si difese allora strenuamente, puntualizzando, presentando documenti e testimonianze, contestando sia dicerie popolari sia processi ideologici, appellandosi al diritto-dovere del filosofo di travalicare la contingenza della cronaca per approdare a una verità equidistante da qualunque moderna o antica ideologia e religione di massa (comunismo, nazionalsocialismo, cristianesimo), nel compito di riconquistare la forma suprema dello spirito.

Tuttavia, con la più recente pubblicazione dei Quaderni neri, una sorta di “diario filosofico”, le cui riflessioni sono state scritte sotto forma aforismatica tra il 1930 e il 1970, la polemica storica e filosofica sul pensatore è tornata alla ribalta del dibattito accademico, dagli studiosi del suo pensiero e dai semplici appassionati della sua opera.

Le sue parole fanno e faranno discutere, basti citare queste frasi: «Non abbiamo bisogno di ‘ideali’ né democratici né fascisti; non abbiamo affatto bisogno di alcun ideale politico, meno che mai però ci servono l’influenza morale e l’educazione politica di altri».«Gli antifascisti sono gli infiniti schiavi del grande fascismo in arrivo. Quello che in America e in Russia si chiama democrazia». «Io non sono un democratico, e unicamente per la ragione che non posso esserlo» avrebbe potuto scrivere di sé ricalcando quanto scrisse del suo non-cristianesimo: «Io non sono un cristiano, e unicamente per la ragione che non posso esserlo».

In un passaggio scritto dopo la guerra, Heidegger parla della «nostra mancanza di volontà contro l’inselvatichimento del nazionalsocialismo». Il pensatore di Meẞkirch si era espresso anche in merito all’ebraismo come fautore della tecnica e ostacolo al dispiegamento dell’Essere.

In una lettera che il filosofo spedisce a Elfride, la donna che poi sarà sua moglie, il 18 ottobre 1916, scrive: «La giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università e in effetti spaventosa, e ritengo che la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti energie per emergere». E’ indiscutibile per Heidegger che l’ebraismo partecipa dell’essenza di un meccanismo sradicante e nichilista. Nei Quaderni neri, accanto ai sovra esposti passaggi contro l’ebraismo (14 riferimenti espliciti negli ultimi due volumi), se ne trovano altri che hanno dato meno scandalo perché rivolti contro il cristianesimo, dei quali uno è riferito più sopra.

Donatella Di Cesare, docente di Filosofia Teoretica all’Università La Sapienza di Roma, con il suo saggio Heidegger e gli ebrei. I Quaderni neri prende lo spunto dalla loro pubblicazione per porre una serie di domande: perché Martin Heidegger ascrive agli ebrei l’oblio dell’Essere? Qual è allora il rapporto tra l’Essere e l’Ebreo?

In che senso viene imputata agli ebrei la colpa più grave, da cui dipende il destino dell’Occidente? E perché questa accusa viene mossa negli anni Trenta dopo le Leggi di Norimberga, promulgate dal Reichstag il 15 settembre 1935, mentre dopo qualche anno inizierà la guerra mondiale che avrebbe dovuto condurre la Germania nazionalsocialista al dominio del pianeta? I Quaderni neri di Heidegger oltre a dischiudere un’inedita prospettiva sul pensiero del filosofo, hanno suscitato un nuovo, intenso dibattito.

L’antisemitismo metafisico solleva inquietanti interrogativi e rinvia alla responsabilità della filosofia nello sterminio. A un anno dalla prima edizione di questo libro, già più volte ristampato, Donatella Di Cesare prende in considerazione gli ultimi Quaderni neri, che giungono fino al 1948, interpretando i passi e gli aforismi sulla Shoah e sull’immediato dopoguerra. Secondo Di Cesare, ci sarebbero anche dei riferimenti criptati all’ebraismo quando Heidegger usa termini quali: “desertificazione, derazzificazione, sradicamento, favoreggiamento, essenza gregaria, comunizzazione, abilità di calcolo, circoncisione del sapere, comunità degli eletti, sciagura”. Per Heidegger l’ebraismo partecipa dell’essenza del meccanismo sradicante e nichilista.

Quanto al comunismo, scrisse in Contributi alla filosofia: «Il bolscevismo è originariamente occidentale, una possibilità europea […]. Nella misura in cui, però, il dominio della ragione che mette tutti sullo stesso piano è una conseguenza del cristianesimo, il quale in fondo è di origine ebraica (cfr. il pensiero nietzscheano sulla morale come insurrezione degli schiavi) il bolscevismo è di fatto ebraico; ma allora anche il cristianesimo è, nel fondo, bolscevico! E quali decisioni si rendono necessarie in questa prospettiva?».

Heidegger e il razzismo

Tutto ciò ci porta a chiederci se sia esistita o meno una dottrina razziale nel pensiero di Heidegger. Il termine “razza” entra a far parte del vocabolario heideggeriano solo dopo il 1933. Nel corso universitario dell’estate 1934, Logica come domanda circa l’essenza del linguaggio, i riferimenti ai temi razziali si intensificano. Heidegger dice che razza non è solo il principio razziale cioè sanguigno. Quindi la teoria völkisch del Blut und Boden non viene negata ma integrata in una concezione più ampia. Secondo Emmanuel Faye per il filosofo tedesco «razzismo e biologismo non sono identici e che esiste un razzismo non esclusivamente biologico. Insomma, non perché Heidegger discute il biologismo che egli non è razzista».

Il pensiero corre subito a Julius Evola e fino al 2015 non si avevano notizie della conoscenza del pensatore tradizionalista da parte del filosofo tedesco. La rivelazione venne fatta da Thomas Vasek, caporedattore della rivista di filosofia Hohe Lufte, in un articolo dal titolo “Un programma di sovvertimento spirituale” e apparso sul supplemento culturale della Frankfurter Allgemeine Zeitungdel 30 dicembre 2015. In Italia è stata la Repubblica a darne conto tramite Angelo Bolaffi. La frase di Evola appuntata da Heidegger è una citazione di Rivolta contro il mondo moderno11, nell’edizione tedesca del 1935 tradotta da Gottfried Benn.

Un lavoro più recente ancora è quello di Matteo Simonetti, I Quaderni neri di Heidegger. Una lettura politica dove la pubblicazione, a circa ottant’anni dalla loro stesura, dei Schwarze Hefte del filosofo del Baden Württemberg ha creato un caso mondiale. Tra polemiche, discese in campo, condanne assolute, distinguo, reazioni isteriche, la critica storico-filosofica ha fatto irruzione fin nelle pagine dei quotidiani, producendo inoltre saggi, dibattiti, conferenze a non finire.

Tra dimissioni illustri e condanne reciproche, la questione del rapporto di Martin Heidegger con il nazionalsocialismo e l’ebraismo non ha mai smesso di destare scalpore. Si va dalla condanna e dalla “mostrificazione” dell’ormai compromesso pensatore, alla minimizzazione o negazione, addirittura, del suo coinvolgimento. In questa lettura approfondita non solo dei Quaderni, ma anche delle più note interpretazioni degli stessi, l’autore accompagna il lettore nella ricerca di una risposta ad alcune domande fondamentali: Heidegger fu nazionalsocialista? Fu antisemita? Se sì, in che modo, in che senso, in quale misura e, soprattutto, perché́?

(di Franco Brogioli)

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