Carmelo Bene e Guido Almansi, uno spaccato dell’Italia contemporanea

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Come non conoscere il poliedrico e geniale attore salentino Carmelo Bene? E con lui il suo teatro, rivoluzionario nella sua irripetibilità, basato più sulle parole non dette e sulle azioni non compiute piuttosto che su quanto effettivamente recitato sul palco, in breve sul “disdire anziché sul dire”? Certo, non tutti avranno avuto modo di godere della visione del “Pinocchio” o dell’ “Amleto” beniano, o di uno dei cinque film realizzati dall’idruntino tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta , in primis “Nostra Signora dei turchi”; ben più note sono le sue comparsate in tv, come negli “Uno contro tutti” del Maurizio Costanzo Show nel 1994 e 1995 nei quali il nostro, armato della sua proverbiale irriverenza, si è trovato a canzonare la sinistra salottiera in siparietti divenuti “leggendari”.

Da “zoo” a “baccanale”, con tanti epiteti non eleganti è stato definito il pubblico “radical chic” della celebre trasmissione di Canale 5; elemento costitutivo di quest’ultima, dato che gli spettatori avevano la possibilità di interagire con l’ospite famoso di turno, ponendogli domande scomode, trasformandosi, una volta ricevuta una risposta non gradita, in una folla urlante, pronta a inveire e condannare contro il malcapitato personaggio. Bene, entrambe le volte è uscito dallo scontro nettamente vincitore, lui che era abituato a combattere contro la dittatura culturale della sinistra instauratasi dopo il 1968, anno di produzione del già citato “Nostra Signora dei turchi”, che ne boicottava gli spettacoli e li sminuiva sulle rubriche culturali di riviste e quotidiani, proprio per non essersi mai dichiarato comunista, differentemente da un Dario Fo, la cui posizione politica è stato il passepartout per la consacrazione, forse eccessiva, nel pantheon della cultura italiana. Incarnazione della spocchia, della boria, dell’apparente superiorità culturale di questa socialdemocrazia nullificatrice è stato, tra i vari nomi intervenuti dalla platea nelle puntate dedicate allo scontro “Carmelo Bene contro tutti”, il critico letterario Guido Almansi, milanese naturalizzato britannico. Per rendersi conto di come questi sia stato l’antesignano di Roberto Saviano, Erri De Luca e Fabio Fazio nell’adempiere con tenacia al ruolo di difensore dell’élitarismo del marxismo culturale occidentale, tra l’altro filosoficamente e umanisticamente discutibile, basta riprendere su Youtube il frammento del video della trasmissione in cui l’ex recensore della Repubblica punzecchia provocatoriamente Bene, cercando di declinare la discussione in toni gonfi di ampollosità ma privi di sostanza. Almansi si scandalizza per l’incongruità di certe espressioni usate dall’interlocutore nel rispondere ad altre domande: “Kafka pornomane”, “Voglia delle voglie”, “Privato del privato”. Una simile reazione è la dimostrazione di come il critico non abbia capito lo spirito costitutivo della natura stessa dell’attore, che ha fatto della propria vita e della propria arte un’arma per catapultarsi al di là dei vincoli limitanti della logica; in fondo è questo il sunto della filosofia beniana: disintegrare, a mo’ di martello nietzschiano, ogni sorta di preconcetto che ci viene imposto dalla realtà in cui siamo immersi, attraverso forme d’arte incomunicabili. Detto ciò, chi rimprovera a Bene di essere carente di logicità, semplicemente non l’ha capito; non è infatti un caso che alle esternazioni dell’autore de “L’estetica dell’osceno”, Carmelo abbia risposto con altrettante illogicità, condite da parolacce ed espressioni colorite, celebre ad esempio quel “Almansi non sai vivere senza di me!”, al quale non seguì alcuna replica.

Riflettendo meglio sulle scaramucce tra i due, però, ecco come un semplice siparietto televisivo si trasforma in analisi sociologica dell’Italia contemporanea. Almansi, come già ricordato, rappresenta una realtà culturale oziosa, élitaria, forse anche parassita, prototipo dell’intellettuale medio novecentesco che si barrica tutta una vita nella propria casa, con le pareti tappezzate di libri riletti centinaia di volte come se questi lo difendessero, usando le parole del comico Natalino Balasso, “dalle domande impreviste rivoltegli dalla vita”. A chi vuole saperne di più della tristezza di questi individui consigliamo la lettura del romanzo “Auto da fé” del Premio Nobel Elias Canetti, che tratta proprio della frustrazione di una “testa senza mondo”. Ovviamente, chiudendosi su sé stesso, l’Almansi-sinistra non è in grado di capire ciò che non soddisfa i propri criteri di giudizio, etichettando il tutto come “sbagliato”; così il teatro di Bene diventa incongruo e gli abbandonati dall’establishment diventano ignoranti e xenofobi se votano Trump o Brexit. Da parte sua il salentino si presenta come schernitore della morale intellettualoide “semi-colta”, universitaria e nozionistica dunque, forse indirettamente, portavoce del popolo. E la cosa ricorda, in questi giorni di commozione nazionale, il grido liberatorio di Fantozzi contro il cinema d’essai e “La corazzata Potemkin”. Ma Bene va oltre la “cagata pazzesca” di Villaggio, in quanto ancora oggi quella scena fantozziana è oggetto di numerose interpretazioni: il personaggio avrà voluto criticare l’imposizione della cultura amata dal capo o la cultura in quanto tale, perché pallosa e complessa ?

Il teatro beniano è una sorta di risposta all’equivoco; prendersi gioco delle élite è una protesta piena di romanticismo contro la soverchieria e non dettata da ignoranza, come dimostra il fatto che dietro l’azione non-recitata c’è un mondo di nuovi significanti da scoprire in opposizione ai significati già imballati, imbustati e pronti all’uso, propinateci dagli intellettuali “organici” di gramsciana memoria. E se la “casta culturale” vuole incominciare a capire tutto ciò che non le è comprensibile, deve abbandonare la propria “façon d’être” come, politicamente, per evitare che vincano nuovamente i temuti “populisti” è bene tastare con mano le angosce del popolino che lo hanno fatto virare a “destra”.

(Di Guido Snàporaz)

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