Sono passati 11 mesi dalla guerra genocida di Israele a Gaza. Il bilancio ufficiale delle vittime ha superato le 40.000 persone, ma le stime parlano di cifre molto più alte: centinaia di migliaia. La crescente carestia e la mancanza di condizioni igieniche o di acqua pulita e medicine hanno causato morti di massa tra anziani, feriti, neonati e malati cronici.
Gaza è stata trasformata in una trappola mortale tale che anche se i bombardamenti israeliani cessassero domani, quei numeri continuerebbero a crescere per anni. Semplicemente trasportando più cibo non si fermerebbe la morte di massa.
Senza acqua pulita, servizi igienici, sistemi di smaltimento e trattamento delle acque reflue, senza ospedali funzionanti e senza un ambiente decontaminato da agenti patogeni e veleni delle bombe israeliane, le persone continueranno a morire di malattie trasmissibili, patologie croniche e inquinamento.
Israele e i suoi sostenitori hanno sfruttato tali preoccupazioni per promuovere “soluzioni” che prevedono l’espulsione di massa e l’espropriazione della popolazione palestinese a Gaza.
I palestinesi hanno respinto apertamente tali schemi, e giustamente. Tuttavia, esiste un modo per effettuare un’evacuazione temporanea per consentire la pulizia e la ricostruzione di Gaza e la salvaguardia della salute e del benessere della sua popolazione che non comporta il loro trasferimento fuori dalla Palestina storica. Ciò può essere fatto rialloggiando la popolazione di Gaza in aree vicine in quella che ora è Israele, che hanno l’infrastruttura necessaria per sostenere il trasferimento temporaneo di una vasta popolazione.
Mai più esilio: i palestinesi devono restare in Palestina
L’evacuazione, anche temporanea, è un argomento delicato per i palestinesi, proprio perché le condizioni invivibili a Gaza sono state apertamente e deliberatamente create da Israele e dai suoi alleati in Occidente per costringere la popolazione all’esilio.
L’anno scorso, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato di “sfoltire” la popolazione palestinese a Gaza “al minimo”, e il suo ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha parlato di portarla sotto i 200.000 tramite l’emigrazione. “Il nostro problema”, ha detto Netanyahu, “è trovare paesi disposti ad accettarli, e ci stiamo lavorando”.
Ci sono state varie proposte israeliane di esiliare la popolazione palestinese in Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Repubblica Democratica del Congo e Canada, ritenute particolarmente adatte. I ministri del governo israeliano, i loro alleati statunitensi e i media docili hanno tutti apertamente sostenuto tali piani.
L’anno scorso, la Casa Bianca ha chiesto al Congresso finanziamenti per sostenere “gli abitanti di Gaza in fuga nei paesi vicini”, mentre i funzionari statunitensi avrebbero presentato un piano per una tendopoli a El Arish in Egitto.
Il Cairo è stato sottoposto a un’enorme pressione da parte di Israele e dei suoi alleati affinché accettasse i palestinesi nel Sinai, ma finora ha respinto tali piani. Le fazioni palestinesi di tutto lo spettro politico hanno condannato qualsiasi suggerimento di espulsione dei palestinesi dalla loro patria.
Riconoscendo l’ingiustizia dell’espulsione, noi, insieme ad altri palestinesi e antisionisti israeliani, abbiamo chiesto un’evacuazione temporanea e volontaria all’interno della Palestina storica. Invece di esiliare i sopravvissuti palestinesi della guerra in altri paesi, proponiamo che siano ospitati in sistemazioni temporanee in altre parti della Palestina storica che rientrano nei confini israeliani mentre Gaza viene ricostruita.
Esiste già una base legale per un tale trasferimento. Ricordiamoci che circa il 74 percento della popolazione di Gaza è composta da rifugiati e discendenti di rifugiati della Palestina storica e hanno il diritto di tornare.
Nel dicembre 1948, un anno dopo l’inizio della Nakba, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 194, che garantiva il diritto al ritorno per i palestinesi espulsi dalle loro case dalle forze israeliane. Questo diritto è ulteriormente sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata lo stesso mese. I principi Pinheiro, introdotti nel 2005, forniscono indicazioni su come implementare la restituzione di alloggi e proprietà per i rifugiati che tornano.
L’ammissione di Israele come stato membro dell’ONU nel 1949 era subordinata all’attuazione della risoluzione 194, che non è mai stata rispettata. Ora è il momento di correggere questo errore.
Evacuare la Palestina: una soluzione giusta
Anche se trasferire i palestinesi da Gaza in quella che oggi è Israele sarà una sfida, ci sono alcune circostanze che potrebbero facilitarlo.
Innanzitutto, c’è lo spazio. Circa l’88 percento del territorio israeliano è controllato dall’esercito, è dedicato a riserve naturali o è vuoto; l’87 percento degli israeliani vive in meno del 6 percento del paese.
In secondo luogo, ci sono molti siti idonei con strade, acqua, fognature ed infrastrutture elettriche già esistenti che possono essere rapidamente ampliate, come dimostra la ricerca dello studioso palestinese Salman Abu Sitta.
Gli aiuti umanitari e gli alloggi possono essere ridimensionati e distribuiti dall’UNRWA e da altre agenzie di aiuti locali, come la Palestine Red Crescent Society. Saranno pagati da Israele e dai suoi alleati in vista dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale di provvedere alla popolazione che occupa, come ha ribadito la recente sentenza consultiva della Corte internazionale di giustizia.
È importante sottolineare che un alloggio adeguato non significa campi di concentramento nel deserto del Naqab. Durante la ricollocazione e la ricostruzione, la popolazione di Gaza può mantenere l’accesso alle proprie case esistenti a Gaza e ha il diritto di muoversi liberamente.
Una forza internazionale può essere schierata all’interno di Israele per proteggere sia i palestinesi sia gli aiuti inviati loro dagli attacchi israeliani. La creazione di una tale forza per il territorio palestinese occupato è stata già suggerita dalla Relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Palestina Francesca Albanese nel suo rapporto del marzo 2024 e dal Sudafrica lo scorso ottobre. È importante sottolineare che questo non deve significare occupazione da parte di forze di qualsiasi paese.
La ricostruzione di Gaza dovrebbe essere controllata dal popolo palestinese e dalla sua leadership politica. Il popolo di Gaza dovrebbe essere impiegato in qualsiasi costruzione necessaria in Israele e nella ricostruzione estesa e pluriennale di Gaza, come delineato in numerosi rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite.
La questione di chi dovrebbe avere il “controllo” di Gaza durante questo processo è già stata affrontata nella Dichiarazione di Pechino, firmata a luglio da 14 fazioni palestinesi. Si sono impegnate all’unità sotto l’ombrello dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) e alla creazione di un governo di riconciliazione provvisorio per portare avanti la ricostruzione a Gaza e preparare le elezioni.
Il governo israeliano probabilmente resisterà a un simile piano di ricollocazione, motivo per cui l’ONU deve usare tutto il suo potere e i suoi strumenti di applicazione, comprese sanzioni e sospensione dell’appartenenza, per costringerlo ad accettare e adempiere ai suoi obblighi legali. Questo è il minimo che l’ONU possa fare per iniziare a correggere gli errori commessi nel 1947 e dopo.
L’esilio è traumatico, elaborato, costoso e ingiusto. L’evacuazione all’interno della Palestina storica, oltre la recinzione, è semplice, efficiente, percorribile e giusta. Il diritto internazionale ci fornisce tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per salvare vite in Palestina, adempiendo al diritto palestinese al ritorno.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono agli autori e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Oltre La Linea.