Guido De Giorgio

Guido De Giorgio, un personaggio da scoprire

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«Il suo nome non è conosciuto che da pochissimi amici, e probabilmente, come cose scritte e stampate, di lui non resteranno che tracce insignificanti». Così Julius Evola si esprimeva a riguardo di Guido De Giorgio non sapendo che, alcuni decenni dopo la morte del barone romano, l’opera del pensatore beneventano sarebbe stata pubblicata e il filosofo noto più che altro per La Tradizione Romana, avrebbe conosciuto una rinascita.

Di recente pubblicazione infatti sono: Dio e il Poeta, dove il singolare esoterista e filosofo riversa l’esperienza mistica derivata dalla sua pratica ascetica, Tradizione e realizzazione spirituali3, una raccolta di manoscritti inediti in cui l’espressione personale di De Giorgio parla direttamente ai cuori piuttosto che alle menti.

Guido De Giorgio, un personaggio da scoprire

Guido De Giorgio e la Tradizione

La conoscenza dei principi della Tradizione che è alla base dei suoi scritti non potrà mai condurre al pericolo di un’interpretazione deviata della dottrina tradizionale: egli ha il «fianco coperto» e il suo insegnamento –condensato in numerosi scritti alcuni editi e altri inediti che la casa editrice ha di recente ricevuto il testimone di darne ricostruzione e diffusione –è faro e indirizzo per chi voglia intraprendere un cammino di realizzazione spirituale. Con questa pubblicazione vengono alla luce alcuni manoscritti inediti che, per omogeneità di argomenti trattati, sono stati uniti ai suoi scritti apparsi sulle riviste Ur e La Torre, a cui – per le motivazioni che si potranno leggere nella nota bibliografica e nell’Avvertenza – sono stati aggiunti i due articoli apparsi su Diorama Filosofico così come riadattati da Evola per la raccolta Introduzione alla magia.

In Studi su Dante. Scritti inediti sulla Divina Commedia, dai quali riemerge l’idea – già espressa ne La Tradizione Romana – per la quale Dante è «poeta di Dio» e la Commedia rappresenta un «poema sacro» che conduce a Dio; Virgilio è «profeta di Cristo» e l’Eneide «poema mistico» che prepara a Dio.

Per De Giorgio, dunque, nella Commedia vi è tutta la romanità tradizionale, dove le due tradizioni unificate culminano in una sola ed unica Roma, «non più antica e nuova, ma eterna». Di particolare interesse sono: Aforismi e poesie5 e Ciò che mormora il vento del Gargano…6 in questo racconto, autobiografico, De Giorgio ci narra, con voce intima e sommessa, del suo sofferto girovagare, condotto in compagnia di alcuni suoi amici, nel dopoguerra, dal Piemonte verso la Puglia, prima a piedi, poi in treno e quindi di nuovo a piedi, alla volta di San Giovanni Rotondo nel Gargano, per incontrare, in un anelito adorante, Padre Pio. Ogni momento è descritto in un crescendo mistico verso il momento supremo: l’accoglimento del corpo e del sangue del Cristo dalle mani piagate dalle stimmate del Santo di Pietralcina. L’Eucarestia: cosa altro deve desiderare colui che crede? Eppure, quando forse null’altro è da attendersi da questo pellegrinaggio, ecco che inaspettamente nella tersa e gelida ultima notte a Pietralcina il Vento del Gargano rivela a De Giorgio il suo più intimo, recondito e terribile segreto: la chiave di volta per andare incontro all’ultimo dei viaggi, il supremo cammino che ciascuno di noi dovrà infine affrontare.

Da segnalare anche il volume, pubblicato solo in francese, L’ instant et l’eternité et autres textes sur la tradition. La fonction de l’école. Extraits du Journal de Havis De Giorgio.

 

De Giorgio e l’istruzione

 

Nel Il problema della scuola, pubblicato per la prima volta nel 1955, De Giorgio sintetizza, dal punto di vista tradizionale, i problemi che attanagliano l’istruzione nell’età contemporanea. Le riflessioni qui contenute sono frutto della decennale esperienza di docenza svolta dall’Autore fra Tunisi e Mondovì.

