Lucia Annibali

Lucia Annibali: perché è giusto raccontare tutto, anche degli orrori

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Lucia Annibali e la “censura” di Storie Maledette, una questione che ha suscitato parecchie polemiche nei giorni scorsi, non fosse altro per la tragedia che ha visto coinvolta l’attuale deputata nell’anno 2013.

Annibali contro Leosini

Una sentenza di condanna è la pietra tombale su una vicenda giudiziaria, non sull’esistenza stessa del condannato. Bisognerebbe ricordarlo a coloro che, in questi giorni, si sono scagliati contro Franca Leosini e la sua decisione di trasmettere, in occasione della giornata internazionale contro la violenza nei confronti delle donne, l’intervista realizzata nel carcere di Teramo a Luca Varani, condannato a 20 anni di reclusione poiché ritenuto il mandante dell’aggressione nella quale Lucia Annibali, oggi deputata di Italia Viva, fu sfigurata al volto con dell’acido.

La stessa Lucia Annibali – che, sostenuta dal partito e dal suo leader Matteo Renzi, ne ha caldeggiato ed ottenuto la cancellazione dalla programmazione RAI – ha definito quell’intervista una inopportuna ed irrispettosa spettacolarizzazione della propria vita rivendicando il diritto ad essere lei a raccontare la propria storia attraverso le sue idee, i suoi pensieri, le sue scelte e le sue parole.

Lucia Annibali è una vittima, ma di una storia con due protagonisti

Ferma la solidarietà a Lucia Annibali per la tragedia che l’ha colpita e che ne ha segnato l’esistenza, ciò che sfugge è che quella storia non è solo sua. Per quanto paradossale ed impopolare possa sembrare, quella storia è anche la storia del responsabile di quella tragedia.

È una storia che appartiene, da sponde opposte, a Lucia Annibali ed a Luca Varani, il suo carnefice. Perché due sono le persone coinvolte, anche se, troppo spesso, una viene relegata al rango di bestia.

L’idea che alla sentenza di condanna debba seguire l’oblìo per il condannato risponde alla necessità – sacrosanta – della vittima di rielaborare e superare quanto subìto ma si scontra con il diritto – anche questo sacrosanto – del condannato di raccontare, spiegare e, persino, giustificare le proprie azioni.

Anche quelle orribili.

Perché la sentenza cristallizza una verità processuale dietro cui si cela una verità umana, spesso priva di rilevanza penale, ma non priva di interesse. Comprendere un evento delittuoso, provare a spiegarlo, non equivale a giustificarlo: significa ricercarne l’origine e le cause, svelarne il processo di maturazione e le dinamiche, delinearne tratti e peculiarità ancora sconosciute.

Senza che questo significhi empatizzare con il carnefice.

L’intervista di Franca Leosini a Varani principia con l’espressione “orrore senza remissione”. Ebbene, anche l’orrore senza remissione di un “incongruo sultano” (così viene definito Varani dall’implacabile Leosini) può – deve – essere investigato da entrambe le prospettive. La solidarietà nei confronti della vittima non può spingersi al punto di mettere a tacere il condannato per sempre, tanto più nei casi in cui quest’ultimo continua a protestarsi innocente.

Franca Leosini, con la sua straordinaria conoscenza delle vicende processuali a cui si accosta, ha offerto in questi anni a chi si è macchiato di delitti gravissimi l’opportunità di raccontare la propria storia. La storia del colpevole, senza clemenza, senza intenti giustificatori o revisionistici.

La storia del colpevole, atti alla mano.

Oggi qualcuno sostiene che quella storia non debba essere conosciuta, che il racconto debba essere esclusivo appannaggio della vittima e che quest’ultima debba poterne disporre sino al punto di togliere la parola a chiunque altro ne sia stato protagonista.

La pretesa di cancellare quella parte della storia è inaccettabile e si inserisce nel solco, pericolosissimo, che si traccia allorquando una parte si arroga il diritto di decidere cosa debba essere portato a conoscenza della gente e cosa debba essere accantonato, taciuto, censurato.

Perché la vittima potrebbe dolersene, la gente potrebbe non capire, i giovani potrebbero emulare. “Di questo passo”, rileva Leosini “ragionando così, si dovrà stendere un velo pietoso su qualsiasi fatto di cronaca?”.

Lo stiamo già facendo.

Con inaccettabile paternalismo, chi di dovere è continuamente intento a confezionare una versione ufficiale di qualunque cosa ci accada intorno: una versione intangibile, non suscettibile di critica né, men che meno, di revisione.

Eppure, spesso, è la storia del cattivo di turno che ci disvela il mondo.

(di Dalila di Dio)

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