Siria: armi chimiche e interventismo. Tutti i dubbi su una versione che non sta in piedi

Alla luce degli avvenimenti che vedono coinvolti Siria e Stati Uniti, è doveroso fare un po’ di chiarezza e di debunking – per quanto possibile – sulla versione ufficiale fornitaci dai media. In questi giorni, il presidente siriano Bashar al-Assad è stato infatti accusato di un presunto, non verificato, attacco ai civili a base di Sarin, un pericoloso gas nervino. L’allarme è stato lanciato in primo luogo dal SOHR (Syrian Observatory for Human Rights) e dai White Helmets. Bene, partiamo col debunking.

Punto primo: le fonti. Chi e cosa sono SOHR e White Helmets? Si possono ritenere fonti affidabili? Com’è noto – e com’è facile appurare consultando anche solo, banalmente, Wikipedia – il SOHR non è un vero “osservatorio” (a differenza di ciò che suggerisce il nome), ma un singolo uomo: Rami Abdel Rahman, un dissidente siriano colpevole di «fornire informazioni atte a portare simpatia per gli estremisti arabi sunniti [ISIS e al-Qaeda], di distorcere i fatti a scopo di propaganda antigovernativa e di non essere in generale credibile». Tutt’altro, dunque, che una fonte su cui fare affidamento se si vogliono lanciare accuse di una tale gravità, specialmente se si considera che Rami Abdel Rahman non opera neppure sul campo – dato che non mette piede in Siria da un decennio – ma dal suo appartamento a Coventry, Inghilterra.

A proposito dei White Helmets, invece, nulla da aggiungere a quanto già scritto: si tratta di «miliziani qaedisti legati a Jabhat al-Nusra aventi lo scopo di fare apparire la stessa, agli occhi dell’Occidente, caritatevole, premurosa e amorevole nei confronti dei civili precedentemente usati come scudi umani tramite appositi filmati di propaganda confezionati dall’Aleppo Media Center». All’interno dell’articolo è possibile trovare anche alcuni filmati a conferma di quanto detto.

Punto secondo: le armi chimiche. Una volta smentita la veridicità delle fonti su cui si basano le accuse mosse ad Assad, è lecito dubitare di tutto ciò che esse hanno fatto passare per vero, innanzitutto l’accusa di aver usato armi chimiche. La stessa accusa gli era già stata rivolta nel 2013 ma, come ha dimostrato Seymour Hersh – premio Pulitzer nel 1970 –, in quell’occasione non fu il presidente siriano a ricorrere al gas, bensì i “ribelli”. Quella volta, l’intervento americano fu fortunatamente evitato e l’anno successivo gli Stati Uniti e la Russia si accordarono con Assad al fine di distruggere l’arsenale chimico siriano, che pure non era stato utilizzato; il tutto sotto la supervisione dell’ONU. La Siria, quindi, non possiede più tali armi da allora – al contrario dei “ribelli”.

Punto terzo: il Sarin. Nonostante si sia appurato che le armi di distruzione di massa siriane siano state smantellate, ipotizziamo che Assad abbia tenuto nascosto il Sarin e lo abbia effettivamente usato sui civili ad Idlib. Verifichiamolo: quali sono gli effetti che esso provoca sull’essere umano? E soprattutto, sono gli stessi che possiamo vedere nel filmato diffuso dai White Helmets? La risposta è no e chiunque può verificarlo attraverso una breve ricerca su Google: il Sarin è infatti un gas asfissiante che comporta la «perdita progressiva del controllo delle funzioni corporee, spesso si verifica vomito e perdita di urina e feci».