L’interesse mostrato da De Giorgio per la scuola e la didattica, che si palesa anche attraverso i due manoscritti inediti che qui vengono presentati (La scuola elementaree La scuola è vita), è inoltre espressione della conoscenza dei principi di ordine tradizionale di cui era in possesso l’Autore. Come si avrà modo di intendere dalla lettura di queste pagine –grazie anche al saggio introduttivo di Gianluca Marletta – la prospettiva tradizionale dell’insegnamento, dell’educazione e della pedagogia si arricchisce, da oggi, di un auspicato contributo.

Non ancora disponibile il libro La Repubblica dei cialtroni, violento pamphlet, dal titolo provocatorio, contro il regime democratico sorto dopo la liberazione scritto dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Guido Lupo Maria De Giorgio è nato il 3 ottobre 1890 a San Lupo nella provincia di Benevento. Figlio di un notaio, ha studiato filosofia a Napoli dove si è diplomato a 20 anni presentando una tesi su un soggetto orientalista. Successivamente emigra in Tunisia dove lavora come professore di liceo e nello stesso periodo ha dei contatti con rappresentanti dell’esoterismo islamico, incontri che lasceranno in lui una impronta incancellabile.

Nel 1915 De Giorgio rientra in Italia stabilendosi a Varazze sulla Riviera. Dopo la Prima guerra mondiale soggiorna per qualche tempo a Parigi dove conosce René Guènon col quale instaura un duraturo rapporto di amicizia e di collaborazione (scrisse infatti su Le voile d’Isis e L’initiation) fondato su un’ampia e profonda intesa. Ritornato in Italia, De Giorgio fa la conoscenza di Julius Evola, probabilmente per mezzo dell’intermediazione di Arturo Reghini e/o Guénon stesso, che lo definì come «una specie di iniziato allo stato selvaggio». Collabora dapprima con Ur (1928) e successivamente alla più effimera rivista La Torre (1930), dove teorizza un «Fascismo Sacro e Guerriero» e Diorama filosofico (1939-1942), con lo pseudonimo di “Havismat” fondata da Evola, dove fu a dire di quest’ultimo, «uno degli ispiratori»e «l’animatore invisibile».

L’opera più conosciuta, come detto, è La Tradizione Romana, il cui titolo originale, L’emblema fulgurale della potenza. Introduzione alla dottrina del Sacro Fascismo Romano, che si ipotizza fu offerta in forma di dattiloscritto a Benito Mussolini nel Natale del 1939 durante un lungo colloquio che si tenne a Palazzo Venezia, in occasione della risoluzione della questione collegata alla morte del figlio Havis avvenuta nel marzo di quello stesso anno in Etiopia.
Il libro rappresenta l’opera più organica e di ampio respiro, che però rimase dispersa e sconosciuta – forse in un’unica copia dattiloscritta – sino agli inizi degli anni Settanta – quando venne stampata per la prima volta9 in un’edizione a tiratura limitata.

Il saggio costiuisce, in sintesi, un’accusa all’Europa contemporanea di essere divenuta scientista e di soffocare la ricerca spirituale dell’uomo. La soluzione, secondo De Giorgio, sta nel tornare ad un’autentica concezione dell’autorità spirituale e di quella temporale.

Tuttavia il libro è molto di più di quel che il titolo non indichi. Per prima cosa non è un libro di storia, come si intende comunemente; si tratta invece, secondo le parole del suo autore, di «una introduzione alla dottrina della Tradizione Romana», vale a dire della Tradizione universale. Roma, infatti, incarna il luogo fisico e metafisico dell’incontro tra le due maggiori correnti spirituali arcaiche: il paganesimo dell’Occidente e il cristianesimo dell’Oriente.

Nel testo, quindi, dopo una descrizione del «ciclo divino», e la spiegazione dello «spirito sacro della romanità» si presenta nel suo aspetto originale propositivo: l’esposizione delle «linee generali di una società costituita secondo le norme di una Tradizione veramente tale», basata sull’«armonia tra Contemplazione e Azione». Attraverso una rettificazione che vada «dall’interno all’esterno», sarà possibile la restaurazione dello spirito di Roma, riprendendo il pensiero e l’aspirazione dell’ideale di Dante.

