Salafismo, Wahhabismo e i rischi per l’Europa

Al di là delle visioni più o meno aperte al dialogo “inter-comunitario” tra diverse razze, etnie, nazionalità, tradizioni religiose e culturali, esiste un problema in Europa legato a Salafismo e Wahhabismo. Queste sono due correnti estreme del Sunnismo, al centro della prima divisione con lo Sciismo. I seguaci della Sunna, cioè della Tradizione profetica, rappresentano oggi la stragrande maggioranza dei musulmani. In sostanza i sunniti sono fautori di Abu Bakr, nominato dal Profeta come suo successore, mentre gli sciiti sostengono ‘Ali, genero del Profeta. Il nome “sciiti” viene infatti da Shi‘at ‘Ali (“Partito di Ali”).

Il Salafismo è, invece, per il ritorno ad un Islam puro, basato sull’unicità di Dio. Esso nasce nella seconda metà del 1800 in Egitto, in relazione alla diffusione della cultura europea e al lato positivo della “Modernità” nel tessuto islamico. Grazie a ciò il Salafismo è sinonimo di “Riformismo, Liberalismo e Modernismo islamico” aperto al pensiero europeo. Il Salafismo originario era quindi un movimento profondamente e sinceramente religioso, favorevole al recupero di un Islam “puro”, ma fautore di una lettura meno intellettualistica del Corano, contrario sia ad una sua interpretazione marcatamente letterale o fondamentalistica, sia ad alcune correnti del Sufismo (o mistica islamica). Il Salafismo moderno invece è per un’interpretazione non eccessivamente letterale della Sharia (legge coranica), in quanto più adeguata alle necessità del presente. In più è anti-occidentale più che anti-europeo e se può sembrare apparentemente tradizionalista, in realtà volge alla modernizzazione dell’Islam.

Il Wahhabismo, fondato da Abdel Wahab (1703-1792), proviene sempre dal filone salafita e si rifà all’Islam dei primordi, non toccato dal tempo e dal cambiare dei costumi. I fedeli del Wahhabismo si ritengono gli unici detentori della dottrina islamica e in quanto tali vogliono essere definiti esclusivamente musulmani e “non” wahhabiti. L’aspetto più pericoloso del Wahhabismo è l’intolleranza verso i musulmani “infedeli”, e contro gli infedeli propriamente detti (come i cristiani e gli ebrei). Il Wahhabismo è marcatamente caratterizzato dal fondamentalismo moralistico ipocrita, di facciata e non sempre effettivo, contro i malesseri sociali e i “vizi” importati dal moderno Salafismo, non ostile alla cultura europea classica (alcolismo, prostituzione, femminismo decadente, ecc).

Fortemente avversi al Wahhabismo, sono gli alawiti, presenti solo in Siria (circa il 10% della popolazione) e in Libano. Nati intorno al X secolo ad Aleppo, derivanti dallo Sciismo Duodecimano, gli alawiti devono il loro nome ad Ali, genero del Profeta. L’Alawismo, su molte cose vicino al Cristianesimo, propone la tolleranza religiosa. Alawita è la famiglia Assad, dagli anni ’70 a guida della Siria. Sugli schieramenti di politica internazionale, è importante vedere anche la configurazione interreligiosa tra il Wahhabismo falso-moralisteggiante che, insieme al Calvinismo degli Usa e al Rabbinismo d’Israele, si schiera contro il Cristianesimo e il Baathismo. Su questa base si riescono a comprendere le posizioni anti-siriane di Arabia Saudita, Qatar ed Al Qaida.

Secondo don Curzio Nitoglia è possibile a creare un parallelismo con la Giudea del I secolo; i Wahhabiti hanno, infatti, una mentalità farisaico/sadducea – moralisti/ipocriti come i “Farisei” e politicamente alleati degli Usa come i “Sadducei”, questi erano religiosamente atei e alleati della Roma pagana. Altro fondamento, sempre per don Nitoglia, è l’accezione rabbinico/talmudica propria al Wahhabismo che lo accomuna all’americanismo e al teo-conservatorismo. Tutto ciò rende il Wahhabismo simpatico ai teo-conservatori o “atei devoti”. Riguardo a queste connessioni, nello specifico, tra USA e ISIS pensiamo poi a tutto l’affare emerso da Wikileaks sulle forniture USA di armi e soldi al califfato, oppure alla questione Siria, riguardo la scarsa decisione nel combattere l’ISIS e la bufala dell’attacco al gas Sarin di Assad. Pensiamo a tutte le operazioni di coordino tra l’ISIS e Israele, sostegni nello scenario siriano o addirittura, le recenti scuse per aver colpito per errore l’esercito israeliano nelle alture siriane del Golan, occupato dal regime di Tel Aviv. Altro dato fondamentale, e non da poco, è la questione delle rivendicazioni degli attentati e dei video di propaganda ISIS, che puntualmente giungono dall’agenzia SITE dell’Israeliana Rita Katz, accesa sionista, con all’attivo trascorsi nello spionaggio in Medio Oriente.

