Ricordiamo a Mentana cosa fu l’evocata “dottrina Mitterrand”

Uno degli aspetti più sconvolgenti della propaganda immigrazionista è quello di far leva sui fatti del passato e piegarli alle proprie ragioni, contando spesso sulla mancata conoscenza della Storia. Una manipolazione bella e buona dalla quale perfino la storia romana non è stata esente, con il riferimento semicolto all’editto di Caracalla quale precedente di un’estensione generale del diritto di cittadinanza. Anche Enrico Mentana non si è sottratto a questo gioco perverso. In un recente post apparso sul suo profilo Facebook ha affermato:
“Tra dieci giorni la Francia celebra la sua festa nazionale. Egalité Fraternité Liberté. Non facessi il lavoro che faccio, non avessi doveri rappresentativi per la testata che dirigo, andrei davvero in piazza Farnese a Roma, davanti all’ambasciata francese in cui si festeggerà, a protestare per questa ben strana concezione dell’uguaglianza, della fratellanza e della libertà messa in atto con le violenze alla frontiera con Ventimiglia o attraverso la chiusura dei porti. Mitterrand rivendicava il ruolo storico della Francia come terra d’asilo, perfino per conclamati terroristi italiani…”

Non si capisce la necessità di riaprire un capitolo sofferto della storia delle relazioni tra Francia e Italia come quello dell’ambiguo uso del diritto d’asilo che le autorità d’Oltralpe hanno fatto tra il 1985 e il 2002: la cosiddetta “Dottrina Mitterand”. Pur in mancanza di una legislazione ad hoc, le autorità francesi hanno per anni offerto de facto un rifugio sicuro e comodo a centinaia di terroristi di estrema sinistra in fuga, sulla base della presunta incapacità della legislazione italiana antiterrorismo – la carcerazione preventiva e l’uso dei collaboratori di giustizia in primis – di garantire un processo equo. Sostenuta da intellettuali quali Bernard-Henri Levy, oggi uno degli alfieri del progressismo liberal e mondialista, da una parte del Partito Socialista, e ovviamente da una lunga serie di sigle politiche e sindacali dell’estrema sinistra, tale prassi è indissolubilmente legata alla figura politica di cui porta il nome: François Mitterrand. Fu l’allora Presidente francese, infatti, nel corso di un discorso tenuto il 20 aprile 1985 in occasione del 65º Congresso della Lega dei diritti umani -una circostanza pubblica, dunque, ma del tutto al di fuori dell’istituzionalità- a sancire la volontà di non procedere all’estradizione di coloro che fossero imputati o condannati nei loro Paesi d’origine per atti di criminalità violenta, ma di natura politica. Il riferimento, neanche troppo vago, era a quella decina e decina di fuoriusciti italiani, legati al mondo della cosiddetta “autonomia operaia”, e in realtà operanti attivamente nelle organizzazioni sovversive e terroristiche quali Prima Linea e Brigate Rosse. Le condizioni di Mitterand per godere di questo diritto d’asilo erano la rinuncia alla violenza politica e al terrorismo e, soprattutto, il fatto che tali crimini, rivolti contro qualunque Stato d’origine, non fossero stati comunque rivolti contro quello francese. Saltava così quella pregiudiziale che lo stesso Mitterand aveva posto pochi mesi prima su coloro che si erano macchiati di atti di “terrorismo sanguinario, attivo, reale”. Del resto, egli si rifiutava “di considerare a priori come terroristi attivi e pericolosi degli uomini che sono venuti, in particolare dall’Italia, molto tempo prima che esercitassi le prerogative che mi sono proprie, e che si erano appena ritrovati qui e là, nella banlieu parigina, pentiti… a metà, di fatto … non saprei, ma fuori dai giochi. Tra di loro, senza dubbio, una trentina di terroristi attivi e implacabili. Sono quelli che non controlliamo, nel senso che non sappiamo dove siano! Si dice che siano in Francia?”. È una storia già nota, che Mentana sembra voler ignorare. Anche i foreign fighters dei nostri giorni, molto spesso noti alle autorità francesi, sono stati tollerati in questo spazio informale fatto di ambigue connivenze e inconfessabili “convergenze parallele”. Sono stati lasciati liberi di operare e organizzarsi in Europa come trampolino per la guerra civile siriana in funzione anti-Assad, la cui defenestrazione è stata sempre una priorità della Francia dopo aver ottenuto la testa di Gheddafi. E solo tardivamente e in un malcelato imbarazzo, sinonimo di corresponsabilità, la politica europea è giunta a riconoscere questi jihadisti, novelli rappresentanti di una società aperta dalla cittadinanza facile, per quello che sono, cioè una spina nel fianco. O meglio una serpe tollerata e allevata nel proprio seno. La stessa libertà di manovra che fu concessa negli anni ai brigatisti rossi nei loro frequenti viaggi dall’Italia verso la Francia, con direzione Parigi e la sua famigerata scuola di lingue Hyperion; una copertura, probabilmente, per una ancora poco indagata triangolazione tra terrorismo, servizi segreti e apparati deviati dello Stato.