Grazie al recupero di «simboli antichi» ciò potrà essere attuabile anche in un mondo dove il Numero e la Scienza Positiva siano apparentemente dominanti. Uno di questi simboli è il Giano bifronte, immagine della Romanità intesa come «principio comune» e potere unificatore di due tradizioni ricondotte alla loro precisa «distinzione».

La società tradizionale, pertanto, ritrova la sua attualizzazione nel fascismo, inteso come momento spirituale di pura luce, giustizia, verità e potenza rappresentata dal fascio littorio su cui si innesta l’ascia bipenne, simbolo della romanità antica e del suo imperium. De Giorgio vede nel regime mussoliniano un’azione riordinatrice nei confronti della decadenza del mondo moderno, da non intendersi unicamente dal punto di vista pratico: politico, sociale ed economico, quindi esteriore, ma anche e soprattutto da quello interiore, dove l’uomo moderno ha perso ogni senso del suo essere sé stesso, creatura di Dio.

La riproposta di questo «libro segreto» del pensiero tradizionale romano, evidentemente complesso, ma dotato di una profonda suggestione, in un momento storico in cui si vanno riscoprendo «valori» di questo tipo, vuole essere un’opera di chiarificazione e rettificazione dottrinali, magari anche costruttiva, come riteneva almeno ottant’anni fa il suo stesso Autore.

Guido De Giorgio, discepolo di Guènon

Il professor Pietro Di Vona (docente di Filosofia alle Università di Pavia, Palermo, Salerno e alla prestigiosa Università Federico II di Napoli) nel suo Evola e Guènon, così definisce lo stile di De Giorgio, che egli considera «il miglior discepolo italiano di Guènon»: «Il tono ispirato, concitato, e quasi farneticante, di certe sue pagine, maschera una comprensione molto profonda del tradizionalismo metafisico contemporaneo. Tra le sue righe balenano, talora, alte ed enigmatiche intuizioni».

Il figlio di De Giorgio, Havis, (1914-1939) è stato un militare italiano, che ottenne due onorificenze al valor militare. Nato in Tunisia, si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Interruppe gli studi al secondo anno per arruolarsi come camicia nera semplice nella 104ª sezione Camicie Nere della 4ª Divisione CC.NN. “3 gennaio”. Tra il 9 novembre 1935 ed il marzo 1936 rimaneva in zona d’operazioni, lasciandola in seguito all’ammissione al corso allievi ufficiali di complemento di Saganèiti.

Ottenuta la nomina a sottotenente di complemento degli alpini il 25 giugno 1936, fu assegnato al battaglione “Saluzzo” dell’11º reggimento.

Quando questa unità fu rimpatriata, fece richiesta con successo di rimanere in Africa e fu aggregato al Regio Corpo Truppe Coloniali, II Battaglione Eritreo “Hidalgo” della 9ª Brigata coloniale. Rimase in servizio con questo reparto per oltre due anni, effettuando numerose azioni di polizia nella regione del Gimma meridionale, nei pressi del Lago Margherita (oggi Lago Abaja) e del Lago Ruspoli (oggi Lago Ciamò).

Fu decorato con la medaglia d’argento al valor militare nel 1937 a Tolà Giobiò e con quella d’oro a Torrente Manta nel 1939, anno della sua morte.
Nel 1941 l’Università di Torino gli ha conferito la Laurea in Lettere “ad Honorem” alla memoria. In suo ricordo è stato inoltre dedicato l’omonimo rifugio alpino (m. 1761) situato nei pressi delle sorgenti del fiume Ellero in una conca sormontata dalla punta omonima e dalle Rocche del Pis (Cuneo), contrafforti della Cima delle Saline.

Guido De Giorgio, dal temperamento scontroso e solitario, è morto per cause naturali il 27 dicembre del 1957 a Mondovì nella desolazione delle montagne piemontesi, dove si era ritirato da anni in una vecchia canonica conducendo una vita ascetica.

(di Franco Brogioli)

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