Il becero doppiopesismo delle femministe

Che le femministe di “Non una di meno” e affini siano faziose e spesso in cattiva fede è cosa nota. Tuttavia, chi si sarebbe mai aspettato che, pur di portare avanti le loro cause, si sarebbero spinte fino alla strumentalizzazione di altre donne, per di più vittime di stupro?

È quanto successo la sera del 16 settembre, quando nel capoluogo toscano si è svolta una manifestazione «in solidarietà alle donne stuprate a Firenze e a tutte le vittime di violenza di genere». Si noti infatti su quale episodio è stato posto l’accento. E si noti, di conseguenza, quali fatti sono stati inseriti nel generico gruppo delle «violenze di genere». Non prendiamoci in giro, la differenza di trattamento è palese.

A confermarlo sono la scelta della città di Firenze – a discapito di Rimini e Roma, dove si sono recentemente consumate violenze altrettanto orribili – e l’itinerario del corteo, che si è snodato per le vie che le due americane avrebbero dovuto percorrere per tornare a casa.

Scelte ben meditate, tutt’altro che casuali, come del resto si evince dagli stessi cartelli che hanno condito la manifestazione: «Polizia dappertutto, sicurezza da nessuna parte», «Il sessismo ha la divisa», «Ronde e razzismo non in nostro nome». Insomma, “ACAB” da una parte e “volemose bene” dall’altra. Si decidessero, viene da pensare.

Dobbiamo generalizzare o no? Per quale motivo l’intera categoria delle forze dell’ordine deve messa alla berlina, mentre quella degli immigrati viene, di fatto, totalmente ignorata, in quella che sembra una tacita difesa?

Altro che vicinanza a tutte le vittime: l’associazione “Non una di meno” ha platealmente ignorato proprio le donne, le stesse di cui però pretende di farsi portavoce. Non un cartellone sulla ragazza e sul trans vittime del branco di Rimini. Non una dichiarazione sulla depravata visione che Abid Jee ha delle donne abusate – le quali, secondo lui, dopo un primo momento di spavento, «godono come in un rapporto sessuale normale». Non un coro per sostenere la ragazza violentata a due passi dalla stazione Termini, a Roma. Non una parola sulla senzatetto legata, imbavagliata e seviziata a Villa Borghese. Il motivo è presto detto. Tutte queste donne sono vittime di immigrati.

Che non mi si accusi di razzismo: il colpevole dell’ultimo stupro della lista è bianco e non ho problemi a dirlo. Che siano esponenti delle forze dell’ordine o immigrati, infatti, i predatori sessuali vanno puniti senza distinzioni di sorta. Non intendo scagliarmi contro “l’uomo nero” e in difesa degli “arianissimi poliziotti”: a differenza delle femministe, io non ne faccio una questione di razza. A tal proposito, sarebbe peraltro da notare l’ironia di quanti, pur proclamandosi antirazzisti, sono poi i primi ad assumere atteggiamenti diversi in base al colore della pelle. Ma sorvoliamo.

Vorrei dunque domandare alle care femministe di “Non una di meno” in cosa consiste la loro tanto sbandierata solidarietà alle vittime, dal momento che ne hanno volontariamente ignorate alcune. Era proprio necessario trasformare in una sceneggiata politicamente corretta una protesta sacrosanta, nata per denunciare la bestialità di quanti violano il corpo di donne e ragazze indifese? Ecco, forse dovremmo iniziare tutti a interrogarci sull’ipocrisia di quante si definiscono femministe, salvo poi sfruttare, indirettamente, le donne più vulnerabili e ferite per la propria agenda politica.

(di Camilla di Paola)