Nell’Afghanistan “liberato” boom della produzione di oppio

Se il 2016 sembrava era stato salutato come un anno nero, il 2017 sembra il punto di non ritorno. Innanzitutto, il simbolo del fallimento della guerra in Afghanistan, iniziata ormai più di 16 anni fa e che sembra non dovere ancora finire. Un dato, su tutti, mostra come inequivocabilmente la situazione stia addirittura peggiorando, più che migliorando: la produzione di oppio segna un +43% rispetto al 2016.

A nulla è servita l’operazione anti-narcotraffico rafforzata dagli USA e costata oltre 8 miliardi di dollari a Washington. Il rapporto del Congresso americano, più precisamente dell’Ispettorato Generale speciale per la Ricostruzione in Afghanistan (SIGAR), ha il sapore della sconfitta quasi totale. Le operazioni di sradicamento delle piantagioni di papavero da oppio annunciate dalla difesa USA sono al minimo storico dagli ultimi dieci anni, l’efficacia è definita “pressoché impercettibile”. Fonti delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) stimano il valore potenziale lordo degli oppiacei intorno 1,56 miliardi di dollari, ossia equivalente al 7,4% del PIL dell’Afghanistan nel 2015.

Una piaga che non ha lasciato immune nemmeno l’esercito USA di istanza a Kabul. Il Dipartimento della Difesa USA ha ormai dal 2013 una sezione speciale per il recupero delle tossicodipendenze, che tra i marines che segna un +11% rispetto al 2015.

Insomma, un rapporto del consiglio che assume le sembianze sempre più di una vera e propria Waterloo in salsa obamiana. Difatti, Barack Obama, nel discorso inaugurale del suo secondo mandato aveva promesso una “stretta epocale al narcotraffico” e di “piegare definitivamente i talebani”. Promesse a dir poco disattese.

(di Luigi Ciancio)