Ritornando a questioni più nello specifico, l’estremismo salafita è protagonista della vicenda degli attentati in Spagna. Infatti è da quel bacino che vengono fuori gli attentati a Barcellona e a Cambrils, in Catalogna. Dato da cogliere è che proprio quelle zone sono portabandiera della retorica sull’accoglienza e sull’integrazione. Sembra quasi che la logica disgregante del terrore agisca proprio laddove trovi terreno fertile. La “cosmopolita e aperta” Barcellona, si infetta del virus dell’Islam più integralista e gretto.

Un altro elemento dello scenario “terrorismo islamico” sono i Fratelli Musulmani e di non poco conto è il fatto che l’amministrazione Trump, all’inizio del suo mandato, aveva intenzione di inserire la Fratellanza nella black list delle organizzazioni terroriste internazionali, seguendo così Russia, Egitto, Siria ed Emirati Arabi. Questi, i Fratelli Musulmani, ricevono forti finanziamenti e protezione, più o meno diretta, dai governi di Turchia e Qatar. La Fratellanza fu fondata nel 1928 da Hassan al Banna in Egitto, poco dopo la fine dell’Impero Ottomano, ed è diffusa soprattutto in Egitto (Partito Libertà e Giustizia) e a Gaza (Hamas). Essa è fautrice di un risveglio culturale e religioso che, all’inizio del XX secolo, si opponeva all’occidentalizzazione della società islamica. La Fratellanza crebbe velocemente e divenne un importante soggetto politico, a favore delle classi disagiate e con un ruolo di primo piano nel movimento nazionalista egiziano. Essa promuoveva inoltre una concezione dell’Islam che coniugasse tradizione e modernità. Il presidente egiziano Nasser represse duramente la Fratellanza poiché contraria alla sua politica di ammodernamento della società egiziana. Dopodiché i Fratelli Musulmani hanno abbandonato la lotta armata partecipando alle elezioni successive alla caduta Mubarak – elezione di Morsi – e accettando il sistema democratico e la pluralità politica.

Riguardo all’estremismo religioso, che poi si tramuta in terrorismo, nel campo dei movimenti salafiti vi è una forte competizione tra wahhabiti e Fratellanza Musulmana. Essa si basa sugli estremismi ideologici e teologici, sulla politica della religione, sugli influssi sulle società arabe. Il comune denominatore ideologico di terrorismo islamico e jihad è soprattutto il Wahhabismo. Bin Laden, Al Zahawiri, gli Shabaab somali, i vari movimenti nel nord del Mali, i Boko Haram nigeriani, i talebani afghani sono tutti accomunati da questo comune collante dottrinale.
Su tutta la questione dell’attecchimento dell’Islam salafita nella Catalogna è interessante l’intervista a Carola García-Calvo, senior analyst del Real Instituto Elcano, che da anni studia questo fenomeno. Per Garcia-Calvo «Barcellona è da tempo il principale scenario jihadista spagnolo», «tre quarti de detenuti per jihadismo si trovano in Catalogna. Nella sola Barcellona gli uomini del Mossos d’Esquadra sono intervenuti almeno sette volte nell’ultimo anno e nella regione si trovano almeno 50 moschee salafite. Lo schema è evidente». Sempre, prosegue l’analista spagnola «Fin dagli anni ‘90 la Catalogna è diventata un hotspot  dell’immigrazione dal Marocco e dal Mali attraverso le enclavi di Ceuta e Melilla. Ma è evidente come l’equazione più immigrazione uguale più terrorismo non sia efficace per rispondere alla domanda. Piuttosto bisogna guardare alle reti salafiste che in Catalogna sono forti. Soldi, contatti, reclutamento: la maggior parte delle attività passano da questi network. La radicalizzazione in rete fai da te del lupo solitario è ancora un fenomeno minoritario. Anche se le cose stanno cambiando».

Importante anche l’analisi della questione propaganda e reclute femminili, per cui «già nel 2016 i centri media di ISIS avevano diffuso un documento dal titolo “Un messaggio agli spagnoli” per incitare al jihad. Poi è stato creato il canale Amaq su Telegram in spagnolo per diffondere video e comunicati. Inoltre va sottolineato l’aumento delle reclute femminili: prima del 2014 nessuna era mai stata arrestata per reati legati al terrorismo jihadista. Ora sono il 14 per cento. Nel 2015 è stata catturata Samira Yerou, una marocchina residente in Spagna che ha convinto decine di donne a unirsi al jihad e partire per Siria e Iraq. Ma ora che le partenze si sono fermate non sappiamo cosa stiano facendo queste giovani». Inoltre, sempre per la Garcia-Calvo sul come arginare la radicalizzazione «Il lavoro sulla prevenzione e il recupero è ancora agli inizi. Ci sono progetti embrionali in carcere ma non sono sufficiente ed è proprio nelle celle che la maggior parte dei detenuti ha iniziato il suo percorso di radicalizzazione».

Come abbiamo visto tutte quelle che all’occhio dello spettatore sembrano sfumature, e sulle quali poi si crea un calderone unico che alimenta opinioni e decisioni avventate, sono fondamentali per avere un quadro chiaro della situazione.

(di Roberto Siconolfi)