Johan Cruijff : il profeta del calcio totale

Provate da immaginare 11 tele bianche e 11 pittori che si prefiggono di dipingere in modo sincronizzato delle opere d’arte contigue e connesse tra loro, che in un tempo di 90 minuti formeranno un unicum estetico di oggettiva bellezza. Questa è stata la rivoluzione del calcio totale. Ma anche in un insieme di elementi, di ingranaggi utili alla causa e comunicanti con una miriade di fili tra essi, come in ogni settore della vita, non può fermare il talento di un singolo. Nel collettivo dell’uno per tutti e tutti per uno non può mancare il leader estroso e carismatico che alza la media qualitativa. Johan Cruijff è il suo nome, il Profeta del Gol è il soprannome. Più banalmente (non ce ne voglia il compianto maestro Gianni Brera), Cruijff viene definito anche il “Pelè bianco”.

“Alla radice di tutto c’è che i ragazzini si devono divertire a giocare a calcio.”

Cruijff nasce il 25 aprile del 1947 nel quartiere Betondorp, periferia di Amsterdam. Manus Cruijff, suo padre, gestisce un negozio di frutta e verdura in via Tuinbouwstraat , mentre sua madre Nel Draaijer è una casalinga. Johan passa l’infanzia a giocare in strada con i suoi coetanei, ma l’improvvisa morte del padre per attacco cardiaco, quando lui è appena dodicenne, costringe la madre a vendere casa e negozio. A 12 anni Johan entra a far parte delle giovanili dell’Ajax e il vicepresidente dell’epoca prende a cuore la situazione familiare e offre un lavoro alla madre, prima come donna delle pulizie allo stadio e poi come commessa al banco del bar della società.

Il suo fisico un po’ troppo filiforme non è un ostacolo per la sua creatività che comincia a manifestarsi sul campo di gioco. A 14 anni vinse il campionato allievi con i lancieri. Debutta in prima squadra il 15 novembre 1964 in Groningen-Ajax (1-3); la settimana successiva realizza il suo primo gol, nel 5-0 interno contro il PSV.

“Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia.”

Il mondo si accorge subito di quel capellone con aria vagamente hippie e dal portamento dinoccolato, che scatta con e senza pallone tra i piedi lasciando sul posto gli avversari, compie sinuose giravolte come un artista di strada, controlla e crossa il pallone con l’esterno destro e tira fendenti precisi con movimenti fulminei. Il suo spiccato carattere anticonformista lo porta a scegliere la maglia numero 14. Diverse le versioni che spiegano la scelta: si va dallo scambio di numeri con Muhren (suo compagno di squadra nel 1970) per mancanza di altre casacche, alla numero 14 unica maglia rimasta libera dopo un suo infortunio, fino alla simbologia del numero 14 che rappresenta l’età del primo trofeo vinto da Crujiff.

“Se non puoi vincere, assicurati di non perdere.”

Il tecnico Rinus Michels, seguendo le orme del suo predecessore Ștefan Kovács, inizia la lunga opera di indottrinamento che proietterà i suoi ragazzi nella dimensione del calcio totale. Nel 1969 l’Ajax perde nettamente la finale di Coppa Campioni contro il Milan di Rocco, ma il tatticamente ibrido Cruijff, il primo vero calciatore “moderno” della storia, si fa notare nonostante l’1-4. I successi per l’Ajax sono dietro l’angolo: nel 1971 la società olandese ottiene la prima Coppa dei Campioni della sua storia, battendo in finale per 2-0 il Panathīnaïkos e in quell’anno Cruijff vince il suo primo Pallone d’Oro.

“La soluzione che sembra la più facile, è la più facile.”

Nella stagione 1971-1972 l’Ajax vince la Coppa dei Campioni contro l’Inter grazie ad una doppietta di Cruijff, la coppa d’Olanda a spese dell’ADO Den Haag per 3-2, il campionato e la Coppa Intercontinentale contro l’Independiente. Nella stagione successiva i lancieri vincono il campionato, nuovamente la Coppa dei Campioni (terza affermazione consecutiva) battendo a Belgrado, la Juventus per 1-0. Tra il 1965 e il 1973 li lancieri vincono sei campionati, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa UEFA.

“Il calcio consiste fondamentalmente in due cose. La prima: quando hai la palla, devi essere capace di passarla correttamente. La seconda: quando te la passano, devi saperla controllare.”

Nel 1973 Crujiff passa al Barcellona, da sempre la squadra che rappresenta l’opposizione al potere centrale castigliano in Spagna. Per lui, simbolo di pensiero innovativo nel calcio e sovvertitore di schemi tradizionali, la città spagnola diventerà la sua seconda patria per tutta la vita. Sotto la guida del suo maestro Rinus Michels, Cruijff impiega poche settimane per conquistare il pubblico catalano e conduce i blaugrana alla conquista della Liga, un titolo che mancava al club da 14 anni.

“Tu devi sapere quello che non sai fare: prima di fare un errore, non farlo.”

