È la NATO a giocare alla guerra, non la Russia

La propaganda di guerra russofoba colpisce ancora. Circola in rete, da alcuni giorni a questa parte, un video nel quale viene ritratta una Russia in assetto di guerra. Scontato dire che si tratti di una bufala, specialmente per chi ha una minima conoscenza della Storia e di come si sono succeduti gli eventi negli ultimi 26 anni, ossia dalla fine del mondo multipolare in poi.

Al 09/11/1989, data del crollo ufficiale del Muro di Berlino, i Paesi appartenenti alla NATO erano sedici, tutti relegati nell’Europa occidentale secondo quanto stabilito dagli accordi Gorbachev-Reagan del 1991. Sono bastati poco meno di vent’anni per vederne una palese violazione.

L’anno cruciale è il 1999 ed è da prendere come esempio; la distruzione della Yugoslavia, avente come corollario i 78 giorni di bombardamenti su Belgrado, dà inizio alle stagioni della “guerra di propaganda” che, negli anni a seguire – si veda il caso iracheno, libico e siriano -, avrebbe creato i preparativi per tutte le aggressioni imperialiste contro Paesi restii ad uniformarsi al verbo dell’unipolarismo.

La NATO, quindi, da alleanza con funzioni puramente difensive si trasforma in strumento di aggressione e, con la presenza in Kosovo a Camp Bondsteel, anticipa ciò che sarebbe successo da lì a 5 anni. Il 2004, infatti, è essenziale per capire lo sviluppo dei rapporti tra l’Alleanza Atlantica e la Russia che avrebbero condizionato lo schacchiere geopolitico fino ad oggi.

Con l’ingresso di Lituania, Estonia e Lettonia, si prefissa sempre di più l’obiettivo di determinare la leadership mondiale degli USA, restringere l’influenza della Federazione Russa e estendere ulteriormente il suo controllo nelle aree lasciate scoperte dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Per raggiungerlo, ci si avvale anche delle cosiddette “rivoluzioni colorate” eterodirette dai vari filantropi che, come nel caso di Euromaidan, finanziata con 5 milioni di dollari da Joe Biden e Victoria Nuland e erede della cosiddetta Rivoluzione Arancione, ha riportato la guerra sul suolo europeo tra Kiev e le minoranze russofone dell’Ucraina orientale, più legate a Mosca e restie ad accettare di finire sotto il tallone della giunta nazionalista e russofoba di Petro Poroshenko.

Se consideriamo, oltre a questi incresciosi eventi, anche lo scudo missilistico installato a Deveselu, in Romania, le esercitazioni a mo’ di provocazione al confine con l’Oblast di Kaliningrad, le truppe dispiegate nelle 8 basi dei Paesi baltici e i soli 61 miliardi di dollari annui spesi dalla Russia per la difesa a fronte dei 661 degli USA – i quali costituiscono oltre il 70% del budget e dell’arsenale odierno della NATO – si capisce come sia quest’ultima a voler giocare alla guerra e a mantenere alto il livello di scontro.

Mosca, attualmente, sullo scenario geopolitico, è l’unica che predilige il canale del dialogo e della diplomazia a discapito dell’azione militare. Le viene abbattuto un Sukhoi-24 al confine turco-siriano? Risponde con le sanzioni. Viene violata la sovranità nazionale di uno Stato alleato con un attacco di 59 Tomahawk ad aprile? Cerca i canali della Comunità Internazionale.

Le viene ucciso un ambasciatore in Turchia? Stringe rapporti diplomatici più stretti con Recep Tayyip Erdoğan per trovare una soluzione. Interviene in Siria? Lo fa per porre Bashar al-Assad a parte negoziale forte negli accordi di pace in modo da preservare l’integrità territoriale e la sovranità del suo Paese.

Un affrontare, quindi, con saggezza, pazienza e altissima furbizia una realtà geopolitica dettata dalla psicopatia controproducente e pericolosa dei burattinai del deep state che eterodirigono Donald Trump. Sarebbe il caso di rammentar loro che, allo stato attuale, la Federazione Russa ha una capacità militare in grado di spazzare via le truppe NATO sul fronte orientale, permettendole di conquistare Riga e Tallinn in poco meno di 60 ore. Sia mai che si calmino.

(di Davide Pellegrino)