Venerdì presto, l'Iran ha attivato i suoi sistemi di difesa aerea dopo le notizie di esplosioni nella provincia di Isfahan. Secondo i media statali iraniani, tre piccoli droni sono stati abbattuti sulla città di Isfahan.
E anche se nessuno ha ufficialmente rivendicato la responsabilità dell’attacco aereo e il governo iraniano non ha attribuito la colpa, non è difficile azzardare un’ipotesi sulle sue origini, dato il recente lancio da parte dell’Iran di centinaia di droni e missili contro Israele. Ciò, sia chiaro, è avvenuto esclusivamente come rappresaglia per il letale attacco israeliano del 1° aprile al consolato iraniano a Damasco, in Siria.
I media statunitensi hanno riportato la conferma da parte di funzionari statunitensi anonimi che Israele era effettivamente la fonte degli ultimi attacchi. Da parte sua, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani – presidente della riunione del G7 di questa settimana a Capri, in Italia – ha affermato che gli Stati Uniti hanno informato i partner del Gruppo dei Sette di aver ricevuto un avvertimento “dell’ultimo minuto” da Israele riguardo: imminente azione di droni in Iran.
L’azione ha avuto luogo tra onnipresenti richieste globali di “moderazione” per evitare un’ulteriore “escalation” nella regione dopo l’assalto iraniano a Israele, che ha ucciso esattamente zero persone ma ha visto l’Iran gravato da nuove sanzioni statunitensi – qualcosa che ovviamente non accade mai in risposta a comportamento israeliano molto più mortale.
Tanto per cominciare, dal 7 ottobre, l’esercito israeliano ha massacrato più di 34.000 palestinesi nella Striscia di Gaza, tra cui oltre 13.000 bambini. E anche se questa sembrerebbe una “escalation” sufficiente, essa arriva semplicemente sulla scia di quasi 76 anni di pulizia etnica israeliana e di massacri in Palestina.
Tra coloro che ora chiedono “moderazione” nella resa dei conti Israele-Iran c’è il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che forse potrebbe fare questo appello con un’espressione più seria se non fosse l’ultimo capo di stato americano ad armare Israele fino in fondo e quindi a sostenere tutte le modo di atrocità.
Sabato, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti voterà su ulteriori 26,38 miliardi di dollari in “assistenza alla sicurezza” a Israele – un aiuto che lo stesso Biden ha acclamato, scrivendo mercoledì in un articolo di opinione del Wall Street Journal: “Israele è il nostro partner più forte nel Medio Oriente; è impensabile che rimarremmo a guardare se le sue difese venissero indebolite e l’Iran fosse in grado di portare a termine la distruzione che intendeva questo fine settimana”.
Non importa il monopolio di Israele sulla distruzione dell'area, che precede di gran lunga questo fine settimana. Riavvolgiamo l’orologio, ad esempio, fino al 2014, quando l’esercito israeliano uccise 2.251 palestinesi a Gaza, tra cui 551 bambini, nel giro di 50 giorni. Nel corso di 22 giorni, tra dicembre 2008 e gennaio 2009, gli stessi militari hanno ucciso circa 1.400 palestinesi, 300 dei quali bambini.
Naturalmente, tutte queste attività sono avvenute con il pieno sostegno degli Stati Uniti.
In Libano, nel frattempo, gli Stati Uniti hanno facilitato il massacro di circa 1.200 persone da parte di Israele in 34 giorni tra luglio e agosto 2006, lanciando bombe agli israeliani e agitandosi contro un cessate il fuoco.
Come si fa allora, in fin dei conti, a promuovere la “de-escalation” quando si lancia attivamente denaro contro un attore sfrenato? Rispondendo ai recenti appelli globali alla moderazione, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ringraziato il mondo per la sua preoccupazione e ha ribadito che Israele farà quello che gli pare, come se non ne fossimo già consapevoli.
Inoltre, come si può invocare la parola “restrizione” in un contesto di genocidio israeliano a tutto campo a Gaza?
Non che gli stessi Stati Uniti siano mai stati molto, ehm, moderati in Medio Oriente. Mi vengono in mente le astronomiche vittime civili in Iraq e Afghanistan – due luoghi intrisi di sangue in cui l’aggressione statunitense si è presa gioco della designazione statunitense dell’Iran, invece, come principale “stato sponsor del terrorismo”.
Anche nella Repubblica Islamica gli Stati Uniti sono colpevoli di vero e proprio terrorismo – basti ricordare quella volta nel luglio 1988, quando la marina statunitense fece saltare in cielo il volo Iran Air 655, uccidendo tutti i 290 passeggeri a bordo. Poi ci fu la guerra Iran-Iraq degli anni ’80, quando gli Stati Uniti aiutarono l’iracheno Saddam Hussein nei suoi tentativi di gasare gli iraniani con armi chimiche – lo stesso Saddam Hussein, ovviamente, che successivamente sarebbe stato gonfiato al ruolo di superterrorista per giustificare gli sforzi terroristici degli Stati Uniti all’estero.
E la collaborazione americana e israeliana con il Mojahedin-e Khalq (MEK) iraniano in esilio – per anni classificato come gruppo terroristico dagli stessi Stati Uniti – non fa altro che rendere l’intera scena ancora più, beh, escalation.
Ora, il Dipartimento di Stato americano mette in guardia i cittadini dai viaggi in Iran “a causa del rischio di terrorismo” – anche se l'azione dei droni di venerdì suggerisce che questo “terrorismo” potrebbe non essere necessariamente perpetrato dall'Iran.
Dopo tutto, come abbiamo notato, Israele non adotta “moderazione”. E mentre Biden e i suoi compagni di potere continuano a rigurgitare noiose e ipocrite richieste di allentamento dell’escalation in una regione in cui Stati Uniti e Israele non hanno mai mostrato moderazione, potremmo iniziare allentando la retorica ipocrita.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all'autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Oltre La Linea.