Niente di tutto ciò appare nel video, che mostra invece uomini e bambini con difficoltà respiratorie e spasmi. Ma c’è di più: stando a Wikipedia, «l’intossicazione [da Sarin] può avvenire per inalazione e attraverso contatto cutaneo». Ecco emergere un altro dubbio sulla veridicità del filmato: com’è possibile, infatti, che un gas che agisce anche per via cutanea venga affrontato dai White Helmets a mani nude senza subirne i gravissimi effetti? Per avere un esempio di come debba essere affrontato un attacco a base di nervino, si guardino le immagini dell’attentato del 1995 alla metropolitana di Tokyo: salta immediatamente all’occhio il fatto che i soccorritori indossassero sofisticate tute di protezione NBC (Nuclear, Biological, Chemical), le quali non lasciano scoperto neanche il minimo lembo di pelle.

Il Sarin è infatti «letale anche in concentrazioni minime» ed è per questo impossibile intervenire senza neppure indossare dei semplici guanti. Per non parlare delle ridicole pompe d’acqua usate dai White Helmets, del tutto inutili dato che l’unico modo per salvare la vita a chi ha subito un’intossicazione simile è la tempestiva e ripetuta somministrazione di un antidoto specifico. Senza contare che è assai improbabile che ci siano state “solo” una sessantina di vittime, se si fosse realmente trattato di Sarin. In base a questi indizi, si è ipotizzato che il gas responsabile della strage non fosse un nervino (come appunto il Sarin), ma un asfissiante come il cloruro di cianogeno, già usato dai terroristi nel corso della guerra e compatibile con i sintomi mostrati dal filmato.

Punto quarto: cui prodest? A chi avrebbe giovato una strage di civili? A chi stava vincendo la guerra e non avrebbe avuto alcun motivo di inimicarsi il proprio popolo, oltre alla comunità internazionale? Una domanda che si è posto anche Ron Paul: «Qualcuno crede davvero, alla vigilia degli accordi sulla pace e subito dopo che la Casa Bianca aveva affermato che il popolo siriano avrebbe dovuto scegliere il proprio leader, che Assad abbia lanciato un attacco chimico, portando il mondo intero contro di sé?».

Insomma, davvero è stato Assad a beneficiare delle conseguenze di una simile strage? O forse questa ha giovato a chi quella guerra la stava perdendo, ossia organizzazioni terroristiche che certo non si fanno scrupoli morali quando si tratta di uccidere uomini e donne, anziani e bambini, per farne anche scudi umani? L’ipotesi di un attentato false flag è poi avvalorata dal fatto che, dopo lo strike missilistico americano, ISIS e al-Qaeda hanno sferrato a loro volta alcuni attacchi contro l’esercito regolare siriano.

Punto quinto: i precedenti. Le accuse mosse al presidente siriano non sono certo una novità. Già in passato, infatti, gli Stati Uniti avevano accusato altri capi di Stato di essere in possesso di armi di distruzione di massa. Qualcuno ricorda la famosa fialetta agitata da Colin Powell come se fosse la prova schiacciante dell’esistenza delle mai trovate armi chimiche di Saddam Hussein? Qualcuno ricorda le stesse accuse rivolte a Mu’ammar Gheddafi, della cui morte si è presa gioco la cara e pacifica Hillary Clinton, tra un applauso e una risata soddisfatta?

La verità è che nessuno sa cosa sia successo a Idlib. Neppure l’ONU si è espressa in merito. Eppure, gli Stati Uniti non hanno perso l’occasione di lanciare la solita scarica di missili su uno Stato sovrano. L’ennesimo. Per questo motivo, si rende ora necessario prendere le distanze da Donald Trump: il nostro appoggio dei mesi scorsi era dettato infatti non dalla sua persona in quanto tale, ma dalle sue promesse di isolazionismo e non ingerenza negli interessi delle altre nazioni.

Una volta tradite tali aspettative, non ha dunque più senso, per noi, perseverare nell’appoggio al presidente americano: sarebbe come schierarsi dalla parte di Hillary Clinton, che aveva fatto dello slogan «Assad must go» uno dei punti principali del suo programma di politica estera. Ci siamo illusi che l’America potesse cambiare rotta, ma così non è stato. Impareremo dal nostro errore.

(di Camilla Di Paola)