Si dice che il tempo sia galantuomo, e anche questo bisognerebbe ricordare a Mentana. La “dottrina Mitterand” è venuta meno, e con essa una prassi talmente forte da essere al di sopra delle stesse leggi dello Stato. Uno spazio informale nel quale il fior fiore del terrorismo italiano degli anni ’70 e ’80 ha prosperato, coccolato dal mondo radical chic parigino, intellettuale e salottiero, che ne ha aiutato il reinserimento in una agiata e “borghese” seconda vita, fatta di pubblicazioni e lavori ben retribuiti. L’estradizione nel 2002 del brigatista Paolo Persichetti, che in Francia era nel frattempo diventato insegnante universitario di sociologia, ne ha sanzionato la fine. Il Consiglio di Stato francese, infine, con sentenza del 2004 in merito al noto caso dell’estradizione del criminale Cesare Battisti, ha dichiarato la non appellabilità alle “dichiarazioni rilasciate dal Presidente della Repubblica il 20 aprile 1985 al congresso di un movimento di difesa dei diritti umani … [in quanto] sono di per sé prive di effetti giuridici”. Oltre a essere galantuomo poi, il Tempo è capace di ristabilire una verità storica molto sconveniente al partito antinazionale, il clan cui Mentana sembra iscriversi d’ufficio. Il sistema processuale italiano in contumacia prevede che, se un imputato è in grado di garantirsi una difesa tramite avvocati, un processo celebrato in contumacia non ha bisogno di essere ripetuto nel caso di arresto dello stesso imputato. Fu l’accusa di essere poco garantista, se non apertamente liberticida e autoritario, e la presunta superiorità della legislazione francese, il pretesto per impedire l’estradizione dalla Francia di cittadini italiani accusati o condannati, per quanto “autori di crimini inaccettabili”.

Mentre il processo contumaciale italiano è stato più volte confermato dal CEDU, la Corte europea dei diritti dell’uomo, la stessa cosa, tuttavia, non si può dire per il sistema processuale francese, che è stato sostanzialmente demolito dalla stessa Corte, tanto da portare nel 2004 ad una radicale riforma proprio della procedura contumaciale (LOI DU 9 MARS 2004 PERBEN II). Un boccone decisamente amaro per chi ha il vezzo per la propaganda antinazionale. Sarebbe interessante sapere da Mentana, con il suo atteggiamento barricadero contro Macron e la politica francese di limitazione del diritto d’asilo, da quale parte della barricata stava al tempo della “dottrina Mitterand”, quando la spocchiosità politica, giuridica e culturale d’Oltralpe si ergeva a paladina dei criminali facendosi beffa del dolore delle vittime del terrorismo. Restiamo in attesa di una risposta dal sempre loquace “Chicco” nazionale.

(Di Daniele Dalla Pozza)