Memorabile e iconica è la rete che Cruijff segna in quella stagione all’Atletico Madrid: da un cross proveniente da destra che taglia in due l’area avversaria Cruijff tira fuori dal cilindro un impatto spericolato, al volo con l’esterno del piede più scomodo per la traiettoria, quello destro, e da posizione molto decentrata: pallone sotto al sette e pubblico in visibilio. Da quel momento il suo soprannome diventa “Olandese volante” e in quell’anno vince il suo secondo pallone d’oro.

“Tutti gli allenatori parlano di movimento, di correre molto. Io dico che non è necessario correre tanto. Il calcio è uno sport che si gioca col cervello. Devi essere al posto giusto al momento giusto, né troppo presto né troppo tardi.”

Si ritira dal calcio a soli 31 anni prima di ripensarci per emigrare negli Stati Uniti. Dopo due stagioni torna in Europa per vestire la maglia del Levante, in Seconda Divisione Spagnola. Nel 1981 tornò all’Ajax in cui giocò insieme ai giovani Frank Rijkaard e Marco van Basten disputando due stagioni e vincendo due campionati e una coppa. Nel 1983 passò al Feyenoord dove cominciava a splendere la stella di Ruud Gullit. Con il club di Rotterdam gioca da libero e vince un campionato e una coppa nazionale.

“Io ho fortuna, ma Dio sta con me.”

Con la Nazionale olandese è il protagonista assoluto del Mondiale del 1974, nonostante la finale persa in casa dei tedeschi dell’Ovest. “Arancia Meccanica” è il nome che la stampa affibbia agli Oranje guidati dal solito Michels, un collettivo oliato alla perfezione che maciulla gli avversari con un gioco corale e avvolgente, fino alla finale di Monaco. In quell’anno Cruijff vince il suo terzo pallone d’oro.

“Io sono contro tutto fino al momento in cui prendo una decisione. In quel caso, sono a favore. Mi sembra logico.”

Nel campionato europeo del 1976 l’Olanda si classifica al terzo posto, nel 1978 Cruijff rinuncia alla partecipazione al Campionato del Mondo in Argentina. In un’intervista di qualche anno dopo spiegò che la scelta di non prendere parte al mondiale dipese esclusivamente da motivazioni familiari e personali (di carattere psico-fisico) e non dalla situazione politica argentina.

“Gli italiani non possono vincere, ma contro di loro puoi perdere.”

Da allenatore, dopo la proficua parentesi all’Ajax iniziata il 6 giugno del 1985 (vince due coppe d’Olanda e una Coppa delle Coppe) accetta l’incarico del Barcellona seguendo lo stesso percorso fatto da calciatore. Rivoluziona la filosofia del Barcellona rivoltando come un pedalino la rosa e puntando su giocatori come Josep Guardiola, José Mari Bakero, Txiki Begiristain, Guillermo Amor,Jon Andoni Goikoetxea, Ronald Koeman, Michael Laudrup e Hristo Stoičkov. Guida il club alla vittoria di quattro campionati consecutive , una Coppa del Re, una Coppa delle Coppe e alla conquista della prima Coppa dei Campioni (1-0 contro la Sampdoria di Vialli e Mancini). Il 18 maggio 1994, un Cruijff troppo presuntuoso alla vigilia, subì la lezione più umiliante della sua vita dal Milan di Fabio Capello che in finale di Coppa Campioni lo travolse 4-0.

“Johan è un ragazzo umile, risponde sempre a tutti i tifosi, non si è mai dato arie. Adora i bambini, me ne ha fatti fare 3…” (sua moglie, Diana Margaret “Danny” Coster)

Il legame viscerale tra Cruijff e la sua donna ha radici profonde. Il colpo di fulmine scatta durante il matrimonio del compagno di squadra Piet Keizer, nel 1967, ai primi tempi dell’Ajax. “Danny”, fotomodella e figlia del ricco commerciante di diamanti Cor Coster, che diventerà poi suo manager, si sposa con Johan il 2 dicembre 1968 e da quel momento diventano una coppia inseparabile.

“Io non credo perché non sono credente. Credo che ci sia qualcosa da qualche parte, ma credo unicamente nel fatto che io credo che ci sia qualcosa da qualche parte.”

Danny è il suo rifugio sicuro nei momenti difficili, il ritorno alla normalità e alla dimensione umana della vita tra le quattro mura, dopo le vittorie e il successo planetario che possono far perdere di vista il senso del reale e i veri affetti. Un uomo con delle naturali debolezze che ammette la necessità di una figura onnipresente nella propria vita: “Quando arriva il momento del trionfo mi sento imbarazzato, tutta quella gente che ti si stringe intorno mi fa sentire tremendamente solo con i miei errori. Per fortuna come sempre c’è Danny”.

“In un certo senso, forse, sono immortale.”

Negli anni ’90 la sua salute scricchiola in continuazione e deve far fronte a ripetuti infarti. Fumatore anche durante l’attività agonistica Cruijff smette con le sigarette a inizio degli anni ’90. “Ho avuto due vizi nella mia vita: il calcio mi ha dato tanto, il tabacco mi stava per togliere tutto”, disse qualche anno dopo. Muore il 24 marzo 2016 all’età di 68 anni, dopo una lunga malattia, ma il nome di Johan Cruijff brillerà in eterno nella Bibbia dello Sport.

(di Antonio D’Avanzo)